Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

'83/'93 • LA TELEVISIONE ------------- NULLA DA VEDERE E, NELVUOTOTEORICO,LAVOLGARITÀ Gianni Canova Quando ripenso a quel che è stata la televisione italiana negli anni Ottanta, la cosa che mi pare più terrificante non è tanto la Tv in sé, quanto la povertà di riflessione teorica antagonistica che la sinistra è stata in grado di produrre attorno al medium televisivo. Detto in altri termini: per tutto il corso di un decennio, sulla televisione non abbiamo avuto (non abbiamo?) nulla da dire. Certo, qualche polemicuccia "laterale" andava fatta ed è stata fatta, qualche battaglia di principio è stata perlomeno tentata. Ma non è questo il punto. Il punto è lo spaventoso vuoto teorico e progettuale che sembra assalire la sinistra (tutta la sinistra, senza sostanziali differenze) quando si·parla di televisione. Vuoto teorico; se si eccettuano alcune riflessioni di Enzensberger (la televisione come "medium zero", come percezione del Nulla e appressamento al Nirvana), di Marco Gambaro (la Tv come "banca del tempo", come linguaggio organizzato per la rapina del tempo di vita dello spettatore) e di pochi altri, non siamo andati oltre il "pensiero debole" e la critica occasionale a questo o a quel segmento di televisione, senza mai osare un'analisi e una strategia complessive. Dal vuoto teorico è disceso, inevitabilmente, anche il vuoto progettuale: tutti lì a rifiutare sdegnosamente la Tv con il più classico e arcaico dei gesti esorcistici (Vade retro, video...), ma senza nessuna capacità (e, forse, anche senza nessuna voglia) di elaborare modelli e proposte di televisione non dico antagonistica e conflittuale, ma quanto meno "diversa" e non omologata. Ciò significa, apocalitticamente, che la Tv non può essere altro da quello che è stata e che è, per statuto ontologico o per decreto divino? O che ormai un certo modello di Tv -quello, per intenderci, berlusconian-democristiano - ha vinto a tal punto da impedirci persino di pensare a un modello di televisione alternativo? Se si ripensa alle posizioni espresse dalla sinistra "istituzionale" e segnatamente dal PDS, c'è di che mettersi le mani nei capelli: tanto nella versione nostalgico-giovanilistica di Walter Veltroni quanto in quella illuministico-savonaroliana di Vincenzo Vita, le posizioni del partito di Occhetto non solo paiono in ritardo di almeno un decennio sullo stato delle cose, ancora attardate come sono a difendere una nozione di "Autore" che esiste solo nella mente di Gitto Maselli, ma rischiano di produrre come unico effetto della pur giusta battaglia contro il monopolio dell'etere l'eliminazione della sola rete televisiva "interessante" nata nel decennio che abbiamo alle spalle e cioè Tele+ I. Che è l'unica Tv senza anchor-man, senza talk show, senza predicatori in cerca di pulpiti e senza "gente" vogliosa di esibire in diretta i propri rutti e i propri scaracchi piccolo borghesi: puro flusso di immagini, molto specialistica, molto visiva. Perché il problema vero della televisione italiana degli anni Ottanta non è né quello della pubblicità "che interrompe le emozioni", né quello dell'inganno tutto ideologico della "Tv verità". Il problema è che nella televisione italiana non e' è nulla da vedere. Ha scritto lucidamente Felice Pesoli (su "Segnocinema" n. 37): "Chi ha l'abitudine di stare in casa con la televisione accesa senza volume avrà notato una certa diminuzione dei bagliori nella stanza: sono più rare le variazioni di luce degli stacchi di montaggio. Il ritmo percettivo che la televisione ci offre sta rallentando. Lo schermo è sempre più affollato di gente che parla e per chi ama le avventure dell'immagine c'è ben poco da vedere. Di questa condizione pochi si lamentano, anzi sempre più spesso si sente dire che la televisione in Italia sta diventando più intelligente, più mirata, che c'è più spazio per la gente 'così com'è'. La rete tre ha indicato la via e gli altri si sono buttati a pesce. Tutti a fermare per strada poveri diavoli sperando che facciano qualche simpatico enwe di grammatica, oppure ad aspettare che il colpevole di qualche malefatta si confessi in diretta. Chi ama questa televisione 'antropologica' sostiene si tratti di un bagno salutare nel paese reale, un buon antidoto al posticcio varietà del sabato sera. Personalmente credo che questa posticcia scoperta dell'uomo qualunque sia per l'appunto una tendenza qualunquista, un festeggiamento un po' osceno del luogo comune". Qui sta davvero, mi pare, il nocciolo del problema: la televisione italiana degli anni Ottanta ha celebrato il trionfo del luogo comune. Non si tratta neppure di valutare programma per programma, distinguendo quel che forse si salva (la piovra?) da quel che è intollerabile ( Chi l'ha visto?). È la Tv nel suo complesso, nel suo impatto "mediale" capillare e pervasivo, che nel corso degli anni Ottanta ha prodotto sul corpo sociale alcune "mutazioni" di portata "storica". Ad esempio: -ha distrutto l'abitudine all'esercizio della memoria, offrendo allo spettatore un'informazione fast-food da consumare e gettare, senza più la necessità di operare confronti e connessioni, né di mettere in relazione gli effetti con le cause; - ha feticizzato la categoria della "gente" come simulacro di realtà, in un classico processo di manipolazione e ricomposizione ideologica dei conflitti reali; - ha legittimato lo sconcio narcisismo della piccola borghesia, chiamandola a godere ogni sera sul piccolo schermo dello spettacolo gaudente della propria volgarità. Se oggi siamo un po' tutti peggiori di come eravamo una decina di anni fa - e cioè tutti uguali, incarogniti, esibizionisti, rancorosi - buona parte della colpa (o del merito) è della Tv. Che tutti continuiamo a guardare con sufficienza o a ignorare con pilatesca ironia senza farci carico delle trasformazioni che ha provocato e sta provocando. Ad esempio, della progressiva e collettiva perdita della capacità di vedere. L'ha detto bene Wim Wenders in Fino allafine del mondo: siamo tutti masturbatori incalliti alle prese con la contemplazione ininterrotta della nostra immagine allo specchio. L'Altro non c'è più. Se c'è, è un Terrone, un Negro, o un Comunista. Fora di hall. Lo urlavano guitti, cornici e giornalisti nella Tv craxiana degli anni Ottanta, lo ripetono oggi i leghisti di Bossi. Che di quella Tv hanno mutuato arroganza, linguaggio, volgarità. A dimostrazione di come Craxi e Berlusconi non fossero (e non siano) i loro "nemici", ma - indiscutibilmente - i loro padri, i loro maestri. Forse, ci piaccia o no, un po' anche i nostri. 37

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