Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

Ma non ho nostalgia per quegli anni: quel benessere era fragile, falso, dipendeva dalle volontà e dai capricci di ricchi e di potenti, dipendeva anche da troppa gente che comprava i libri e non li leggeva. Certo, se sfoglio le agende degli anni passati, leggo d'interminabili riunioni di programma, di viaggi, di scoperte letterarie, di quel tempo libero e di quel fantasticare che consentono le scoperte, di mesi e mesi dedicati a rivedere una traduzione, un tempo enorme dedicato al "testo" e non al suo essere "merce", cioè a come procurarsi i soldi per pubblicare o a come risparmiare su ogni singola voce di spesa. C'era del buono - si pubblicavano libri "importanti" (che pochissimi leggevano) e che oggi non potremmo mai pubblicare- e c'era del cattivo - non c'erano regole, poche sanzioni, pochi freni al soggettivismo e ai capricci degli editori (e degli autori e dei collaboratori). Ma questo ci porterebbe a una riflessione sul mercato - sul suo essere oggi, molto più di ieri, unico arbitro della partita editoriale, sulla sua adeguatezza al ruolo di maestro delle sorti del libro - che è troppo lunga e complessa per trovare posto qui. Torniamo allora alle Edizioni e/o e a quello che ci è successo in questi dieci anni. Innanzitutto, cosa è successo ai nostri autori, in particolare ai nostri autori dell'Europa dell'Est (quelli con i quali abbiamo cominciato e per i quali siamo più noti)? A Est è successo qualcosa di ancora più sconvolgente che da noi (come sempre, direi). Sono stati anche questi autori - Hrabal, Brandys, Makanin, la Wolf, Hein, ecc. - ad avviare e a favorire quelle trasformazioni socio-politiche che, passando per la caduta del Muro di Berlino, hanno scatenato una valanga mondiale. Hanno vissuto questi cambiamenti con sentimenti alterni, su di essi stanno riflettendo, e da questo processo stanno venendo fuori, faticosamente, delle nuove opere. Anche loro adesso devono fare in conti con quella realtà, ormai quasi universale, che si chiama mercato. Ma non è questo certamente l'unico fatto nuovo; c'è anche in questo decennio una resa dei conti generale che coinvolge il passato, gli ideali e le certezze di tutti. Tutto quello che è stato detto e fatto in passato è stato minato in questo decennio di transizione e dovrà essere riconsiderato. In mezzo a questa tempesta la fragile imbarcazione delle Edizioni e/oè preda di forze più grandi, difficilmente governabili. Qual è il carico che la nostra navicella sta cercando di portare in salvo al termine del decennio? (Scusate la banale metafora marinara.) Alcuni "valori" messi a repentaglio nella nuova situazione: "piccolo è bello", nel senso che "indipendenza è bello"; spirito critico refrattario alle mode e alle volontà dei potenti culturali; rifiuto di mettere sempre al primo posto l'obiettivo commerciale. In questi dieci anni trascorsi abbiamo cercato di fare libri che ci parevano belli e importanti anche per altre persone, abbiamo cercato di farli bene mantenendo al contempo l'indipendenza economica, siamo passati a diffonderne da cinquemila copie circa nel 1983 a oltre centoventi mila copie nel 1993, abbiamo dato - credo - un po' di piacere, un po' d'informazione, un po' di stimolo a quelle minoranze che queste cose cercavano. Tutto ciò è stato difficile ed è ancora più difficile oggi. Se questo decennio trascorso ci ha insegnato qualcosa, forse, è che non abbiamo più formule magiche cui appigliarci; c'è solo un faticoso, oscuro, poco gratificante lavoro quotidiano. Ed è questo lavoro la vera "qualità", non quella contraffatta degli anni Ottanta, superficiale ed effimera, che era diventata un feticcio dietro cui nascondere il vuoto progettuale e lo stato di dipendenza economica e politica. ANTICORPI Paolo Repetti Chi, come molti di noi, ha vissuto gli edonistici anni Ottanta in una posizione di sobria marginalità, non ha poi molta voglia di accodarsi allo strazio e ai lamenti sullo sfascio e le macerie di oggi. Sembra invece che proprio chi ha più condiviso le "magnifiche" sorti dello scorso decennio sia ora in prima fila nella denuncia dell'attuale e futura apocalisse. E con uno sguardo corrucciato che non ci piace proprio. Quelli di noi che in questi anni non hanno partecipato ad alcun banchetto non dico che debbano sentirsi "splendidi quarantenni", ma possono guardare al futuro con una coscienza delle difficoltà, severa e serena allo stesso tempo. È con questo spirito che il gruppo di autori e collaboratori che ruotano intorno alla casa editrice si appresta ad affrontare i prossimi anni; sento in giro meno certezze, meno gabbie ideologiche, meno punti fermi nel capire la realtà e nel!' interpretarla. Torneranno tra qualche anno e sarà forse un bene. Ma ora è giusto cercare la via in questa babele di linguaggi e di opinioni, non rifiutarsi al confronto con questa immensa cascata di detriti che il crollo delle ideologie e la fine della guerra fredda e del comunismo hanno prodotto. E toccherà farlo, questo percorso, credo, a bordo di piccole, veloci imbarcazioni di fortuna muniti di qualche rudimentale indicatore di rotta. In questi anni di editoria "mordi e fuggi", con i libri che si sono assottigliati, miniaturizzati, impoveriti, fino a diventare delle pure escrescenze luminose della televisione, i libri veri, quelli che implicano tempo, lavoro, riflessione e approfondimento hanno sofferto molto. Eppure, per chi vi ha creduto, l'editoria di ricerca non si è contratta e ha mostrato una inaspettata vitalità. E, per quel che riguarda Theoria, non mi riferisco solo al lavoro sulle letterature di altri paesi, la Cina e il Maghreb soprattutto. La cosiddetta giovane narrativa italiana è stata per noi un investimento decisivo. Sia per le buone opere trovate e pubblicate (e ce ne sono, a dispetto di una critica che si è dimostrata più attenta a fustigare gli eccessi di quella che era divenuta una moda editoriale, che a leggere con attenzione e amore i singoli libri); sia perché, sebbene con qualche dolorosa defezione, questi stessi scrittori hanno formato una rete di intelligenze e di passioni che sono la vera ricchezza della casa editrice. La forma narrativa, il Romanzo o il racconto, sarà ancora, come è giusto, per molti di loro, la vera croce e il vero traguardo, ma altre forme di conoscenza e di scrittura possono e devono essere sperimentate. Se penso agli aspetti più deteriori degli anni Ottanta - dal berlusconismo rampante alla caduta di tensioni ideali, alla crisi di tutte le progettualità "forti" in qualsiasi forma di pensiero e di prassi (e in molti aspetti dell'attuale rivolta leghista sento null'altro che le conseguenze di quel che di peggio il decennio ha seminato) - penso anche che hanno creato in molti di noi degli anticorpi che ci rendono più robusti e più attenti: il problema vero è saper essere in grado di ereditare la parte migliore e positiva di quegli anni: i dieci anni compiuti da "Linea d'ombra" (e da Theoria, anche) sono un punto da cui partire. 43

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