38 CINEMA ERADIO e i suggerimenti ricevuti nel corso del tirocinio attoriale: ad esempio, Edwards al Gate Theatre aveva cercato di far usare a Welles quel suo "prodigioso strumento" vocale "con rustica innocenza più che con affettazione da palcoscenico" 17; mentre a New York le lezioni di tecnica vocale di Margaret Huston Carrington, sorella di Walter Huston, gli avevano soprattutto insegnato come mantenere la potenza della voce nei lunghi monologhi - controllando respiro e certi muscoli altrimenti inutilizzati della gola e del torace. 5. Welles incarna dunque alla pe1fezione il mito di una voce radiofonica che "pare scaturire dalla testa di Zeus" 18 ; ed anzi, proprio sull'amplificazione microfonica ed attraverso di essa, fonda il proprio mandato simbolicamente divino, il proprio "radio method of directing": "Ogni qualvolta volessi qualcosa o qualcuno, parlavo dentro un microfono, e la mia voce giungeva fin negli angoli più remoti dell'edificio. Arrivavano tutti di corsa, come se avessero sentito la tromba dell'arcangelo Gabriele" 19 • Come commenta Brady, "radio" era ancora una parola piena di magia, e Welles aveva creato, nel senso latino del termine, il proprio auditorium. Collaboratori e critici sono unanimi nell'attribuire aWelles una profonda conoscenza dei problemi posti dalla radiofonia live che non conosce ancora le potenzialità di registrazione e montaggio; non solo quella saggezza tecnica, l"'unparalleled ear" di cui parla Cowie, coltivata nel l'esperienza diretta dei più svariati studi radiofonici20,ma anche, e soprattutto, I' intuizioneestetica delsoundscape, ovvero della necessità di un'integrazione nel tessuto sonoro, overlappings inclusi, tra le sue componenti- la voce umana (con i suoi silenzi essenziali), la musica (con i suoi hooks psicoacustici), i rumori (con l'apparato di artigianale improvvisazione che creagli effetti speciali). E non vi è dubbio che nel paesaggio sonoro della fine degli anni Trenta l'effetto applicato alla voce di The Shadow, un filtro di eco e riverbero, abbia lasciato tracce indelebili21 , in particolare per la proverbiale apertura "Whatevil lurks in the hearts of men, the Shadow knows, ah ah" - la cui paternità wellesiana viene peraltro messa in dubbio da Brady22 . Detto tra parentesi, dato che non mi pare questa la sede adatta per un approfondimento, una "sindrome dell'Ombra" potrebbe con una certa concretezza e plausibilità essere isolata anche nella carriera di Welles, a paitire da frammenti come l'accenno al "sogno di realizzare The Shadow [e Moby Dick]" citato da Leaming (p. 372) (ipotetico progetto comunque assente dalla lista, se pur parziale, di Naremore); o la eco autoreferenziale durante uno degli Orson Welles's Commentaries dedicati al caso Woodard ("Chi sono io? Un vendicatore mascherato dei fumetti? No, sono solo un cittadino americano che cerca di far luce su questo caso"). O come l'idea di certi personaggi-silhuette invisibili o perennemente in ombra, nascosti aJla vista dal proprio essere istanza naiTativa pura, voce o punto di vista di una mdp; o il sottile e ambiguo discrimine tra "demagogia e illusionismo benigno"23 , tra dimensione etico-politica cui i media danno voce e grottesca e autoironica parata di sguaiati trucchi di magia (ovvero il caso, serio, di uno Shadow non certo solare, con quel suo paventato vigilantismo nell'America del New Dea!). O ancora, più in generale, la predilezione, o quantomeno la frequentazione, da parte di Welles, del personaggio del "Gothic outsider" indicatodaFrederick Karl24,odella "Gothic men ace", come preferisce definirlo Andrew Sarris25 , un filone piuttosto ricco della narrativa popolarepulp, che mette in fila scienziati pazzi quasi genii del male (basti pensare al protagonista di Donovan 's Brain, interpretato da Welles per Suspense nel maggio 1944) o protagonisti di faustiani deliri di onnipotenza al Limitedella ciarlataneria (dispiace non aver potuto ascoltare Welles ne La nube purpurea di Shiel, progetto di SF alternativo alla Guerra dei mondi, mai realizzato), oppure inquietanti incarnazioni da "leggenda urbana" modernamente lasciate allafabulazionedi everymen psicolabili (si pensi aHitchhiker, ancora un episodio sempre della serie Suspense, del settembre 1942)26 . 6. II Welles della radio appare in perfetta sintonia - se per intuizione, per sensibilità, o per acuta riflessione, non è facile a dirsi -con un'atmosfera fatta di onnipotenza e intimità, di storytelling e di magia. Sono questi alcuni tra gli elementi più rilevanti che contribuiranno a dare forma e consapevolezza all'immaginario popolare della fiction radiofonica, poi televisiva, o più probabilmente, più in generale, dei media dell' entertainment, in parte dovuto alle peculiari strutture comunicative degli stessi. Un immaginario che, dopo quegli anni fecondi e formativi (dopotutto, se si esclude la peraltro interessante parentesi alla BBC nel biennio 1951-195327, Welles conclude la propria partecipazione attiva in radio nell'agosto 1946, secondo alcuni quale talento radiofonico inespresso) 28 , avrebbe messo in fila, tra le altre, le fiction per tanti versi simili del columnist di Miss Lonelyhearts (Nathanael West, 1933), del folk hero di A Face in the Crowd (Budd Schulberg, da "Your Arkansas Traveller"/ Elia Kazan, 1957), della personalità radiofonica di The Dick Gibson Show (Stanley Elkin, 1971), del televangelista "laico" di Network (Paddy Chayefski/ Sidney Lumet, 1976), del DJ di Talk Radio (Eric Bogosian, 1987/ Oliver Stone, 1988). Al coté di onnipotenza implicitato e rafforzato dalla natura incorporea del medium, in cui sta naturalmente inscritto il rischio di sfruttamento dell'esile patto (di credibilità) tra speaker e audience da parte di confidence-men senza scrupoli-e di con men è ricco i I curriculum radiofonico di Welles (per non dire di quello cinematografico )29- non è del tutto indifferente la insistita sperimentazione di una "prima persona singolare" in un'epoca epistemologicamente segnata in America dal "dominio della 'speaking voice"', come ci ha ben documentato David Madden30 . Ovvero quella voce narrante presente in tutte le arti popolari (in radio, nei pulp, nei fumetti, poi al cinema), strettamente legata alla raffica di immaginario prodotto dai media, sotto forma di storie raccontate in prima persona in quello stile semplice, assertivo, che fa di ogni parola un'azione, chiaro sintomo della pulsione a raccontare di un' America che dopo la crisi del 1929 si sente scippata della parola. Quella stessa voce che risuona nelle riviste come "True Stories" e che echeggia, amplificata e talvolta distorta, nell'oratoria live politica e religiosa dei Long, dei Coughlin, dei Rogers31 • La radio era "un medium documentario a tutti gli effetti, un medium cruciale per gli anni Trenta, poiché univa indissolubilmente [...] due metodi di persuasione, quello diretto e quello vicario. L'ascoltatore era testimone in prima persona, di prima mano, tuttavia attraverso gli occhi di qualcun altro"32 . La sua voce incorporea guadagna comunque la fiducia degli ascoltatori, tanto che alla fine del decennio i sondaggi testimoniano di un medium che gode di una credibilità persino maggiore rispetto alla carta stampata: "Se lo hanno detto alla radio, al !oradeve essere vero" ["lf it was on the radio, then it must be true"] si dice33 , anche se non mancano campane contrarie, come James Rorty che in Our Master's Voice attacca "l'altoparlante" (la sinergia strettissima tra radio e pubblicità) che gracchia dall'alto del "grattacielo infinito" del consumismo americano: "Parecchi americani sono cresciuti ascoltando quella voce come fosse un oracolo" 34 . In effetti, forse anche per la sua struttura per fasce orarie e generi, per serialità e fasce di ascolto legate all'età, la radio è anche un mediumfo1temente
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