'83/'93 - IL TEATR=-0=----~-----------------~~-- LE PAROLE DALLA SOLITUDINE FRAMMENTIDIMEMORIA, DOMANDE ETICHE Renata Molinari Dieci anni: un anniversario, un catalogo, frammenti di memoria. C'è sempre un trabocchetto dietro ogni riepilogo, l'evidente tentazione di fare un bilancio, di ingabbiare il presente nella cronaca di ieri. La memoria si confonde con la classificazione, e quello che del passato potrebbe ancora essere attivo viene inscatolato con la sua bella etichetta: una mappa, più o meno dettagliata si sostituisce alla geografia vitale dei percorsi e delle relazioni. Tabulati, indici di gradimento, fortuna di mercato, asterischi, graduatorie ci vengono incontro ad ogni scadenza, da pagine stampate che sempre più assomigliano a istruzioni per l'uso nell'universo del consumo. La tabella delle calorie domina nelle diete intellettuali, separando dal nutrimento la fame e il gusto. E così ci allontaniamo sempre più da quella condizione di contaminazione e contagio che costituisce l'humus della cultura teatrale. Mi rendo conto che questa premessa può suonare fra il moralistico e il pedante, ma esprime una difficoltà reale: quella di volere rispondere a una richiesta spiazzante nella perentorietà e nella fiducia che esprime, cercando di spostare il senso che mi sembra di cogliervi. Mi piacerebbe, anche se queste righe dovessero rimanere interne alla redazione, che il teatro non restasse, anche qui, una sezione, ma che aiutasse a dare forma a una riflessione più composita e "obliqua", come lo sguardo che da una tragedia ali 'altra fa rimbalzare la fatidica domanda: "A che punto siamo della notte?". Ma torniamo ai nostri anni Ottanta, che già si presentano teatralmente come anni di bilanci, rassegne, anniversari, assestamenti istituzionali, proprio mentre sembrano venir meno i movimenti, le poetiche, gli enti stessi deputati a dare norma ali' esistente. Anni dijìnali di partita tanto dolorosi da fare pensare che non se ne possano aprire altre, tanto grandi da coprire con le loro conseguenze le mosse dei nuovi giocatori. Julian Beck è morto, Kantor, Eduardo ... e forse ci si è troppo affrettati a commemorarli, come a ratificare, con la fine della loro vita, la fine della possibilità che essi hanno incarnato e indicato. E negli stessi anni si sono lasciate morire, più o meno naturalmente, quelle realtà, istituzionali o di movimento, che consentivano agli uomini di teatro di confrontare e fare conoscere differenti pratiche teatrali. Visioni e bisogni, utopie e magisteri, volontà e vocazioni: e fra questi gangli vitali quel sistema di relazioni che solo dà senso a un teatro non mortale per il corpo sociale nel quale si manifesta. Perché sempre i I teatro deve essere e rendere evidente la relazione che lo rende possibile. Perché "il teatro non è tutto", "se si ha un'idea totalizzante del teatro tutto si risolve al suo interno", noi dobbiamo cercare "cosa il teatro non è ma l'alimenta": così Antonio Neiwiller nel marzo del 1990 indicava il doppio sguardo necessario per fare teatro, e per parlarne, uno sguardo più che mai necessario nel paradosso del nostro presente di specialisti e omologazioni. La competenza che si richiede oggi per uscire dalle pastoie e dai velleitarismj del dilettantismo, è sostenuta anche dalla capacità di guardare all'oggetto della propria arte con una visione che lo accolga, assieme a noi, in una percezione del nostro 72 agire più distaccata e composita. Si può definire straniamento, forse si tratta ancora una volta dello stupore di chi sa fare grandi le cose piccole e piccole le grandi lasciando vivere dentro di sé la capacità d'amare. Ed è proprio qui il primo intreccio del nostro sistema di relazioni, "perché non ci sia più l'amore ancella/ di matrimoni,/ di lascivia/ e d'un pezzo di pane". Sembra di risentirla la voce di Narciso urlare le parole di Majakowskij, contro i "tiepidi" della nostra scena, non solo teatrale. Sembra di risentirla, il teatro, celebrato luogo dell'hic et nunc, ha nella memoria l'organo per eccellenza. La memoria dell'attore nutre la vita del personaggio, la memoria rende possibile la ripetizione e l'organicità, il corpo del performer è corpo di memoria che si attiva reagendo "all'improvviso", secondo un sapere sedimentato nell'esercizio quotidiano che trasforma il riflesso condizionato nell'imprevisto dell'azione. Memoria emotiva e reviviscenza: ma ogni riscrittura di una testo per e sulla scena non è in fondo un'attivarsi della nostra memoria personale o generazionale di fronte agli archetipi o ai classici? E infine la memoria dello spettatore, questa particolarissima facoltà di creare nella propria mente un montaggio di immagini, azioni e parole in cui abitudine quotidiana ed evento extraquotidiano si fondono in una memoria attiva che fa del tempo dell'esperienza un momento d'incontro fra individuazione e storia. E fra individuazione e storia si apre, quasi naturalmente, il varco della politica. Una pratica della rappresentazione che si costituisce materialmente sulla relazione (memoria/presenza, personaggio/interprete, attore/spettatore, spazio/durata ...) ungesto che si definisce solo ali' interno di un agire pubblico porta con sé almeno una istanza politica. Per ripetere la vecchia domanda brechtiana: "È possibile esprimere il mondo d'oggi per mezzo del teatro?". La risposta che Brecht dà a questa domanda è ancora attiva: "Il mondo d'oggi può essere descritto agli uomini d'oggi solo a patto che lo si descriva come un mondo che può essere cambiato". E può essere ancora più attiva, se la si confronta con la molteplicità di trasformazioni con cui la scena stessa oggi si confronta. Proprio le tante minacciose e paventate presenze degli "altri media" costituiscono oggi una grande possibilità per il teatro di rappresentare già dall'interno un mondo in grado di cambiare. Pensiamo solo alla varietà delle Lingue riattivate oggi sulla scena: a teatro, più che altrove, oggi si tornano a praticare le I ingue come materia di costruzione poetica. La scena ha ritrovato la strada della poesia e, nella poesia, del dialetto e, nel dialetto, delle lingue metropolitane. Dà corpo e respiro alla babele dei nostri linguaggi e attraverso questa presa di parola - dal grammelot, alle lingue morte, alla "lingua automatica", al vernacolo, alla "madre lingua" - restituisce identità al soggetto che parla attraverso i I teatro. La lingua, nella sua oscillazione tra identità e forma, porta con sé uno dei motivi più dibattuti del teatro di questi anni: quello delle radici. Mai come oggi c'è stata tanta consapevolezza della radicalità della ricerca teatrale, proprio nel suo confronto con la
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