Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

36 CINEMA ERADIO lettura di Shakespeare che aiuta a capire e a spiegare i1nostro destino (come sono Macbeth, Otello e Falsta./f) e una attività registica che è anche riflessione sul proprio ruolo (come nella Storia immortale ein F come Falso), il saggiodiNaremoreci accompagna lungo tutta una carriera: facendo luce su aspetti fino ad allora oscuri - come le versioni "lunghe" dello Straniero e della Signora di Shangai - e recuperando testi poco noti - come la rubrica quotidiana tenuta nel 1945sul "New York Post" (e il diverso modo con cui Bogdanovich e Naremore toccano lo stesso episodio, la stroncatura da parte di Welles del!' Ivan il terribile di Ejzenstein, con superficialità il primo, con un'intelligente lettura politica il secondo, mette in evidenza il diverso spessore dei due "biografi" wellesiani), attraverso una scrittura semplice e nello stesso tempo appassionata, questo libro ci aiuta a capire un po' meglio il segreto di un uomo che, come confessava con una certa disperata angoscia, era "solo un poveraccio che cercava di fare del cinema". ORSONWELLESAL MICROFONO FrancoMinganti l. Questo intervento muove dal dato, largamente condiviso, che segnala un nodo piuttosto stretto traWelles e la radio e che, ben al di là della fama improvvisa seguita alla Guerra dei mondi, arriva a fare dell'artista un'epitome della radio stessa, quasi l'essenza di un medium che per la propria struttura intrinseca costringe I' ascoltatore a vedere attraverso un'attività di risposta immaginativa 1 • Mi proverò allora ad indagare alcuri degli aspetti che costituiscono in profondità tale nodo, a partire dalle suggestioni della voce, dello storytelling e di certe peculiari modalità comunicative del mezzo. 2. Nel l'Epos sedimentatosi intorno alla figura di Orson Welles trova ampio risalto l'epifania della sua voce. Potremmo tralasciare certe curiose informazioni relative al Welles bambino2, cui tuttavia Miche! Chion attribuisce grandissima importanza3, e la notizia di una fantomatica, quasi profetica fotografia di quella bocca da storyteller4,- realtà fantasmatica che fa capo lino, "tremendamente ingrandita", nel frammentodiHeartofDarkness: (voce di Orson Welles) "The big hole in the middle there is my mouth" - pure, quella voce è il dettaglio fuori dell'ordinario che viene immediatamente notato nel giovane ai suoi primi incontri, ed è quanto si imprime indelebilmente nel ricordo, in particolare alle audizioni del promettente attore. Micheàl MacLiammoir lo incontra al Gate Theatre di Dublino nel settembre 1931: "La voce, con quella sfrontata sonorità transatlantica, era già quella di un predicatore, un leader, un uomo avvezzo al potere; sgorgò brillante e si fece strada tuonando attraverso l'aria polverosa del deposito delle quinte come se dovesse schiacciare le piccole pareti georgiane e squarciare ilpavimento"5. Alexander Woollcott (collaboratore del "New Yorker", critico teatrale del "New York Times", poi al "World", famoso soprattutto per il suo "The Town Crier" radiofonico per la CBS) resta impressionato dalla "magnificenza ottenuta senza sforzo" ["effortless magnificence"] della voce di unWelles appena arrivato a New York nel 1932. Se Guthrie McClintic parla di "un uomo dall'aspetto straordinario, con una voce e un eloquio bellissimi", e anche la moglie, Katharine Cornell, ricorda nell'autobiografia I Wanted to Be an Actress di esser stata colpita da quella voce assai bella, è tuttavia Frank Brady a colorare l'incontro: "una voce che persino durante la conversazione inondava il tavolo di McClintic, riempiendo ogni angolo dell'ufficio, permeando ogni cosa che toccava, risuonando come gli accordi più profondi, più melodici di un violoncello, ma con la potenza e la grandeur di un organo"6 • "Strumento di pathos e di terrore, di delicatezza infinita e di potenza devastante" annoterà John Houseman a New York; sonora, "piena di eleganza e virilità compiaciuta" scriverà il critico di "Newsweek", Paul D. Zimmerman; "la voce più bella della terra" dirà Virgil Thompson in occasione di The Cradle Will Rock. Al di là di una certa retorica - nel segno della potenza, della musicalità- che segnala la nostra difficoltà nel catturare, descrivendola, la voce umana, si tratta evidentemente di annotazioni che testimoniano della peculiare, straordinaria natura della voce di Orson Welles. 3. Certo, una voce risuona nel corpo (e del corpo) da cui scaturisce: è un corpo che arriva alle nostre orecchie attraverso colonne d'aria che echeggiano di cavità, risonanze della carne, vibrazioni di membrane e cartilagini, interferenze di frequenze, intenzioni linguistiche. E non vi è dubbio che la mitologia wellesiana abbia nel tempo costruito parte del proprio impatto sul connubio, a dir poco perfetto, tra "l'immensa corporatura e la voce autoritaria" ["immense frame and comrnanding voice"]7. Brady, nel descrivere il sedicenne Welles che sbarca in Irlanda, scrive: "A quella sua stazza imponente, sei piedi d'altezza per duecento Iibbre di grasso da neonato, si adattava perfettamente una voce profonda, oscura, autoritaria, di tanto in tanto temperata da una risata da ragazzino" 8 • Eppure, nel momento cruciale della messa a punto di un mito delle origini della voce di Orson Welles, il corpo non detiene ancora quelle qualità esorbitanti, "eccessive" che lo contraddistingueranno e ne segneranno in parte la fortuna popolare. Anzi, sarà piuttosto la "cecità" della radio9 , attraverso la rimozione simbolica del corpo, ad assecondare la particolare alchimia e stratificazione di "significati secondi" ["extended meanings"], presenti nell'incontro tra una lingua e una voce, e dunque, parafrasando Barthes, nella singolare "grana" della voce di Orson Welles 10 • Con sottigliezza Houseman puntualizza come probabilmente, proprio per la liberazione dalle preoccupazioni per "la propria presenza fisica che pesava con frequenza sulle sue interpretazioni teatrali", Welles, già "dotato di uno strumento vocale ricco di risonanze e flessibilità fuori dal comune[ ...], si dimostrò capace di esprimere un registro illimitato di stati d'animo e di emozioni" 11 • Mentre, dal canto suo, Andrew SaiTis,nell'aprire il catalogo della rassegna che il Museum ofBroadcasting newyorkese ha dedicato qualche anno fa a "Orson Welles on the Air", indica come estremamente probabile che si potesse aver ascoltato Welles prima ancora di averne sentito parlare - riferendosi naturalmente alla popolare serie The Shadow (1937) 12 • 4.11medium radiofonico allora non fa che amplificare l'aura di quella voce13 , assecondando altri elementi, non meno mitologici, della biografia: ecco dunque la "teatralità che deborda dalla scena" - e che precede e condiziona tutte le manifestazioni del genio di Welles - secondo Bazin, ovvero quella "volonté de jouissance spectaculaire" che è alla base della sua cultura e del suo gusto teatrale14; la magia (ispirata dal dottor Bemstein, onnipresente

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