'83/'93 - LA FOTOGRAFIA ' ' QUANTITA O QUAllTA QUALCHE NOME VECCHIO E NUOVO Diego Mormorio ell'Italia della volgarità e delle tangenti, in cui tutto si è fatto all'insegna dell'abbondanza e del lusso, la fotografia ha avuto uno spazio considerevole, riflettendo perfettamente l'andazzo generale. Negli ultimi dieci anni l'Italia è diventato il più importante mercato fotogiornalistico d'Europa: e ciò per via dei supplementi illustrati e di un numero imprecisabile di riviste su carta patinata. Ma a questo avanzamento della quantità ha corrisposto un netto arretramento della qualità. Le immagini pubblicate infatti hanno sostanzialmente riflettuto il gusto generale, ed essenzialmente il piacere della fatuità e della spettacolarizzazione. Sicché siamo stati assediati da una incredibile quantità di fotografie insignificanti, in gran parte riprese con obiettivi grandangolari. li grandangolare spinto è stato l'obiettivo degli anni Ottanta. Usato con la gente comune generalmente in modo invadente, talvolta sopraffattorio - puntando cioè la macchina fotografica a venti centimetri dal naso dei fotografati-, mentre di fronte ai vari personaggi esso ha semplicemente evidenziato iI cattivo gusto degli autori e degli "art director" dei giornali. Ma per fortuna, al di fuori di questa linea, abbiamo anche potuto ammirare il lavoro di alcuni giovani fotografi, come Ernesto Bazan, Antonio Biasiucci, Enrico Bossan, Giorgia Fiorio, Roberto Koch, Fabio Ponzio, Paolo Titolo, Angelo Turetta, Franco Zecchin, Francesco Zizzola. li maggiore elemento di novità è stato comunque costituito dalle fotografie di Antonio Biasiucci, in cui le cose assolutamente ordinarie si presentano a noi con una indicibile carica di mistero. Ma di Biasiucci, spero, torneremo a parlare presto. Vorrei fare invece cenno ai due autori italiani che negli ultimi dieci anni hanno avuto maggiore successo internazionale: Gabriele Basi Iico e Luigi Ghirri. Quest'ultimo ha fatto della Pianura Padana una sorta di luogo incantevole e imprescindibile dalla modernità. Un luogo di struggente melanconia, di silenzi interrogativi, di sogni e ricordi di letture, di immagini viste altrove, di film, di musica classica, di melodrammi e di canzoni. Le strade della Padani a dovranno forse aspettare qualche decennio per sentirsi accarezzare dai passi di un raccoglitore di immagini come Ghirri, di un uomo cioè che ha sentito tanto profondamente il richiamo del moderno insieme alla memoria dell'antico. Prematuramente scomparso a 49 anni, all'inizio del 1992, Luigi è stato uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, una figura chiave di questa fine secolo. Le sue fotografie hanno dato all'Italia un primato nel campo della fotografia di paesaggio: del paesaggio inteso come mappa dell'Io. Decine di fotografi di tutto il mondo si sono rifatti a lui. Ma difficilmente qualcuno potrà eguagliare la concettualità e la poesia che Ghirri sapeva mettere nelle sue immagini: quella sua capacità di guardare il già visto "come se fosse la prima volta". Già nel I 978, il critico letterario del "Le Figaro", Michel Nurisdany, lo definì "L'un des photographes le plus passionnant d' aujord'hui", suggerendo una stretta correlazione tra la fotografia di Ghirri, la narrativa di Peter Handke e il cinema di Wenders. Ma, in questa prospettiva, bisognerebbe fare anche il nome di Borges. 80 Queste le emblematiche corrispondenze. Quanto alle ascendenze, o meglio alle influenze, bisogna innanzitutto fare il nome di Wal ker Evans ("L'autore che ho amato, che amo e che sento più vicino", diceva Luigi), ma anche quelli di Robert Frank e Lee Friedlander, tre fotografi che magnificamente esprimono la fotografia del Novecento. Per parte sua Gabriele Basilico è partito da una luminosa giornata di primavera della fine degli anni Settanta. "C'erano - ha raccontato - sottili vibrazioni nel!' atmosfera, e del vuoto era percepibile il suono silenzioso, avvolto dal profumo dell'aria pulita sospinta da un vento tiepido ma deciso. Quella indimenticabile sospensione della luce mi ha dato effettivamente la possibilità di vedere attraverso una realtà che nella dimensione quotidiana ha un aspetto molto diverso. ( ...) Sono state la percezione del vuoto, l'esperienza plasmante della luce a confronto con le ombre nette e profonde a farmi scoprire questo diverso sembrare dell'architettura industriale." Si direbbe sia stato un caso. Ma di fatto, in quella giornata Gabriele Basilico ha scoperto la via per esprimere interamente la propria vocazione. Infatti, a partire da questo modo di vedere l'architettura industriale, egli ha elaborato una sua inconfondibile poetica. In essa la luce è tutta l'anima delle cose. Nelle immagini di Basilico non accade nulla: tutto è accaduto e tutto deve ancora accadere. Ognuno degli spazi da lui fotografati sembra attendere il nostro arrivo, una presenza che li strappi al silenzio dell'eternità. Vivente allo specchio Piera Oppezzo "Chi sei". "A chi ti consegni". Vivente martella. Andando più vicino. Un voltare la testa. Omettere. La lastra specchiante si svuota. Riflette la parete. Ecco quando il silenzio non è un buon silenzio. Aggirandosi vivente si rimette all'opera. Riparte con le domande. Le pietrifica. Per dedizione si sdraia su questo sepolcro. Inerte vuole che tacere non sia l'ultimo atto. Lento il tempo scivola sul suo stesso spreco. Sottomette ansia sgomento insistenze. Ignora. Vivente dice questo. el silenzio e a nessuno. Per tentare l'impossibile si alza e ospita il sospetto. Ritorna a essere chi era chiedendosi "chi sei". Serpentina rotonda "a chi ti consegni" accerchia. Della prima domanda mostra e ripete la sostanza. Vivente a questa replica si ascolta come un ordine. ( 1992)
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==