Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

alle filosofie 01ientali, e perfino alla parapsicologia e a certi aspetti della teosofia, hanno inciso in profondità su di lui, e l'incontro teorico fondamentale della sua vita è stato senza dubbio - così diceva e così mi sembra dimostrino molti suoi film - quelli con Jung. Senza Jung, per esempio, non credo si potrebbe spiegare un film a suo modo genjale come Satyricon, o anche il più vicino Casanova. Il suo "cattolicesimo" in fondo è, puramente e semplicemente, la sua italiarutà. Del!' italiarutà si può fortemente e duramente sentire il fastidio, è molto legittimo il detestarla. Nel rruo caso, finiva che questa identificazione tra un artista e l'humus culturale del suo paese, provocava una reazione di sconcerto e a volte di rigetto, perché, in defirutiva, ti sbatteva davanti qualcosa che ti apparteneva così profondamente e di cui però volevi anche liberarti. Da parte di Fellini c'è indubbiamente stata una certa compiacenza nei confronti dell'Italia, deterrrunata da una comprensione forrrudabile per i suoi pregi e difetti. Ma, a onor del vero, i difetti egli può averli capiti e descritti con partecipazione, ma non li ha mai compiaciuti, e la lettura attenta dei suoi film dimostra oggi come egli abbia saputo scrutarli, discuterli, analizzarli con il bisturi di una morale che non era, ieri, né quella del Papa né quella degli Strapaesani, e, nei nostri anru, né quella del Censis né quella di Santoro. Felliru ci ha capiti e raccontati - noi italiaru - come nessun altro artista suo contemporaneo. Film come I vitelloni, come Il bidone, come La dolce vita, come Amarcord, come Prova d'orchestra (su cui il futuro ha dato ragione a lui) e come La voce della luna, sono i capisaldi di una lettura antropologica dell'Italia di cui l'Italia aveva assoluto bisogno. Discutendo Felliru, io e altri come me, respingevamo probabilmente un'"appartenenza" che ci MAESTRI 11 sembrava in lui troppo tollerata. E certamente egli era tollerante, era un uomo di relazioru, c'era in lui qualcosa di "cattolico", del cattolicesimo diplomatico più ape1to. Ma altrettanto ce,tamente c'era in lui un nodo morale radicato in quella provincia, in quella "urrule Italia" d'altri tempi, nel "Borgo" di un'epoca contadina e povera, che ai difetti univa la resistenza ai difetti, alla cedevolezza, a volte obbligata, della supe1ficie, un'intima durezza, e certamente uno scetticismo, una conoscenza dei lirruti dell'uomo italico e della pasta con cui i secoli l'hanno impastato. La voce della luna non è, in questo senso, un film risolto, ma il suo progetto era chiaro e, trattandosi per di più, perno i, di un'opera finale, illurrunante, in essa Felliru non ha fatto che narrare il nostro presente confuso, caotico, becero, ignobile, o cupo, laido e sfasciato, mettendolo a confronto con la lezione della poesia italiana più alta, addirittura con Leopardi, in un lirismo ormai relegato alla dolce, non preoccupante follia dell'emarginato, del perdente, del non recuperabile a questo caos, cioè a questo gioco della menzogna o del "particulare" che ha fatto l' 01rnre dell'Italia degli anni Ottanta. Tra/ vitelloni e La voce della luna, Moraldo è andato in città e ne è tornato per trovare il borgo diventato, moralmente, più città della città, e cioè più corrotto, se possibile, di quella. Quello che io avrei voluto era probabilmente un Fellini più "protestante" e rrunoritario, meno ecumenico di quanto egli non è stato. Ma non credo che il Fellini che hanno pianto i vecchi e nuovi funzionari della tradizione italiana peggiore sia il vero Felli1ù;credo in un Fellini più strano e più austero, profondo e spigoloso di quello ufficiale. Fotodi FabianISygma/G Neri)

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