CEDOLADICOMMISSIONLEIBRARIA LINEDA'OMBRA. LINEAD'OMBRA ViaGaffurio4 20124Milano NOr-.AFFRANCARE Affrancaturaordinariaa carico del destinatario da addebitarsi sul conto di e.re dito speciale n. 9108 p1esso l'ufficio P.T. di Milano Isola Aut. Dir. Prov. P.T. Milano n. Z)506756/PC/3 del 16/06/93 --- --- --- - -~-------------------------------------------------------------- sembravano tutti marziani. Da allora non è passato molto tempo. E molto poco è successo. Per cui una mia testimonianza su quel decennio, nella narrativa italiana, è abbastanza inutile. Posso giusto annotare due cose che ho scoperto, e che non mi aspettavo, e che in qualche modo sono tutto ciò che ho imparato. La prima è che raccontare storie è un mestiere nobile, con una sua precisa funzione civile, una sua valenza morale, un prezioso ruolo di testimonianza, di vigilanza, di custodia. Quando ho iniziato pensavo che fosse più un rito narcisistico ed esibizionista. E invece no. È meglio di quanto uno immagini. È un mestiere di cui non ci si deve vergognare. Nel film di Wenders Fino alla fine del mondo, c'è un aborigeno che, seduto nel cassone di un camion che viaggia in mezzo al deserto australiano, si mette a cantare qualcosa di incomprensibile. "Cosa canta?" chiede la lei del film. E William Hurt le spiega (più o meno): questa terra è la loro Bibbia, non hanno testi scritti, hanno solo la terra: ognuno di loro canta un pezzo di questa terra, perché è un modo di evitare che scompaia, che qualcuno la rubi, che muoia. Io rni sento come l'aborigeno. Racconto un pezzo di terra così non scompare. Solo scrivendo, e pubblicando, mi sono accorto che esiste gente per cui questo è utile, alle volte necessario, comunque importante. Ci tengono, a quella terra. E hanno bisogno che qualcuno vigili su di essa. Come io ho bisogno del medico, di qualcuno che faccia gli atlanti geografici, o che accenda a una certa ora, tutti i giorni, le luci della città. È una specie di strano servizio civico. Nobile perché faticoso, anche 56 piccoli tesori che avrebbero bisogno, per maturare, del tempo lento della.riflessione. Gli editori coniugano passione per i libri e cinismo commerciale in un modo che devo ancora capire, e che comunque sortisce risultati non esattamente elettrizzanti. Alla stessa infelice acrobazia si dedicano i librai. Il bello è che poi, molte di queste persone, prese una alla volta, nell'intimo della loro cameretta, sono anche persone stimabili, ben intenzionate, spesso sincere nella loro passione per i libri. Ma appena salgono sul palco del gran baraccone, sparisce tutto. Tutto diventa miseria. È un meccanismo fetido, che non ho mancato di sperimentare anche su me stesso, e che quindi dovrei ormai aver capito. E invece continua a sorprendermi, e a lasciarmi di stucco. Se dunque devo dire una cosa una sull'essere scrittori alla fine di questo decennio, mi viene da dire questa: il problema vero è riuscire a esercitare un mestiere bellissimo e nobile in un contesto divenuto deprimente e deprecabile. Riuscire a non smarrire l'originaria ricchezza di quel gesto - scrivere - nell'inautenticità del mondo che lo raccoglie e lo gestisce. Si dirà che è sempre stato così, e magari è vero. Però sospetto che l'industria culturale con cui abbiamo a che fare noi sia diventata molto più potente e astuta di quella che già demonizzava Adorno. E che il culto per l'informazione coltivato dall'Occidente si sia ormai rivoltato in un fanatismo senza senso. E che l'ansia di spettacolo si stia divarando il diletto della riflessione. E che la facilità con cui oggi uno scrivente può diventare un potente attiri lo scrittore nell'angolo di una cronica debolezza. Il che non è propriamente una cosa gradevole.
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