Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

44 EST,LONTANO E VICINO Gustaw Herling L'ORSO RUSSO CANTODELTRIONFODIIGOR traduzionedi DariaAnfelli Ho conosciuto Igor Gogolev negli anni del disgelo di Krusciov dopo il Ventesimo Congresso. Era laureato di fresco in filologia romanza a Leningrado, e a Napoli venne con una borsa di studio trimestrale. Da me lo indirizzarono conoscenti italiani dell'Istituto Orientale, senza nascondergli i rischi di quella visita. Difatti arrivò pallido, agitato, spesso sbirciava dalla finestra in strada, dopo mezz'ora sedette sulla sedia come sui carboni ardenti. Ma più forte di quei timori si rivelò lo scopo di quella visita: Igor aveva cioè saputo che, se fosse piaciuto all'ospite, avrebbe forse ottenuto i volumi delle edizioni russe di Pasternak e di Mandel'stam pubblicati in America. Mi piacque, avevo del resto alcuni doppioni. Toccare i volumi ricevuti gli accomodò l'umore, gli diede coraggio e accese nei suoi occhi intelligenti una scintilla di divertita ironia. Di natura era allegro, spiritoso burlone, peccato che pur essendo insignito della radice di un così illustre cognome, fosse organicamente privo del dono della narrazione. Sebbene amasse la letteratura in genere, e la poesia in patticolare, la sua lingua era esclusivamente strumento di una comunicazione arida e incolore. Ne parlo subito ali' inizio per evitare da parte dei lettori i rimproveri o foss'anche l'obiezione che il racconto dell'Orso russo non riesca ad andare oltre una secca relazione, solo avaramente condita col sugo dell'umorismo. Ah, se Gogolev fosse stato della stirpe di Gogol'! Se avesse saputo resuscitare le ombre di Cicikov, del Revisore, di Basmackin, che si aggirano inavve1tite sullo sfondo della Russia contemporanea, in fiorente rigoglio sulla carcassa-concime dell'Unione Sovietica! Il nostro primo incontro termjnò per colpa mja in una catastrofe. Si recava a Roma per tre giorni, mi parve dunque naturale munirlo di lettere di raccomandazione ai miei amici romani, anch'essi sospetti agli occhi degli "organi" sovietici. Dimenticai però che, se icompagni napoletani, per innata pigrizia, non si precipitavanoascriveredenunce per l'Ambasciata Sovietica, i comunisti romani ardevano perennemente del vivo desiderio di rendere un servizio all'Opera della Rivoluzione. Gli incontri romani di Igor furono notati e dove d'uopo annotati, cosa che immediatamente abbreviò il suo soggiorno in Italia. Non mi salutò nemmeno, mandò soltanto una caitolina da Leningrado con tre significative pai·ole: Prascaj lubimyi Zapad, Addio amato Ovest, senza foma. Come un sasso caduto nello stagno, dopo quella visita non un segno di vita, avevo quasi cancellato Igor dalla memoria. All'improvviso un biglietto con firma e indirizzo, mandato da Mosca all'epoca del Gorbaciov "maturo". Due frasi, una in russo, l'altra in italiano (quale appassionato di filologia romanza conosceva bene il francese e l'italiano). la budu tepier, slava Bogu, Gl.ASNYM, Sarò adesso, grazie a Dio, un uomo Gl.ASNYJ. Sentirai ancora molto di me. Testimoniava lodevolmente della sua intelligenza il fatto che onorasse la glasnost delle maiuscole e tacesse della perestrojka. La frase italiana ("Sentirai ancora molto di me") poteva dimostrare che aveva messo finalmente mano alla realizzazione del suo progetto, cioè alla stesura del libro Proust e Svevo (durante la nostra conversazione a Napoli non colsi l'essenza di quell'accostamento, ma lui sorrideva come il possessore di un'invenzione non ancora brevettata). Ebbi sue notizie prima di quanto potessi aspettarmi, e proprio dalle sue stesse labbra. Fece un salto in Italia per cinque giorni. Telefonò da Milano. Brescia è lontana da Napoli? Volevo essere suo ospite all'hotel Atlantic? Non lo riconobbi subito. Si era fatto crescere la barba, era vestito strano: pantaloni rosa, giacca verde, camjcia azzurra, cravatta arancio con decorazione di fanciulla nuda. Scomparso il bel ciuffo di una volta. Scoppiò a ridere vedendo lo stupore nei miei occhi. "L'orgia di colori è nella nostra giovane moda l'equivalente del pluralismo nella nostra democrazia ai primj passi. Per troppo tempo tutto è stato grigio o nero, per non suscitai·e una fame di colori (ad esclusione del rosso). Ti ci abituerai, così come, dopo il primo shock, si sono abituati gli italiani della fabbrica Santina". Della fabbrica Santina? Avevo sentito bene? Si trattava della più nota manifattura di preservativi in Italia, con sede a Brescia. "Sì, Sì, - scoppiò di nuovo in una risata - ho abbandonato la filologia, ho smesso di occuparmi di Proust e Svevo, sono un velocista del business, installiamo a Kaluga la fabbrica di preservativi Inessa". Ora io scoppiai a ridere, e lui si fece serio. "Il fatto è che sotto quei bricconi di comunisti avevamo preservativi Offendi, che facevano passar la voglia ad ogni uomo normale, facevano inoITidire qualunque donna normale. Il vertice in questo campo l'aveva toccato il ceco Leopard, fatto di brandelli di camere d'aria di auto, moto e biciclette. Mi raccontò una volta una bella ragazza spiritosa di Leningrado che ogni volta che il suo partner metteva un preservativo dei nostri paesi 'popolari', aveva la sensazione che entrasse in lei su una Honda." "E volete così di primo acchito comprai·e a Brescia i Santina, prodotto veramente santo del paese dei papi e della democrazia cristiana?" "Macché! Vogliamo produrre subito a Kaluga i nostri Inessa, ci servono le loro maccrune e una materia prima decente. Ma dopo la visita di ieri vedo che bisogna filare in America, gli italiani sono natural mente migliori del le nostre camere d' ai·ia,ma non si può dire che siano l'ultimo grido di perfezione in questo campo. Il segreto è la sottigliezza del prodotto e l'elasticità, che non causa rotture. A proposito di nomi: Santina va bene in Italia, ma di sicuro non sai perché da noi Inessa." "Suppongo che un simpaticone anticomunista si sia ricordato dell'amata di Lenin ..." "Proprio così. Inessa Armand (vedo che lo sai), russa francesizzata ovvero francese russificata, adorava l'intelletto e i talenti di Ilijic e lui se ne innamorò senza speranza. Perché senza speranza? Era sposata, aveva quattro figli, le giunsero probabilmente voci sulla sua

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