Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

CANTA NAPOLI Peppe Aiello In questi dieci anni a Napoli c'è stato davvero poco da stare allegri. Gli anni Ottanta erano cominciati nel peggiore dei modi, con un terremoto, che simboleggiò alla perfezione la fine delle speranze di rinnovamento del decennio precedente, e che portò a politici e imprenditori una frana di soldi, rendendo la camorra ancora più impeccabilmente efficace nello svolgere la sua funzione di controllo sociale ed economico. E i rampanti, gli emergenti, la nuova classe media, quelli che si inventano un mestiere, chi erano? A Napoli abbiamo visto camorra e politica in tenero abbraccio, gente lasciata a marcire per anni nei containers, bambini lavorare al nero, polizia che picchia e arresta disoccupati e senzatetto e studenti. Abbiamo visto una città sempre in bilico tra disperazione e sogno, sogno del quale non può fare a meno. E il sogno arrivò, e aveva colorito bruno, accento sudamericano e piedi d'oro, e vinse tutto ma perse se stesso, per la sua caparbietà nel voler restare libero in un mondo, quello del calcio, dove si può essere solo servi silenziosi. L'altro sogno, più fedele e duraturo, è stato la musica. I primi anni Ottanta erano gli anni di Pino Daniele, che dopo le sue prime canzoni, dove descriveva con un linguaggio scarno e realistico il mondo nel quale era vissuto, dimostrava, da Nero a Metà in poi, di saper rinnovare sonorità e struttura verbale della canzone napoletana, circondandosi di musicisti che condividevano quella stessa sensibilità, e scrivendo dei versi che respiravano insieme alla sua città. Ma anche se Pino Daniele in quegli anni era in cielo in teti-a e in ogni luogo, non va dimenticato che uno sguardo appena meno superficiale a Napoli permette, oggi come allora, di scorgere un confuso arcipelago, composto di gente diversa che ascolta musiche differenti, spesso nettamente distinte. La musica, specchio di una città che, vista dal 45° parallelo può sembrare folkloristicamente omogenea, appare frammentata come lo è Napoli, lacerata in quartieri tanto dissimili da poterli attribuire a città o forse a continenti diversi. La preferenza tra la quasi Europa del Vomero e la quasi Africa dei Quartieri Spagnoli è questione personale, come soggettiva sarà la scelta tra Enzo Avitabile e Mario Merola. Pino Daniele era sì una passione che apparteneva a tutta Napoli, ma per una fetta non trascurabile del popolo giovanile la sua conoscenza fu solo episodica, legata a brani come Je so' pazzo, essendo occupata ad ascoltare altro. Si sta parlando qui degli strati meno scolarizzati dei giovani napoletani, quelli che vivono nella kasba del centro storico o nel!' avvi I imento cementizio delle periferie ingozzate di eroina. Per loro la transizione musicale tra anni Settanta e Ottanta significò più che altro il passaggio dalla canzona 'nzista di Pino Mauro, quella del!' onore e della coltellata, alla canzone di liberazione sessuale e sentimentale di Nino D'Angelo. Delle sue storie di ragazzo proletario che lotta per il successo ciò che più colpisce le ragazzine, quelle che vivono costrette in un'organizzazione sociale basata su ruoli sessualmente ben definiti, è il nuovo modo di parlare dell'amore. Le cocenti tematiche del sesso prematrimoniale, dell'infedeltà, dell'instabilità della coppia, sono gli argomenti che continuano, a dieci anni di 90 distanza, a riempire le Fm delle radio napoletane. E a dispetto dell'ironia e della derisione rivolta ai tamarri, chi ascolta Nino D'Angelo e le decine di suoi colleghi ed epigoni, dimostra di avvertire il bisogno di una radicale trasformazione nei rapporti familiari e sociali. Così D'Angelo viene amato forse da meno gente che non Daniele, ma l'amore verso di lui è ancora più viscerale e profondo. A tutt'oggi la sua piccola stella non accenna affatto a tramontare, anzi proprio negli ultimi anni D'Angelo sta dimostrando una capacità di rinnovamento e di autocritica che è segno di grande vitalità. Quella vitalità che purtroppo Pino Daniele sembra aver gradualmente perso, dimenticando persino che la sua lingua è il napoletano, e che le sue canzoni in italiano solo raramente raggiungono la stessa efficacia di quelle in dialetto. In una scena dove, da Lina Sastri a Gigi Finizio, da Consiglia Licciardi a Renzo Arbore, in tanti si richiamano alla canzone classica, pochissimi si pongono il problema di rivitalizzare l'immensa espressività del napoletano. Tra quei pochi, fra i quali si spera torni presto Pino Daniele, c'è Peppe Ban-a, che ha utilizzato gli anni successivi al distacco della Nuova Compagnia per diventare interprete dalla personalità e versatilità senza pari. Ci sono i coraggiosi omaggi settentrionali - Conte, De André- con il loro napoletano curioso, di parole improbabili e pronunce affaticate. Ma soprattutto ci sono oggi i gruppi alternativi, o ex alternativi, come Alma Megretta, 99 Posse o gli infaticabili Bisca, più di dieci anni a suonare ovunque ci fosse un palco, e sempre alla ricerca di cose nuove. Questi gruppi, insieme a molti altri che cantano in napoletano, in italiano, in inglese o in quello che capita, hanno per pubblico quella parte dei giovani di questa città che sente la necessità di avere spazi nei quali fare ed ascoltare musica a prezzi accessibili, senza obblighi di mercato. A partire dall'occupazione del Tien' A'Ment, primo vero centro occupato a Napoli, fino all'esplosione dei 99 Posse, il concetto del fare musica a Napoli è cambiato, o si sta forse solo ulteriormente diversificando: stadi e palasport con biglietto a trentamila per il pop - Daniele, Bennato, Arbore; teatri, a quarantamila, per i neoclassici - Licciardi, Bruni; piazze e ristoranti, dal costo non monetizzabile, per i neomelodici - Nardi, Zappulla, Ricciardi; birrerie per il jazz pirotecnico di Sepe o per quello spaventosamente europeo di D'Errico; e infine nei centri sociali, a cinquemila lire-se le hai, sennò fai un po' di storie e hai lo sconto - il Tien' A'Ment per i Contropotere e Officina 99 per i 99 Posse. Tra ostilità, diffidenze, differenze e indifferenze ognuno se ne suona nella sua nicchietta ecologica. La diversità è senza dubbio ricchezza, ma come ci piacerebbe che qualcun altro seguisse l'esempio dei Bisca e Nino D'Angelo, di Murolo e Gragnaniello, e che quelle piccole cose fatte insieme potessero dilagare verso una contaminazione nella quale sentire, chissà, gli Alma Megretta insieme a Sergio Bruni, l'Art Ensemble of Soccavo con Ida Rendano, le Nacchere Rosse e i Contropotere. Come ci piacerebbe che questo sogno che ci ha permesso di sopravvivere e di stringere i denti in questi anni di Pomicini e De Miti e Delorenzi e Gavi, di questori manganellatori e di preti ipocriti, di morti ammazzati e di gente che vive in tuguri, come ci piacerebbe che questo sogno diventasse meno sogno, che riuscisse a diventare la colonna sonora di un cambiamento che tramutasse questa città in un posto dove non ci capiti più di svegliarci la mattina e sapere che quarantatré persone sono finite in galera perché chiedevano di lavorare.

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