Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

TEATRI UNITI Mario Mortone Teatri Uniti si è formato nel 1987, ma la sua origine risale a un po' prima, giusto a metà degli anni Ottanta. Fino ad allora il gruppo che avevano formato nel '77, Falso Movimento, contava otto persone di base (Tomas Arana, Angelo Curti, Lino Fiorito, Licia Maglietta, Pasquale Mari, Andrea Renzi, Daghi Rondanini e me) ed era stato sempre compatto, schierato, autosufficiente come è nella tradizione dei gruppi, almeno durante gli anni, non molti, in cui un gruppo riesce a essere vitale. Il gruppo diventa infatti una famiglia e, se questo può incidere profondamente nel rapporto affettivo dei componenti, non c'è dubbio che diventi a un certo punto una morsa dalla quale bisogna liberarsi. Ne11'82 avevamo realizzato Tango Glaciale e fu, nell'ambito del teatro off, un successo internazionale. Avevamo poco più di vent'anni. Questo successo ci rafforzò e ci indebolì allo stesso tempo. Ci mostrava da un lato come anche una scelta espressiva radicale e non istituzionalizzata potesse imporsi all'attenzione generale, ma ci esponeva dall'altro alle lusinghe del mercato e del consumo culturale, fenomeni che in quegli anni Ottanta erano in piena espansione. Fino a Tango Glaciale non dovevamo chiederci "come fare", dopo sì, e vennero anni di crisi. Fu in questa fase di depressione che cominciammo a porci alcuni interrogativi: ha senso continuare un lavoro sulla contaminazione, sulla citazione, sulla disseminazione dei segni e delle immagini quando tutto questo viene comunque divorato dai mass-media? E poi, ci corrisponde ancora questo universo da villaggio globale? Non dobbiamo cercare di capire piuttosto qual è la nostra identità, sotto Ja maschera patinata dell'omologazione? Queste domande spingevano da un lato a un chiarimento con noi stessi, dall'altro a incontri con artisti che pur avendo percorso una strada diversa fossero anche loro in cammino e disponibili ad aprirsi, a mutare, a non incatenarsi alle forme raggiunte ed espresse fino ad allora. Incontrammo per primo Antonio Neiwiller. Proveniva dal Teatro dei Mutamenti, con cui aveva messo in scena Brecht, Petito, le avanguardie storiche insieme a compagni come Renato Carpentieri, Tonino Taiuti, Silvio Orlando. Aveva formato un nuovo gruppo di lavoro e aveva appena realizzato Titanic-the end, uno straordinario spettacolo che conteneva in nuce tutta l'evoluzione del suo teatro. Interpretò da protagonista Il desiderio preso per la coda che misi in scena ne11'85 e credo non sia stato un caso che il nostro primo lavoro insieme avvenne ali' insegna della pittura. Ma Antonio, con la sua presenza e il suo corpo, irrompeva come una rivelazione di verità e di umanità nel disegno formale del nostro teatro. Nell'86cominciammo a lavorareaRitornoadAlphaville. La preparazione di questo spettacolo-laboratorio durò a lungo e ci impegnò in una strana forma di autoanalisi: attraverso la rielaborazione teatrale del film Alphaville di Jean Luc Godard esibivamo in filigrana il nostro turbamento espressivo, l'incertezza tra l'abbandono di tutto ciò che avevamo realizzato fino ad allora e l'incognita di un nuovo sviluppo tutto da costruire. Lo spettacolo aveva infatti diversi piani di lettura ed uno di questi era proprio il nostro dibattito interno. Durante la preparazione di Ritorno ad Alphaville chiamammo a lavorare con noi Toni Servillo, leader del Teatro Studio di Caserta, gruppo a noi vicino da sempre per età e affinità, e che negli ultimi tempi attraversava anch'esso una fase di riflessione e mutamento. Diverse persone si incontrarono così sul palcoscenico di Ritorno ad Alphaville, che fu l'ultimo spettacolo di Falso Movimento e quello dove si gettarono le basi di Teatri Uniti. L'incontro tra tutti noi era stato ricco e vitale e tutti sentivamo di voler cambiare: nella primavera dell' 87 proposi al mio gruppo di unirci a Neiwiller e Servillo rinunciando al nome Falso Movimento, e ai miei due nuovi compagni di unirsi a noi. Tutti accettarono con entusiasmo. Non volevamo formare un nuovo gruppo, ma dare vita a un organismo più ampio, più libero, dove ciascuno fosse autonomo e allo stesso tempo pronto a collaborare, dove il lavorare insieme non fosse dettato da un obbligo "familiare" ma dalla scelta reciproca delle diverse persone, di volta in volta per ogni progetto. Non ci sarebbe stata più la visione di un solo regista, quindi, ma visioni diverse che si confrontavano: e i temi erano molti, legati soprattutto dalla necessità di ridare dignità al lavoro del!' attore, di riconsiderare la possibilità del racconto attraverso forme non usurate, di non disperdere l' eredità linguistica dei nostri gruppi. Per me era molto significativo che l'incontro avvenisse con due registi-attori, e che le discussioni tra di noi non fossero tanto incentrate sul programma "culturale" dei testi da mettere in scena, quanto su chi dovessero essere gli attori sui quali e per i quali pensare il nostro teatro. Il mio ruolo di "regista" veniva al tempo stesso spiazzato e arricchito dal sentirmi parte di una compagnia variegata e creativa. Cominciavo a pensare che se un bravo attore è colui che è capace di creare un rapporto reale in scena con gli altri, Ja stessa tensione dovrebbe animare il regista, che troppo spesso è invece portato a considerarsi dominatore. Nei nostri discorsi ci riferivamo a esperienze che non sono mai state riconosciute ufficialmente, anzi sono state spesso osteggiate, come quelle di primattori-capocomici formatisi negli anni dell'avanguardia come Carlo Cecchi e Leo De Berardinis. Esiste infatti una continuità, credo, tra la tradizione italiana del teatro d'attore e il lavoro dei gruppi, ed è data dalla loro pulsione vitale, dalla sostanza carnale prima che intellettuale di queste pur diversissime esperienze. In quel periodo Napoli cominciava a ripresentarsi ai nostri occhi dopo lunghi anni in cui l'avevamo rimossa. Adesso chiedevamo ai corpi dei nostri attori di esprimere anche la propria origine sul palcoscenico, e guardavamo ai nostri luoghi per mettere a fuoco la nostra identità. Ci fu ancora un incontro: con Enzo Moscato, che aveva fino ad allora scritto dei drammi e che, sollecitato anche in questo caso da Toni Servilio, realizzò nell'88 per noi un testo in versi libero da schemi drammaturgici ispirato al soggiorno napoletano di Giacomo Leopardi, Partitura. Toni lo mise in scena, ma da lì a qualche anno lo avremmo di nuovo affrontato rielaborandolo liberamente nello spettacolo Rasoi, di cui Napoli era il tema. Per parte mia, molte crisi, errori e spinte alla fuga hanno costellato questo decennio. Ho cercato di fuggire dalle certezze apparenti, dalle forme cristallizzate, dagli schemi consolidati. Con Teatri Uniti ho poi realizzato il film Morte di unmatematico napoletano, credendo, e verificando ancora una volta, che questo insieme di persone non fosse solo una "compagnia" di teatro, ma un insieme vivo capace di inventare da sé il modo con cui produrre un'opera, di cinema o di teatro che fosse. 75

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