gati. Lo stomaco non esiste più. Non esiste più niente ora, a parte la ricerca. Rigiriamo i corpi, cercando volti familiari; la morte li ha resi tutti miei parenti. Continuo a cercare, senza alcun sentimento o speranza. Mi imbatto in un viso sconosciuto: è mio fratello. Annuisco. Cospargo la sua carne di polvere. Alcune ore più tardi, vicino a un pozzo asciutto, trovo gli altri membri della mia famiglia. Mia madre si tiene stretta ad un osso così secco che non potrebbe nutrire neanche una mosca. Annuisco due volte. Cospargo i loro corpi di polvere. Continuo a cercare, e sento i miei occhi asciutti scivolare via dalle cose di questo mondo. C'è ancora un volto, la cui sconosciuta bellezza mi consolerà. Quando l'avrò trovato, mi arrenderò ai canti di pura negazione che provengono dalla montagna. Ho vagato per la città, trascinandomi dietro il mio cadavere come l'antico eroe piegato dalla croce. Cerco in ogni vicolo. Oltrepasso lentamente un gruppo di bianchi con il loro equipaggiamento. Puntano le telecamere verso di me e mi fanno domande, io annuisco tre volte e cerco di sorridere. Continuo a trascinarmi, conscio del fatto che ora proba bi I mente mi vedono come una bestia, e mi compiangono in quanto tale, ma conscio anche del fatto che, se conoscessero lo scopo della mia ricerca, mi vedrebbero forse come l'ultimo eroe in questa terra di eroi, con tutti gli altri eroi morti intorno, per la maggior parte bambini. Perché ognuno di essi è morto senza urlare, senza gemere e senza compiangersi, e senza paura. È possibile che una terra di eroi si trasformi alla fine in una terra di lapidi. Forse il nuovo eroismo del futuro avrà più a che fare con il coraggio di perdere, per poi vincere; con il cedere il passo, per poi guadagnare terreno; con l'essere un po' deboli, per poi essere invisibilmente forti; con il vivere lentamente, e con un fuoco piccolo ma duraturo. Forse l'eroismo futuro avrà a che fare con tutto ciò piuttosto che con questo nostro coraggio, che ci fa sopportare e resistere per poi venir distrutti dalla eccessiva sofferenza. Siamo troppo forti per il nostro bene. La nostra resistenza ha reso questa terra un fertile cimitero. Era quasi il tramonto, quando ho sentito un canto provenire da un edificio scolastico ancora in costruzione. Era il suono più magico che avessi mai udito, e ho pensato che solo chi conosceva la dolcezza della vita poteva cantare in quel modo, come se il respiro fosse una preghiera. Sono corso incontro a quel canto, avanzando tra i cadaveri gonfi, con il loro odore dolciastro, passando sopra i corpi raggrinziti di ragazzi e bambini, dolcissimi, morti senza un'imprecazione sulle labbra e con le gambe piene di mosche e di vermi. Forse è necessario esser moribondi per capire la bellezza della morte. Quel canto era come il gioioso inizio di tutta la creazione, il primo coro del tempo nel preciso istante della sua nascita, il primo "amen" alla grandiosa idea dell'universo, il sacro "sì" al respiro e alla luce che tutto pervade, che fa luccicare l'acqua, crescere gli alberi, che fa saltare e giocare gli animali nei campi, e che fa vedere agli uomini e alle donne tutta la radiosità primaria dei colori, il verde delle piante, il blu del mare, il giallo dorato dell'aria, l'argento delle stelle. Quel canto era per me la vera fine della mia ricerca, il "graal" che non avrei potuto conoscere altrimenti, la musica con cui coronare la vita che mi aveva tradito, la fine che non avrei potuto sperare o immaginare. Mi sembrò che occorresse un'infinità di tempo per giungere all'edificio in costruzione. Non avevo più forze ormai, ed era solo l'ultima eco del canto, che risuonava negli immensi spazi della mia fame, a _sostenermi. Dopo forse un secolo - quando la storia si fu ripetuta ed ebbe riproposto esattamente gli stessi avvenimenti, poiché nessuno di noi ha mai imparato la lezione, o amato abbastanza da imparare dalla sofferenza, o preso abbastanza seriamente il grande urlo della storia-alla fine ho raggiunto la porta della scuola. DESCRIVEREILMONDO 13 Ma una vacca, ormai l'unico essere vivente in città, è entrata dalla porta prima di me. Anch'essa doveva essere stata attratta dal canto. La vacca è entrata nella stanza, e io l'ho seguita. Dentro, tutto lo spazio disponibile sul pavimento era occupato dai cadaveri. Ma qui l'aria non sapeva di morte. Sapeva di preghiera. Le preghiere avevano un odore più forte dei morti. Ma tutti i morti che si trovavano lì, in quella stanza, erano morti in modo diverso da quelli che erano fuori, nella piazza principale e in tutte le altre città. I morti che si trovavano in quella scuola erano - scusate il paradosso - vivi. Non ho al tre paro le per esprimere la loro serenità. Tutto ciò che posso dire è che sentivo che erano arrivati Li, in quella stanza, e l'avevano in qualche modo resa sacra con il loro modo di avvicinarsi alla morte. Sentivo che avevano resa sacra la stanza perché, nei loro ultimi attimi di vita, non avevano pensato a se stessi, ma alla gente che soffre su tutta la terra. Mi sono accorto che stavo facendo la stessa cosa mentre entravo nella stanza. Mi sono trascinato in un angolo, seduto contro un muro, e mi sono sorpreso a pregare per l'intera umanità. Ho pregato - pur sapendo benissimo che le preghiere sono, probabilmente, una totale perdita di tempo - ma ho pregato per tutte le cose viventi, per le montagne e per gli alberi, per gli animali e i fiumi, e per gli esseri umani, dovunque e chiunque essi fossero. In quel momento, mi sono sentito assolutamente vicino a tutti gli uomini. Ho sentito l'immenso grido pieno di angoscia di tutto il genere umano, e ho sentito anche la sua grandiosa, ossessiva musica. E anch'io, senza muovere la bocca, perché non avevo più energie- anch'io ho cominciato a cantare in silenzio. Ho cantato per tutta la sera. E quando ho guardato il corpo vicino a me e ho scoperto che la sconosciuta luminosità del suo volto era quella della mia donna - ho cantato, mentre la riconoscevo. Ho cantato in silenzio anche quando un bianco di buon cuore è entrato nell'edificio con la telecamera, piangendo, e ha ripreso per il mondo la stanza piena di morti -e ho sperato che avesse ripreso anche il mio canto. Mi sembrò di aver cantato a lungo, e perdevo continuamente conoscenza. E quando sono rinvenuto, per un breve momento, ho visto, raggiante di stupore, che la stanza non era piena di morti, ma di vivi. I morti erano vivi; ma erano vivi di luce, in un modo in cui solo pochi tra i vivi sanno esserlo - vivi con tutte le scintillanti possibilità della vita nel loro essere; vivi in un modo che li rendeva quasi sublimi. E i morti erano tutt'intorno a me, sorridenti,-sereni. Non mi incalzavano, non insistevano; erano soltanto tranquillamente e intensamente gioiosi. Non mi chiedevano di correre da loro, questo dipendeva da me, era una mia decisione. Cosa potevo scegliere? La vita umana - piena di avidità e amarezza, buia, con poca aria, senza I uce, critica, dura, dolce anche, e meravigliosa, eppurela vita umana mi aveva tradito. E, inoltre, non c'era più niente di me che potesse essere salvato. Anche la mia anima stava morendo di fame. Il canto è ricominciato. Ho aperto gli occhi per l'ultima volta. Ho visto le telecamere puntate su tutti noi. Per loro, eravamo morti. Mentre subivo l'agonia della luce, ho visto loro come i morti. Li ho visti gesticolare fuori dal tempo, esclusi dall'eterna fratellanza, abbandonati in un mondo senza pietà o amore. Mentre la vacca gironzolava nell'apparente desolazione della stanza, deve essere sembrato strano a chi riprendeva la scena che io fossi tanto a mio agio in mezzo ai morti. Lo ero. Mi sono stirato e ho stretto la mano della mia donna. Con un sospiro doloroso, un sussulto e un sorriso, mi lascio andare dolcemente. Il sorriso deve avere confuso i giornalisti. Se avessero compreso il mio linguaggio, avrebbero saputo che era il mio modo di dire addio. Copyright Ben Okri 1993.
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