mappa mentale che gli permetta di orientarsi nel labirinto di acquitrini "verso una dannazione, verso la suprema perfetta luminaria" di un'apocalisse personale. Tra i mondi alternativi che la lingua accende -quasi realtà virtuali in cui il lettore è invitato a entrare - c'è, ancora, l'orizzonte oceanico di Oceano mare ( 1993) di Alessandro Baricco, simjle a "una scenografia dell'essere" dove tutto può accadere o può esser già accaduto, dove ogni gioco, delitto o sogno rimandano, per richiamj musicali, l'uno all'altro fino a disfarsi in un moto d'onde. Quando lo sguardo visionario, non mediato da lenti magiche, si appunta sul presente, tende a cogliere le situazioni marginali e i casi estremi: fiabe terrificanti e drammi crudeli che sfuggono alla retorica dei cronisti neri; e li espone in frammenti, in monologhi o in voci isolate. Come quelle che nei racconti di Susanna Tamaro (Per voce sola, 1991) ci narrano i massacri che la storia cieca o la cieca follia individuale compiono sul corpo e sulla psiche di vittime lucide, incatenate, come per legge biologica, ai loro persecutori. E una simile disposizione visionaria dell'occhio femminile, nata dalla lunga disciplina dell'esilio nella vita quotidiana, e quasi da un obbligo di miopia, contrassegna - ma occultata, sommessa o grottesca - i racconti delle scrittrici di varia provenienza raccolti nelle recenti antologie Racconta ( 1989), Il pozzo segreto ( 1993) e Racconta 2 (1993). Così narrata, nelle sue sfaccettature, trasparenze e cupezze, la quotidianità irradia bagliori degli sconvolgimenti in atto. I narratori inclini a immergere le loro visioni nell'alone del fantastico tendono a incorporare nella parola le suggestioni di altri linguaggi: la pittura, come Consolo, là fiaba, come la Ortese, il trattato teologico, come Manganelli, la musica, come Baricco. Nella sua Tempesta (1993) Emilio Tadini proietta le luci del grande teatro di Shakespeare su una spenta periferia milanese: e al suo reietto protagonista dà, con il nome, la statura magica di un Prospero e la compagnia di un contemporaneo Calibano. E tuttavia il mito non serve qui, come in Joyce o in Eliot, a elevare ad antica dignità situazioni o personaggi moderni e quotidiani, ma piuttosto a renderli visibili, a ingigantirli. Se non fosse gridato e spezzato in monologhi tra il comico, il patetico, il poetico, il dramma di Prospero si perderebbe tra gli infiniti casi di sfratto, di cacciata, di bando, che si consumano nella metropoli, ridotto a straccio, a irriconoscibile amuleto. La sua casa bizzarra, "isola" incantata e "macchina anestetica", .verrà demolita da altre metodiche e ragionevoli macchine, ma la sua voce continuerà a infrangersi contro il nostro orecchio, come il mare in burrasca in cui tutti navighiamo. SPECCHIEMESSINSCENE NELLANARRATIVAITALIANADI FINESECOLO FilippoLaPorta Una premessa metodologica. A proposito della narrativa dell'ultimo decennio è stato detto e scritto molto (citiamo almeno Ceserani, Tani, Giovanardi); qui accanto Mario Barenghi delinea una panoramica ampia, esaustiva benché veloce. Vorrei invece tentare un diverso approccio diciamo più "critica della cultura" che storiografia letteraria, e assumere l'insieme di questi testi certo nella loro specificità, ma come fenomeno che rinvia a mutamenti (o conferme) dell'etica e del costume nazionali. Allora, credo che della narrativa degli anni Ottanta (e anzi di fine secolo) vadano sottolineati ·due aspetti di rilevante novità (ma il discorso potrebbe estendersi ad altri linguaggi e ad altre discipline, come la filosofia e il cinema). Da una parte la convinzione diffusa della fine di un'epoca, il senso, doloroso o ilare, malinconico o liberatorio, di venire "dopo": dopo la conclusione - anticipata - della letteratud del Novecento, dopo la irripetibile stagione d'oro delle varie arti e dei vari generi, dopo la fine delle illusioni ma anche delle disillusioni. Non vorrei far gravare sulle fragili spalle della nostra narrativa discorsi epocali o prospettive millenarie, ma il senso di una cesura netta, definitiva, con il passato, con il patrimonio culturale (con i valori, le utopie e i criteri interpretativi di questo patrimonio), è un'esperienza oggi assai diffusa, ben più decisiva dei modelli, delle appartenenze, delle poetiche dichiarate. Valori e utopie, anche del passato prossimo, diventano materiali narrativi, effetti retorici, citazioni a sorpresa, frammenti scintillanti di identità posticce. Dall'altro la cocciuta persistenza, nonostante cosmopolitismi esibiti e omologazioni transnazionali, di una vera e propria ideologia italiana, dai tratti molto familiari ancorché rinnovati. Sul primo punto ( ovvero gli autori postumi) Il postmoderno, comunque lo si definisca, appare l'orizzonte del nostro tempo, così come lo è stato per qualche decennio il marxismo, secondo la celebre formula sartriana. Nella storia del nostro secolo sono avvenute naturalmente cesure più forti, passaggi più traumatici (pensiamo solo alle due guerre mondiali), ma non sempre le discontinuità storiche coincidono con le discontinuità culturali. Per limitarci alla letteratura, tutte le grandi tradizioni (avanguardia compresa) risultano oggi svuotate, consumate e tutte ugualmente manipolabili. Il problema diventa dunque: come rapportarsi alla nostra tradizione, a quello che viene enfaticamente definito patrimonio letterario? Su questo punto si addensano almeno due equivoci. Da una parte ho l'impressione che sì, noi in Italia veniamo "dopo", ma senza essere davvero sicuri che il "prima" ci sia stato. Come chi trapassa da un'adolescenza prolungata ad una senilità precoce il nostro paese si è ritrovato di colpo postmoderno senza compiere nulla di particolare e forse saltando qualche passaggio fondamentale (per fare solo un esempio: la "coscienza" può diventare un peso ingombrante, dispotico, di cui è bene liberarsi, alleggerirsi, soltanto se una "coscienza" si è veramente posseduta ...). Un altro equivoco riguarda certa disarmante ingenuità di alcuni nostri scrittori, che diventa però subito kitsch, falsità decorativa. Se infatti si assume a proprio modello, più o meno esplicitamente, una prosa e dei temi "alti", si finisce, come la Capriolo, con il più laccato midcult e con le storie ambientate in inquietanti alberghi di lusso. Se ci si ispira alla trasgr_s!ssionesurrealista (Enzo Fileno Carabba) o perfino agli antichi testi sapienziali (Erri De Luca) 59
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