Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

presenza di innumerevoli epigoni, con l'aiuto di un'egemonia strutturalistica e neo-formalistica durata nelle università per circa vent'anni, il linguaggio poetico si è progressivamente svuotato e indebolito. È diventato inadatto all'elaborazione di esperienze nuove. Quasi senza rendersene conto, ipnotizzati da un'autorità teorica che definiva la lingua poetica come lingua che fugge dalla discorsività, dall'emotività e dalla rappresentazione, la maggior parte dei giovani autori che hanno cominciato a pubblicare dagli anni Settanta non hanno varcato i confini e i recinti ristretti assegnati dall'estetica formalistica e dalle avanguardie informali: secondo cui, in poesia, tutto era possibile, tutto era concesso, fuorché dire qualcosa. Nonostante tutta la sua insistenza sulla tecnica, il formalismo, quando si è trasformato da attenzione al linguaggio in estetica, in teoria generale della letteratura come letterarietà, ha finito per produrre idealismo. Cioè: la letteratura come idea e il linguaggio poetico come mito. Con una certa approssimazione provocatoria, si potrebbe dire che l'ultimo vero mito prodotto dalla letteratura europea è stato proprio l'idea di letteratura. Un mito il cui merito e la cui responsabilità sono da attribuire soprattutto alla cultura francese: che, dagli anni Sessanta in poi, è riuscita a fare a meno tanto del romanzo quanto della poesia a tutto vantaggio della critica, e della scrittura filosofica, post-filosofica e teorica. Quanto meno poesia e narrativa si scrivevano, tanto più grandiose, suggestive, pervasive e internazionalmente influenti diventavano la critica e la teoria letteraria prodotte in Francia. Una sontuosa propaganda fatta alle possi bi 1ità trasgressive, critiche, generati ve di una letteratura assai esigua, quasi sparita, ridotta appunto all'idea di se stessa. Tutto diventava letteratura, cioè Scrittura: la critica, la storiografia, le scienze umane, la filosofia. I confini Due poesie Giovanni Giudici Le ginocchie Sgattàiola alla rampa Dai troppi erti scalini (a mio nipote Marco, per quando saprà leggere) Il poco più che infante e l'assalta Con mossa ardita e malcerti piedini Poi all'avo d'ossa rotte Che lo arresta in una stretta: Con le ginocchie! con le ginocchie! Sublime implora per lingua imperfetta Quiero llorar Ti ho già detto tutto Ora sola mi resta Questa voglia di piangere La notte sul cuscino sempre asciutto della Letteratura, intesa come macchina testuale che divora se stessa, si dilatavano enormemente, impedendo che l'idea e l'essenza letteraria facessero davvero attrito con qualcosa di diverso e di estraneo. Nonostante la dipendenza coloniale della cultura letteraria italiana da quella francese, in realtà nella nostra poesia qualcosa di interessante e di inatteso stava avvenendo in quegli anni. Per brevità, faccio solo due nomi, quelli di Montale e di Pasolini. Due casi di progressivo e accelerato avvicinamento della poesia alla prosa, della lirica alla discorsività. La vicenda è tanto più interessante per la diversità di temperamento e per la distanza generazionale fra questi due poeti. Montale era stato in Italia il punto culminante della poesia tardo- e post-simbolista, un virtuoso manierista del monologo allusivo, cifrato, in codice. Pasolini era partito dal lirismo dialettale per arrivare al poemetto civile. Sia l'uno che l'altro, all'inizio degli anni Settanta, portano la poesia verso la prosa. Montale, da Satura in poi, diventa un poeta satirico, colloquiale, cerimoniale, semi-giornalistico e blandamente auto-divulgativo. Pasolini, sempre più scontento di sé, con Trasumanar e organizzar tocca il limite della trasandatezza stilistica: le sue poesie diventano sciatti articoli in finti versi. Una versificazione sempre più incerta e informe era ormai inadatta a esprimere una poesia che stava diventando sempre più potentemente e aggressivamente argomentativa. Montale aveva sciolto e articolato in nessi razionali, in gradazioni ragionevoli, le sue perentorie e intimidatorie allegorie, quasi mettesse in ritmo e rima i suoi corsivi sul "Corriere della sera". Pasolini inventava un nuovo efficace organismo formale: il poemetto ideologico in prosa, l'articolo "di poesia". Soprattutto con Lettere luterane questa riconversione del poemetto civile in una prosa argomentativa energicamente ritmata, in cui la frase prende il posto del verso, viene portata a compimento. La tecnica poetica viene spostata sulla prosa polemica. Toccare i confini della poesia, spostarli, forzarli diventava un atto vitale necessario per uscire da sistemi stilistici che tendevano a chiudersi. Ed è significativo, credo, che anche un poeta come Pasolini, che si era formato nella polemica contro l'ermetismo e la poesia pura, abbia sentito il bisogno, alla fine, di andare oltre la poesia in versi, trasformando il poemetto di confessione e di denuncia in una prosa saggistica costruita sulla ritmica dell'argomentazione. Una tendenza della poesia verso la prosa si era comunque notata già da tempo, anche in altre letterature. Tutti sanno che alcuni dei maggiori e più originali poeti del Novecento sono tipicamente antilirici e prosastici e hanno applicato tutta la loro inventività formale nella lotta e nell'attrito con contenuti e messaggi che sembravano refrattari al linguaggio poetico: E\iot, Majakovskij, Brecht. L'idea del linguaggio poetico come fuga dal significato e dal referente extra-linguistico già con molti grandi poeti del primo Novecento non funziona. Ma, più tardi, basti pensare a un poeta come Wystan H. Auden, che mette in versi satire, epigrammi, fluviali elucubrazioni saggistiche. Perfino in area post-surrealista avviene qualcosa di sintomatico: Francis Ponge scrive poemetti di osservazione e di riflessione saggistica in prosa, anche se spesso il risultato è dubbio (direi: vale più il proposito che il risultato). O più recentemente, in Germania, un saggista satirico in versi e in prosa come Enzensberger. Si potrebbe continuare. Ma mi interessava soprattutto indicare la reversibilità di prosa e poesia. Chissà che in futuro non sia Kafka a influenzare i poeti. 65

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==