Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

dadori, veri figli del boom economico (il libro per tutti, a caccia di nuovi lettori attraverso l'edicola), i tascabili avevano invece finito per vivacchiare senza slancio e senza entusiasmi per tutto il decennio successivo, guadagnandosi fosche previsioni di estinzione da parte di numerosi osservatori. Nel l983, invece, Leonardo Mondadori decide di forzare la situazione e stanzia un potente piano di investimenti per il rilancio degli Oscar. Al notevole sforzo promozionale si accompagna il profondo ripensamento della complessiva struttura editoriale, che prende le mosse proprio dall'avvenuta segmentazione dei pubblici. Gli Oscar, nati come universale letteraria, si aprono dunque alla saggistica e alla manualistica, alla letteratura di genere e alle preziosità da amatori, organizzandosi in numerose sezioni e sottocollane specializzate, pensate per soddisfare le esigenze, le curiosità, le competenze di fasce di pubblico diverse e inassimilabili tra loro. La cura farà talmente bene agli Oscar che nel giro di pochi anni, con le loro quaranta collane e più di duemila titoli si ritroveranno di fatto ad essere la prima casa editrice italiana. Il modello Oscar viene ripreso anche da altre grandi collane come la BUR di Rizzali, i Tascabili Bompiani o, dal 1984, la TEA di Longanesi e Utet, mentre anche le collezioni che rimangono fedeli all'originaria impostazione di universali indifferenziate, come la UE di Feltrinelli o le nuove collane economiche di Adelphi ed Einaudi, conoscono andamenti pienamente positivi. Se ancora a metà anni Sessanta un teorico come Lucien Goldmann poteva prendere atto con raccapriccio dell'esistenza del libro tascabile (veicolo "della consumazione passiva, della distrazione e dell'ozio"), nel corso di questo decennio i tascabili si sono sempre più qualificati come il luogo della qualità e della durata, come il vero e proprio catalogo del l'editoria italiana, in cui trovano accoglienza i titoli più meritevoli di persistere nelle abitudini di lettura, aiutati in questo dalla crescente cura nelle traduzioni e negli apparati, oltre che dalla bassa incidenza del prezzo di copertina. Certo, lo scotto che i tascabili hanno dovuto pagare è stata la rinuncia alla creazione di un autentico mercato di massa: usciti dalle edicole sono rientrati nelle librerie. Abbandonata la scommessa di conquistare in un sol colpo le sterminate legioni di non lettori cui guardavano nel 1965, si sono rivolti a un pubblico in prevalenza formato da già lettori, ancorché giovani le e scolastico. Ali' interno di questa rinuncia, però, il lavoro svolto dalle collane economiche è stato prezioso, e con l'apertura di nuovi canali di vendita, come quello della grande distribuzione negli ipermercati, potrebbe essere recuperato qualcosa della sfida originaria. Il decennio del tascabile si chiude in compenso all'insegna della confusione provocata dall'arrivo e dall'affermazione davvero plebiscitaria del supereconomico. I libri a Millelire di Stampa alternativa come provocazione e rivalutazione del momento ludico della lettura, oltre, comunque, che come non sottovalutabile ricerca di titoli e autori mai banali, rompono il muro dell'indifferenza e fanno esplodere il caso. Ma a raccoglierne i frutti è un altro editore, Newton Compton, con libri a mille lire, e a prezzi lievemente superiori ma comunque sempre estremamente convenienti rispetto alle proposte degli altri editori di tascabili. Che dirne? La stampa ne ha parlato in maniera così ossessiva e ripetitiva che francamente verrebbe da non dirne niente. La sensazione è che il supereconomico presenti numerosi rischi: non tanto e non solo quello di una svalutazione del libro, quanto proprio nel disastro che può provocare in tutto il circuito commerciale, senza che nessuno, neppure l'editore Newton Compton, abbia davvero a guadagnarci. Segmentazione del pubblico e crisi delle ideologie contribu40 iseano in compenso alla precisazione e affermazione del vivace ambito della piccola editoria. In apertura di decennio muoiono o si trasformano numerose sigle che avevano fatto la storia del I 'editoria democratica negli anni Settanta, come quel Savelli che ritroviamo oggi su sponde leghiste, come Mazzotta, che abbandona la saggistica politica e diventa editore d'arte, come il Formichiere e Bertani, che devono chiudere. Nascono in compenso numerosi marchi animati dalla tensione a sviluppare una proposta culturalmente qualificata, che sia in grado però di adattarsi e prosperare nelle attuali condizioni di mercato, secondo un modello che fa di volta in volta perno sulla Feltrinelli rinnovata (i più seri e propositivi) o su un preziosismo di provenienza squisitamente adelphiana. Dal la scoperta e lancio di nuovi autori ital iani al l'acquisizione di culture, tradizioni, ambiti linguistici finora trascurati nel nostro paese, così come nello sviluppo di nuovi indirizzi nella saggistica, l'apporto della cosiddetta piccola editoria si rivela cruciale: e/o, Marcos y Marcos, Theoria e Edizioni Lavoro, Iperborea e Pironti, Ubulibri e Costa & Nolan, la Tartaruga e SE riescono a conquistare quote di mercato e di attenzione minoritarie ma significative, rispondendo comunque alle richieste di un mercato della cultura sempre più frammentato e specializzato. Il problema per tutti sembra consistere soprattutto nel la capacità di accompagnare la crescita di catalogo e diffusione con un adeguamento delle strutture e delle risorse finanziarie. I rischi maggiori, insomma, si annidano proprio nei momenti di crescita e slancio, quando più facile è cedere alla tentazione della sovrapproduzione (di titoli o tirature), quando più delicato si fa il lavoro sulle scelte di catalogo: rimanere avvinghiati alla propria vocazione originaria a rischio di restarne storpiati? Stemperare troppo il progetto iniziale nella speranza di conquistare nuovi lettori e ritrovarsi senza lettori e senza identità? Di fronte a tali problemi il fronte della piccola editoria ha finito per scompaginarsi. Poche editrici sono riuscite a salvaguardare la propria indipendenza pur senza rinunciare alla crescita e alla definizione di obiettivi di volta in volta più ambiziosi, altri hanno chiuso o si sono confinati in una dimensione che non si può che definire amatoriale. Altri, non pochi, ed erano ovviamente tra i migliori, sono confluiti ali' interno di più grandi gruppi editoriali, interessati a conquistare in questo modo, in un sol colpo, competenze, cataloghi e nicchie di pubblico amorevolmente coltivate e curate per anni. Pratiche e il Melangolo entrano in Elemond, Guanda viene acquisita da Longanesi, Interno Giallo raggiunge Serra & Riva in Mondadori. Abbracci pericolosi, che possono rivelarsi mortali (e Serra & Riva, dopo anni di agonia, risulta attualmente in liquidazione), o quantomeno dare esiti contraddittori anche al l'interno del lo stesso gruppo. L'ingresso in Elemond, ad esempio, tanto ha giovato al Melangolo quanto ha depresso Pratiche, che infatti ha deciso di rimettersi in proprio, seguendo l'esempio del Saggiatore, tornato a navigare in mare aperto, o quasi, fuori dalla tutela di Mondadori. E chissà che tra le tendenze del prossimo decennio non ci sia anche un fenomeno di "deconcentrazione" editoriale? Un'altra tendenza che timidamente sembra affacciarsi, pur in questi tempi di crisi e recessione, è il ritorno del medio editore, un fatto che proprio non ci aspettavamo. Un sistema editoriale come quello delineato nelle pagine precedenti sembrava infatti fatto apposta per grandi gruppi editoriali e microeditori. I primi lanciati verso i cieli della multimedialità e semmai pronti a mangiarsi i secondi per coprire le nicchie di mercato più interessanti; gli altri impegnati a sopravvivere, a coltivare i propri segmenti di mercato, a salvarsi (o a

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