'83L'93 • LA SATIRA UNA GRANDE FAMIGLIA DIFFERENZE, INDIFFERENZE Saverio Esposito È esistito un "sistema unico della satira" che ha attraversato destra, centro, sinistra, nel corso degli annj Ottanta? Questa è un'ipotesi sostenibile, benché estremistica. Gli anni Ottanta sono stati "gli anni della satira politica" così come sono stati "gli anni dei nuovi comici", "gli anni del minimalismo" e di tante altre cose, per fortuna velocemente tramontate al primo risoffiar di venti della storia. Non si è mai riso così tanto in Italia come nel corso degli anni Ottanta, o almeno: non si sono mai avute a disposizione così tante "firme" e così tante facce il cui scopo era di tenerci allegri, cautamente irridendo le seconde i nostri vizi trasformati in pregi (una strizzata d'occhio dopo l'altra, ripetendo la ricetta della "commedia all'italiana", che però nei suoi anni d'oro era anche pungente, anzi cattiva e crudele), e baldamente affrontando, le prime, senza tacere nomi e cognomi, direttamente la politica e anzi i politici. I quali politici, nell'epoca del massimo inveramento della speranza e teoria tronti-asorrosiana della "autonomia del politico" amavano, con piena coscienza o con trasandato e istintivo menefreghismo, avere al guinzaglio o come soprammobili o come ospiti rinfrescanti nei loro "salotti" pubblici e privati (e il pubblico e il privato erano ormai per loro lo stesso, tanto sicuri erano del loro potere e della nazionale complicità di tutti) spiritosi, disinvolti, aggressivi e famosi giullari. La novità era venuta da questo: negli anni precedenti, la satira politica aveva avuto un senso, ma si era via via volgarizzata (Dario Fo, "Il male" e la sua discendenza) in sberleffi così rituali da diventare innocui, una variante appena un po' pepata nel mare magno della volgarità collettiva. n suo estremismo era fine a se stesso, non aveva più "masse" di sostegno, di base. Erano andate crollando le differenze culturali tra chi irrideva e chi era irriso; l'omologazione della cultura di sinistra alla volgarità dei potenti ne tradiva sempre più la nondifferenza, la molla e il peso di una sorta di invidia nei confronti di quelli, e la rinuncia alla elaborazione di qualsivoglia sistema morale di diversità. Tanto più ci si dichiarava inconcilianti e si esagerava l'attacco, tanto più se ne abbassava il tiro e ci si dichiarava fratelli (o figli, o cugini, o nipoti) degli irrisi. Il distacco da una identità diversa (che si amava dire, negli annj Settanta, rivoluzionaria, o proletaria) veniva, è certo, anche dal non sotterraneo adeguarsi delle "masse" ai modelli dominanti, e dunque dalla fragilità dei riferimenti e dei freni, secondo la antica assenza di autonomia culturale della sinistra e, di conseguenza, del nostro proletariato. Si estremizzava perché non si sapeva più a chi render conto; perché i lettori correvano dietro dai modelli offerti dal potere, e nello stesso tempo si riscoprivano assieme a loro le radici becere e scoreggione di una cultura, credendole dotate di autenticità - come se la volgarità del morto di fame e del villano di un tempo potessero avere qualcosa a che spartire con quella del suo erede piccolo-borghese. Tra i tanti "figli del Male", o effetti collaterali di quella logica, perché non dovrebbe essere possibile annoverare, con il senno di oggi, un Funari, per esempio, o un Forattini? 50 Si era in molti modi pronti - virato il capo del delitto Moro e della sconfitta del terrorismo e dei suoi orrendi alibi (compiaciuti da molta della cultura di cui abbiamo parlato) - per il grande sollazzo degli anni Ottanta; per l'edonismo reaganiano anzi craxiano, che trovò anch'esso molti, troppi complici diretti nella ex nuova sinistra. Con Troisi, con Verdone, con Nuti (quest'ultimo un po' ripugnante - la parte peggiore della nostra piccola borghesia alfabetizzata e modaiola, sentimentale ed egoista, ipocrita e mangiona, provinciale e arrogante) e con i loro epigoni prendevamo blandamente in giro noi stessi - una generazione ciarliera e compiaciuta di sé, pochissimo esigente e tantissimo accomodante, che andava arruffando il proprio posto nel mondo. Con Benigni ci si sollevava verso empirei di bizzarria che si pensava davvero irriverente, con Villaggio ci si sprofondava verso abissi di frustrazione più sado che maso, con Fo ci si imbolsiva a teatro nella ridondanza ritualistica e sloganistica, con tutti quanti ci si consolava, ci si amava, ci si sentiva migliori, confortati nelle nostre risibili pene e assolti nelle nostre concretissime vigliaccate. Con Serra, con Gino e Michele, con alcuni comici milanesi, con Starnone e finanche con Nanni Moretti si cercava furiosamente, molto convinti del proprio ruolo storico-politico, di definire e vendicare non tanto un'identità (invero debolissima) quanto un'appartenenza. Perlopiù uguali, quasi tutti uguali, nei consumi, nei gusti, nel pressappocare, ci si rendeva bensì conto di dover tenere in piedi qualcosa, non fosse che il "logo" della diversità, un falce-e-martello che, nei nostri cuori e nelle nostre tasche, era stato da tempo sostituito, con un pizzico di vergogna, da emblemi più raffinati e terziari di sussistenza. Ma si era "comunjsti" e quindi si era "diversi", non si era "uguali"; e si credeva mjgliore il modello Greganti del modello Psi, errore tuttora attuale, nel mentre però che in tanti si accodavano e si accomodavano alla tavola del secondo. Cresceva infatti ed esplodeva un'altra comicità, figlia formale di Dario e sostanziale di Bettino, sostenuta e benedetta da Berlusconi; e dilagava in Tv, prima di rimescolarsi, tutti insieme appassionatamente, sulle pagine di "Cuore". Diciamola "scuola milanese" e avremo detto tutto o quasi tutto. L'estetica dei "cazzo", e dei "mettiamoglielo in culo a quel gobbo, a quel nano, a quel panzone", del dialetto inframmezzato e intoscanato, con una spruzzata di Guantanemere e una nostalgica, nebulosissima eco di delicate Bandiere rosse strehleriane. E un a-tu-per-tu vincente, esultante, con uno spettatore che somiglia, che parteggia, che condivide, prontamente consociativo. Solo Benni - nonostante scivolate populiste gucciniane e un po' di giochetti sentimentali facili facili - si barcamenava, tra l'ideologismo manifestino terzinternazionale (fo-rossandiano) e una reale partecipazione ai dilemmi, attenzione ai margini, agli sfigati e sconfitti, ai disperati non solo da fumetto drogato ma anche, a volte, da fumetto drogato; inseguendo una propria
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