10 MAESTRI FELLINI L'ITALIANO UNRICORDO GoffredoFofi Fotodi E.DeLuigi(Effigie). Molti anni fa- tra il Satyricon e Roma- un amico francese mi chiese di intervistare Fellini per"Paris-Match" e l'intervista era ben pagata, e allora ero molto povero. Fellini acconsentì, e lo vidi un'intera mattina nel suo studio presso Trinità dei Monti. Sessantottino rigido, erano pochi gli artisti italiani con i quali avvertissi un necessario, quasi fisiologico bisogno di contrasto vivo, di confronto accanito, di una disputa che era anche (ora lo so) con me stesso oltre che con la parte più autentica, nel bene e nel male, della cultura del nostro paese, anche in quelli che mi parevano e continuano spesso a parermi i suoi li_mitie difetti. Questi artisti erano Pasolini, soprattutto, e poi Calvino, Bene, Fellini, Fortini e naturalmente la Morante con la quale però il conflitto era divenuto interno a un'amicizia molto profonda. Rimproveravo molte cose a Fellini, come è documentato nelle mie recensioni di allora. Egli mi lasciò sfogare, lentamente, sinuosamente, affettuosamente conquistandomi.L'intervista venne bella, l'incontro preludeva ad altri incontri, ma io odio le macchine e le macchine mi odiano: la registrazione risultò incomprensibile, inutilizzabile.Fellini non credette al sabotaggio della tecnica, pensò che, in qualche modo, non mi piacesse e non volessi utilizzarla per il mio rigorismo, per un giudizio negativo su di lui o non so per cos'altro. Il rapporto svanì, fino a quando, avendo io scritto per la prima pagina de "l'Unità" un articolo molto elogiativo su La voce della luna, non telefonò per ringraziarmi e invitarmi a cercarlo poi a Roma. Non lo feci, temendo una gentilezza non convinta. Ma mi cercò ancora e ci vedemmo. Posso parlare di una qualche amicizia con Fellini solo per gli ultimi tempi, ma nelle chiacchierate fatte con lui-alcune registrate, altre del tutto private - c'è stato modo, credo, di andare oltre la gentilezza,ilrispetto, la voglia di ascoltar raccontare e di raccontare. Posso dire di aver capito meglio Fellini da lui che dai suoi film? Direi di no, Fellini è tutto nei suoi film, basta guardarli con attenzione. È proprio il legame tra la loro colorata superficie piena dell'avventura e della scoperta dell'esistere e i momenti di silenzio, di sospensione, quasi di panico a dar loro quel sapore inimitabile (e che tanti si ostinano tuttavia a voler imitare) che ne fa un autore così straordinariamente italiano, e nel meglio. Come Saba o Penna, come la Morante o Pasolini, come Bene e Schifano ... È questo che gli ideologisti o gli accidiosi in qualche modo non hanno mai accettato e non gli perdonano. Parlando con Fellini, gli dicevo un volta di quando, ragazzo, lettore di "Cinema nuovo", fui tormentato dal fatto che mi piacessero tanto sia Senso che La strada, non capendo perché, a sinistra, fosse addirittura un dovere amare il primo e detestare il secondo. Nel mio contenutismo, Senso mi pareva un film bello e antipatico: parlava di ricchi e di traditori ed era quindi per forza un po' "di destra", mentre La strada parlava di poveri e di reietti e mi pareva dunque "di sinistra". Al tempo di La dolce vita gli attacchi gli vennero dal centro e dalla destra, invece. Erano ancora, nell'un caso e nell'altro, tempi di guerra fredda o ancora dalla guerra fredda segnati. Ma, dopo, una certa supponenza nei confronti di Fellini la cultura italiana ha continuato ad averla, e io con essa. A me dispiaceva in fondo quel tono così "cattolico" del suo cinema, sebbene avend< :mversato con Fellini anche di religione e di fedi non credo si poss Jefinirlo cattolico secondo i crismi di santa romana chiesa; la psicoanalisi e una sua divagante attcezio:1e
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