Comunque in questi anni e in questo scenario lacerato, alcuni organismi, gruppi ed anche singoli individui, lavorando in controcorrente rispetto alle tendenze dominanti, non hanno rinunciato alla sfida del nuovo e, proseguendo un lavoro di frontiera tra diversi territori, tra arte, nuove tecnologie, nuovi prodotti e nuove dinamiche socio-culturali, sono riusciti ad immergersi sotto la scorza della superficialità e ad innescare un proprio territorio di esperienze e di sperimentazioni. Nonostante le contraddizioni più laceranti sulla propria identità viene chiarita un distanza disciplinare necessaria rispetto ai linguaggi storici, mentre emergono con maggiore nettezza quelle peculiarità che distinguono i tratti di una ricerca sui linguaggi tecnologici. Il "video" ad esempio si configura sempre più come una esperienza di transito, un vero e proprio ponte che tende ad unire (e non a recidere) in una sorta di continuità storica l'universo della cultura materiale con il pianeta della cultura immateriale; che cerca di sintonizzare l'esperienza del naturale con quella nuova dell'artificiale. Il video si definisce nel flusso di esperienze che vanno dalla videoarte alle videoambientazioni, dai programmi tv alle emissioni interattive, dalla computer arte alle sperimentazioni sulla realtà virtuale. Tentativi che attraversano un campo noto e consumato verso uno nuovo e sconosciuto. Se si accetta questa formulazione di transito dell'esperienza video, della sua stessa definizione, allora occorrerà moltiplicare gli sforzi per capire dove questo ponte porterà, quali sono le caratteristiche di questo territorio che si profila al di là, e quali di conseguenza dovranno essere i nostri comportamenti. Altrimenti se nei pensieri degli scettici questo ponte si configurerà più come un pontile, percorso ossessivamente avanti e indietro dagli affascinati delle novità e dagli inebriati di gadgets elettronici, di questo ci si potrà occupare in altro momento. Un molo, come si sa, si affaccia solo su un orizzonte, lontano ed indefinito. Nell'elenco delle falsità e degli opportunismi di questo decennio va di diritto ad aggiungersi anche questo diffuso atteggiamento. Pur essendo quest'ultimo il pensiero ancora più corrente, credo che nessuno, se non appunto in malafede, ora possa non accorgersi che quest'orizzonte non solo non è così lontano ma che addirittura il panorama accanto a lui si è già trasformato, i comportamenti stanno già mutando, la sua psiche e la sua immaginazione stanno cambiando. Benché la nostra capacità di adattamento sia rapida e rilevante, nessuno può non essersi accorto della progressiva penetrazione prima dei sistemi televisivi, poi dei computer ed ora delle grandi reti integrate multimediali e interattive che progressivamente ci fanno scivolare, come dice Philippe Queau, "verso una civiltà nella quale la nozione di reale presenterà contorni più incerti. Le immagini virtuali, numeriche e sintetiche, si sostituiscono in misura crescente alla realtà: non si accontentano più di simulare o di rappresentare il mondo, diventano esse stesse dei 'mondi' nei quali è possibile lavorare, avere relazioni sociali e persino amorose, e all'interno dei quali sarà possibile passare la maggior parte del nostro tempo". Questo è il territorio che sta dall'altra parte del ponte, ma che fuori dalla metafora paesaggistica, è la dimensione che stiamo già in una certa misura praticando. E qui non se ne può fare certo una questione di sentimenti, odiare o amare, ma di necessità. Di fronte a questa mutazione profonda e mai conosciuta i cui effetti sono così vicini e già così penetrati nella quotidianità occorre un assetto di emergenza, di mobilitazione totale, di ricerca di nuovi strumenti operativi e teorici. Vincendo le ragioni di un ritardo preconcetto e sospetto occorre terminare la costruzione di questo ponte, permettere la sua funzione equilibratrice e comunicativa (che strana analogia questa del ponte a confronto delle grandi opere di edilizia pubblica avviate in questi anni: grandiose, costose e inutili quelle realizzate, lasciate a metà o neppure iniziate quelle necessarie). All'inizio degli anni Ottanta, una delle prime esperienze che feci con il video fu quella di riprendere, per una videoinstallazione, una goccia che cadeva su una superficie d'acqua. Una immagine molto ravvicinata che veniva trasmessa da un monitor collocato sul pavimento con lo schermo rovesciato verso l'alto; un metro sopra di esso un bicchiere appeso ed inclinato, riempito sino al colmo, tanto da far supporre che la goccia del programma provenisse da lì. Una immagine semplicissima, reiterata. In quello sguardo così iperreale della telecamera (ma che andava ben oltre il fatto rappresentativo perché seppur in forma diversa la goccia c'era, non era semplicemente evocata), ho ritrovato e riscoperto la bellezza, il ritmo, la complessità del "mondo" di una goccia che cade. Il video mi ha fatto da tramite, ha ridato visibilità ad un fenomeno di cui non mi accorgevo più e che, nella sua semplicità, ha ancora molto da dire. Certo, questa piccola esperienza è anch'essa una goccia di fronte all'oceano dei problemi. Ma come lo sguardo sintetico di una videocamera ha restituito il piacere (non solo a me) di ritrovare una relazione con quella minuscola realtà, credo che usando e sperimentando consapevolmente ed adeguatamente i linguaggi della tecnologia si possano creare percorsi per rivalutare le relazioni tra gli uomini e il gusto stesso del reale. Anzi credo che questa sia una delle poche strade praticabili di fronte allo scempio del naturale, al degrado etico degli uomini e all'enorme complessità dei problemi che soprattutto questo decennio ha inesorabilmente mostrato. Una strada in cui la ricerca, l'invenzione, la creatività di nuovo connesse ad una funzione attiva, dovranno avere una importanza determinante, indispensabile a forgiare una realtà che altrimenti, se lasciata a se stessa e ad un progresso incontrollato, potrebbe minarsi in profondità e definitivamente. Mi piacerebbe che un futuro incontro, primo di questo prossimo decennio, potesse intitolarsi: Ora la poesia è proprio necessaria. Ci sarei. Il pranzo trionfale Nicola Miglino A tavola eravamo un po' voraci di branzini sognati sulle braci, ma prima ci legarono ai lor baci le cornutelle vongole veraci. "A casa tua si mangia tanto e bene" poi fraseggiò educato, ma beato dentro il cielo più alato mi proclamò, guizzante nelle vene, il riso del suo sangue immacolato fino ai grandi occhi al blu di metilene. 77
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