Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

'83/'93 • I GIORNALI _____________________ __, LA PAURA DI SENTIRSI DIVERSI ' CHECOSA ECAMBIATONEIMEDIA Oreste Pivetta Se si vuol fare un bilancio bisogna partire dal I982. Chi ama ricordare, ricorderà che l'Italia diventava campione del mondo di calcio in Spagna. Chi ama aprire e chiudere potrà dire che da lì in poi tutto sarebbe stato diverso, come se dallo Stadio Santiago Bernabeu, presente il presidente buono, dovesse nascere una nuova Italia, probabilmente contraria a quella sognata dal presidente buono. Presidente buono come Papa buono: raccontiamo, si fa per dire, a colpi di titoli giornalistici. Chi ama aprire e chiudere, chi ama il periodare, potrebbe pensare che tutto era stato meglio prima: il movimento del '77 rispetto alla Pantera, invenzione massmediologica, vissuta al traino dei mass media, a colpi di fax più che di marce; il terrorismo (al quale almeno si contrapponevano le "grandi risposte popolari", fa "coscienza democratica", la "solidarietà nazionale") rispetto al pentitismo, che alla prova (la prova ad esempio del caso Moro) rivela l'anima bottegaia, opportunista, ipocrita, inquinata, senza valori, senza principi, di questa Italia e di un'altra ancora, più comune, più generale. Ma poi i conti tornano? Nel decennio al quale abbiamo assistito, che ci è trascorso davanti, che è sfilato su un bel palcoscenico illuminato come fosse sempre festa, un decennio futile, idiota, arrogante, però anche corrotto e corruttore, pericoloso quindi, è stato decennio che potrebbe rinverdirsi in un ventennio, passata la tempesta, messi a tacere o nella confusione i giudici, rinfrescata qualche sigla (come si chiamerà la nuova Dc? resterà la quercia per il Pds?), ripristinate e restaurate le vecchie facce, salvaguardati i vecchi gusti, i vecchi costumi, i vecchi interessi. Il decennio ha ricamato le coscienze, poi le ha annegate nel gran calderone massmediologico, che le ha decolorate, sbiancate e riverniciate secondo le tinte alla moda. Il lavoro si è visto nel profondo. Tanta ideologia dopo tanta ideologia, quella rossa, bianca, nera, a contorni netti, questa incerta, sfumata, mistificata. E parte del merito è loro, giornali, televisioni, settimanali, anche gli spot rientrano nell'universo corrompitore, basta una sequela annuale di famigliole radunate attorno al tavolo a sgranocchiare bastoncini findus o a inzuppare nel caffelatte merendine mulino bianco (quanti ne vediamo ogni giorno tra un telegiornale e l'altro, tra una pagina e l'altra di un settimanale?) perché tornino in gloria madri e figli; una sfilata di detersivi può rilanciare la figura della casalinga. Batti e ribatti, qualche cosa resterà. Ma quando si tratta di ladri il risultato è diverso: provate a leggere o sentire per mesi e mesi che "sono tutti ladri", alla fine vi arrenderete all'evidenza che i ladri sono indispensabili, che non se ne può fare a meno, che comunque questo, nella confusione, nella produzione industriale delle "verità" e delle rivelazioni, è il migliore dei mondi possibili e che quindi tanto vale tenercelo, senza fare alcuno sforzo per cambiarlo. I nostri mass media questo mi pare stiano ripetendo: un effluvio di parole e di titoli e di retorica giustiziera, mai un affondo, mai i principi, perché altrimenti sarebbe autolesionismo: si dovrebbe parlare di se stessi, mentre sul passato proprio è meglio tacere, andare avanti con la faccia di sempre. Il vertice del trasformismo lo si tocca qui, tra i campioni dell'informazione, anchormen, commentatori, direttori, opinionisti, confermando la duttilità amorale del giornalismo, buono per tutte le stagioni, grandi o piccole che siano. Uno scandalo "penne pulite" è scoppiato. Ma parziale e 34 fuorviante. Hanno preso i soldi o no i giornalisti? Regali, mance, vacanze premio? Qualcuno dell'ambiente (Giorgio Bocca) ha confermato. Non per sé, ovviamente. Ma la corruzione spicciola è un angolo poco coltivato nella vasta prateria del condizionamento imposto e ben voluto. Il giornalista è come il politico: non di soli soldi vive, ama iIpotere, anche ali' ombra del potere. Ali' ombra del potere si sono coltivate mezze figure e ambizioni violentissime, intelligenze e tatticismi politici. Come spiegare altrimenti la carriera per esempio di Paolo Liguori, dal folklore estremistico al "Sabato" al "Giorno" alla Fininvest, se non proprio in virtù del suo polimorfismo politico, e un ruolo di punta nell'informazione berlusconiana se non grazie alla sua posizione garantista e contraria alla Procura milanese durante la sua direzione nel quotidiano dell'Eni? Giocando agli anniversari, si potrebbe ricordare che il 1983 è stato l'anno oltre che di "Linea d'ombra" di Biagio Agnes. L'uomo di De Mita, presidente Manca, nominato pochi mesi prima direttore generale della Rai, inventore di Telenusco, patrocinatore del clan avellinese, aziendalista ad oltranza, nemico giurato delle reti Fininvest, diventa l'esempio miliare non solo della lottizzazione, ma anche della perfetta corrispondenza tra strategie pubbliche e interessi di parte, di corrente (non più soltanto di partito). Più o meno sono i tempi in cui il "Corriere della Sera" esce dall'affare P2 ed entra nell'amministrazione controllata con la direzione di Alberto Ca vallari. Calvi si è già ucciso o forse lo hanno già ucciso, la Rizzoli ha già chiuso il "Corriere di Informazione" e l"'Occhio", fallito tentativo di quotidiano "popolare" diretto da Maurizio Costanzo (a proposito di P2). Intanto Eugenio Scalfari, lestissimo, mira la preda, prepara il sorpasso, strappa al rivale Biagi e Ronchey, strappa lettori alJ'"Unità" e al "Paese Sera", decide che è giunto il momento di trovar spazio anche al centro, decretando la svolta moderata. Che non si veda, per carità. li lettore tipo di "Repubblica" appartiene a quel piccolo mondo italiano che mai accetterebbe di sentirsi di centro, moderato sì, antiideologico sì, ma sempre di sinistra. Così anche l'appoggio a De Mita, che è poi la sinistra Dc, sposa questa ambiguità, imbellettata in chiave liberal progressista ·tutta cervello tutta necessità tutta modernità. E per di più garantita. "Repubblica" è il primo quotidiano italiano che seguendo l'esempio del "Pafs", del "New York Times" e del "Washington Post", inserisce nell'organigramma anche il posticino di "garante dei lettori". A lui (viene subito nominato Piero Ottone) potranno rivolgersi i lettori appunto per denunciare abusi professionali da parte dei giornalisti della testata. Credo se ne sia persa traccia. La televisione pubblica di Agnes si schiera con Raffaella Carrà ("Pronto Raffaella?"), Enzo Biagi ("Questo secolo: 1943 e dintorni", dopo il successo di "Film Dossier" con !seppi e Feltri), Paolo Frajese ("30 anni della nostra storia"). Tanfa memoria e si capisce che il tempo passa invano. Ma nella cronaca televisiva nazionale entrerà un prodotto Fininvest, "Drive in", realizzato da Antonio Ricci per conto di Canale 5. "Drive in" è il primo tentativo italiano di comicità demenziale, surreale, folle, sgangherata, spettacolo dichiaratamente "cretino", di puro divertimento senza moralismi catto-

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