'83/'93 • LA POESIA CONFINI DA SPOSTARE NELLAREGIONEDEIPOETI Alfonso Berardinelli Per conoscere i confini di una qualsiasi regione si deve avere un'idea di quella regione. O forse meglio: è la conoscenza dei confini che ci fa capire di quale territorio stiamo parlando. Con la poesia questo discorso dei confini e dei limiti diventa un bel guaio. Infatti, come tutti sanno, noi sappiamo e non sappiamo che cosa la poesia è e di che cosa pari iamo parlando di poesia. Definire la poesia, cioè tracciarne i confini, è stata una delle più appassionanti e fallimentari imprese del pensiero estetico. Da anni, ormai, direi da decenni, l'impresa è stata abbandonata. Qualche ragione deve esserci. Tempo perso, devono aver pensato i filosofi, o almeno i più razionalisti, i più onestamente empirici, i meno teologi. A chiedersi che cos'è la poesia sono rimasti infatti i teologi, o i filosofi (e oggi sono molti) per i quali la filosofia è una specie aggiornata della teologia. Così, nella riflessione o rimuginazione di questi filosofi-teologi, i discorsi sulla poesia finiscono per somigliare ai discorsi su Dio: che si mostra e si nasconde, si rivela nelle superfici e si ritrae negli abissi. Il discorso sulla poesia prende così forma di un trattato di teologia negativa: un "infinito intrattenimento", perusare la formula di Maurice Blanchot, in cui la necessità di tacere di fronte a un'entità indefinita dà luogo viceversa, o per paradosso, a discorsi senza fine. Il discorso sul silenzio diventa un rumore di ebollizione. Nel corso di questa ebollizione il pensiero filosofico perde il suo statuto concettuale: prima diventa liquido, e poi, evapora. Della poesia intesa come qualità ontologica non si può parlare, ma si deve, in effetti, tacere. Ho azzardato un'espressione forse suggestiva, perfino filosoficamente suggestiva, ma certo tutt'altro che chiara: "qualità ontologica". Se i discorsi sulla poesia si rivolgono a questa qualità intrinseca entrano nella dimensione del tautologico. Con l'aria di dire la cosa essenziale, non dicono altro che questo: la poesia è quello che è, la poesia è poesia. Questo vicolo cieco indica almeno una cosa interessante: che quando abbiamo a che fare con una poesia che sia poesia, questo riconoscimento è una constatazione empirica che non può essere giustificata o argomentata concettualmente. Non ci sono ragionamenti, non ci sono prove razionali, non ci sono metodi certi per accertare la presenza della "qualità ontologica" chiamata poesia in un certo testo. L'ultimo e più scientificamente specioso tentativo di "rassicurazione metodologica" è stato compiuto q4alche decennio fa da Roman Jakobson .. Con Jakobson l'ontologia si veste di terminologia linguistica. La poesia, la quidditas poetica, l'essenza che distingue un testo poetico da un testo non poetico, secondo Jakobson era quella che lui chiamava "funzione poetica". Fra le diverse funzioni del linguaggio (emotiva, conativa, referenziale, metalinguistica, fatica) ce ne sarebbe una distinta dalle altre, la funzione, appunto, poetica, la cui caratteristica sarebbe quella di non comunicare altro messaggio che il messaggio di comunicare un messaggio. La letterarietà, oggetto esclusi64 vo della scienza della letteratura, avrebbe quindi un carattere distintivo: la "non referenzialità", il non riferirsi alla realtà extralinguistica, ma solo ali' organizzazione dei segni linguistici. La lingua poetica, secondo questa teoria, è nettamente distinta dalla lingua comune: e mentre la lingua comune serve anzitutto a comunicare, la lingua poetica sarebbe tanto più se stessa quanto più si sottrae al funzionamento comunicativo. Interrotto il rapporto con la realtà extra-linguistica (il referente) e con il lettore e destinatario, la lingua poetica viene definita come svuotamento e sospensione del significato. La sua semantica è delusiva (deludente?). Come è stato osservato (da Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo in due importanti libri La mappa dell'impero e Critica della letterarietà), oltre ad essere contestabile sul piano linguistico, questa teoria di Jakobson non sarebbe che una versione tardiva e ammodernata della poetica dell'arte per l'arte. La letteratura non incarnerebbe, quindi, una più energica e viva attitudine comunicativa, ma sarebbe fuga dalla comunicazione e dal significato. I confini della poesia sarebbero in questo senso confini che stringono quella dimensione insieme sublime e depauperata in cui il linguaggio si disincarna, anche se più spesso e denso è il suo tessuto di figure. I procedimenti della letterarietà sarebbero quindi procedimenti che staccano la poesia dalla comunicazione, che isolano la funzione auto-referenziale e poetica dalle altre funzioni linguistiche, e che infine isolano la poesia dagli altri generi, soprattutto dalla prosa. Lo scrittore più adatto alla teoria jakobsoniana sembra, alla fine, essere Mallarmé, forse fra tutti il poeta più lontano dalla prosa. Mentre il romanzo moderno è nato dalla fusione e dalla mescolanza un po' informe e caotica di diversi generi letterari, sia vecchi che nuovi, la poesia moderna si fissava come lirica nel modello opposto della purezza, della depurazione, dell'interruzione dei rapporti dialogici e dinamici con gli altri generi letterari. La cosa curiosa è che anche le avanguardie più audaci e iconoclaste, più sfrenatamente nemiche, in apparenza, della puT rezza estetica, come il futurismo e il surrealismo, sono finite in realtà nello stesso alveo della "poesia pura", magari per altre vie: il rifiuto violento della convenzione stilistica, del pubblico, della discorsività, della rappresentazione, della narrazione. Fra uno "charme" di Valéry e un testo surreali sta prodotto con la tecnica della "scrittura automatica" le differenze, da questo punto di vista, non sono poi molte. Anche se le scelte formali sembrano opposte (da un lato metrica classica, dall'altro magma linguistico) la distanza dalla prosa è nell'un caso e nel l'altro fortissima. È, più precisamente, una distanza voluta, ideologica e di principio. Questo tipico cammino della modernità poetica, di solito, viene dato per concluso da tempo. Eppure, attraverso una serie di prestigiose teorizzazioni (fino a Barthes e oltre), e grazie alla
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