Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

'83/'93 - IL VIDEO ~ NECESSITA DELLA POESIA DENTROUNA MUTAZIONE Paolo Rosa L'ultimo dibattito a cui sono stato invitato si intitolava Odio i video. Quello precedente La virtualità è illusione. Comincio a temere che il prossimo potrà essere La televisione, chi l'ha mai vista? Nel caso non ci sarò. Le affermazioni, i sentimenti espressi nella paradossalità di questi titoli e anche in quella di molte delle varie argomentazioni che ne sono seguite, confermano come sia ancora oggi sfumato e poco chiaro in Italia il fenomeno delle nuove tecnologie, quanto contraddittoria e preconcetta rimanga la sua interpretazione, come intenzionale, perciò sospetta, è la sua sottovalutazione. Eppure gli ultimi dieci anni, nel bene e nel male, sono stati cruciali per la manifestazione di questi fenomeni: sono emersi in modo dirompente nella quotidianità e hanno generato nuovi comportamenti, si sono scoperti in modo clamoroso in eventi gravi come la guerra del Golfo (vero vademecum dell'era elettronica e virtuale), in modo più sottile ed infido nella tragedia dell'Est, in modo apocalittico nel dramma albanese e iugoslavo. Tuttavia al di là delle parole e delle immagini, versate a fiumi nella loro formula giornalistica, poche sono state le analisi convincenti sulla natura di queste nuove tecnologie, altrettanto sparute e non evidenziate le ricerche sui linguaggi che esse sollecitavano, pressoché nulli gli incentivi, istituzionali e non, per esplorarle. Particolarmente sacrificata è stata quella componente, p1u riflessiva e svincolata, che di questi linguaggi ha cercato il risvolto creativo e immaginario; quella parte cioè che attraverso la sua intensità di informazione e poesia può riorganizzare la percezione e la consapevolezza dei processi in cui siamo immersi. Stretta tra il freno restauratore della cultura tradizionale e l' acceleratore dello sviluppo tecnologico, questa attività infatti, conosciuta sinora come "video" (ma il termine è restrittivo rispetto alla varietà di esperienze), ha faticato per trovare una dimensione nel la quale esprimere sino in fondo iIsuo potenziale ed evidenziare maggiormente la sua necessità. Compressa tra due interessi diversi che hanno concorso a limitarne uno spazio possibile di sperimentazione, da una parte troppi paradigmi da ridefinire e dall'altro poco tempo per esperienze più riflessive, il video si è trovato nella condizione di dover percorrere un cammino un po' indefinito e a tratti ambiguo. Nella prima parte della sua storia il "video" era stato adottato, seppur in modo travagliato, all'interno dell'area delle arti visive. Dapprima come memoria a supporto di opere che divenivano via via più performative, poi come citazione contro l'invadenza televisiva, successivamente, sotto la definizione di videoart, come strumento di per sé espressivo, materiale in più nella tavolozza delle possibilità. Ma all'inizio degli anni Ottanta, a seguito anche di un miglioramento tecnologico delle attrezzature e di una loro più larga diffusione, il fenomeno esplode invadendo tutti i settori espressivi, contagiando (è significativo che contaminare fosse il termine 76 più usato allora) tutti gli ambiti disciplinari, favorendo l'intrecciarsi di numerose esperienze. Irrompono così nella scena una enormità di definizioni tutte caratterizzate dal prefisso video: videoclip, videodanza, videolettera, videoconferenza, videogioco, videofilm, videoteatro, videofumetto e molte altre. Il video si imparenta con tutti e con tutto. Ogni cosa pare riprendere senso, modernizzarsi, rivitalizzarsi anteponendo solamente quella parolina breve. Ma la logica di quegli anni arruffoni e arraffoni invece che sedimentare quella preziosa vitalità spontanea e cavarne suggestioni ed elementi utili, per esempio creando nuovi parametri interpretativi, sollecitando la creazione di centri produttivi, generando ambiti sperimentali dentro le scuole e le università, ha oscurato il peso specifico di queste esperienze, superficializzandole o peggio ancora inglobandole dentro reti di vecchi significati o di nuovi interessi, complice un apparato critico delle varie discipline frastornato o cinico. Una grande confusione, chiamiamola pure postmoderna, che ha sortito l'effetto di ridurre i 1 fenomeno, nel senso comune della gente, anche quella più sensibile, ad un rumoroso decoro di fondo, fragile quanto nevrotico. Probabilmente inutile. Così velocemente, di fronte alla tentazione troppo frequente di uscita dai certi parametri di riferimento per avventurarsi in territori sconosciuti, una atmosfera restaurativa prende il sopravvento nella cultura tradizionale e chiude un ciclo. L'attorcigliarsi frenetico delle esperienze e la curiosità si smorzano. Le "belle arti" rientrano nelle "brutte" gallerie, il "nuovo" teatro nel "vecchio" palcoscenico, la musica nelle armonie. Il cinema, èhe si sente in Italia ancora la più contemporanea delle arti, brucia qualsiasi tentativo sperimentale. In questo ritrarsi nei propri confortanti e assistiti confini, ciascuna disciplina, dopo aver invaso come una marea questo territorio intermediale, ingoiando tutto ciò che era possibile trovare sulla sua superficie, lascia uno specchio levigato, proprio come una spiaggia dopo la marea. A questa brusca frenata del quadro generale corrisponde, come detto, una repentina accelerazione dovuta alla sempre più diffusa e sofisticata applicazione del le nuove tecnologie. Per dare solo un'idea, si pensi che in poco più di un decennio siamo passati da approssimativi sistemi di videoregistrazione alle complesse realtà virtuali. Questa accelerazione, tuttora in atto, non ha favorito l'accumularsi delle esperienze più riflessive, necessarie a consolidare i percorsi, ha sviluppato invece quelle più utilitaristiche e funzionali e ha concentrato gli ambiti di sperimentazione in luoghi strategici, quello militare davanti a tutti. Gli avanzamenti si sono caricati così di un segno negativo. La ricerca è stata in questo modo ancor più espropriata ai poeti e agli artisti, lasciando loro la possibilità di rappresentare solo il malessere, l'inquietudine e solo in ambiti ben determinati la conflittualità.

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