Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

QUALCOSA DI 11 POSTUMO" Giulio Ferroni All'altezza del 1983 appariva giunta ad un vero e proprio logoramento la vitalità delle teorie, dei metodi, degli scambi tra critica letteraria e scienze umane, che aveva caratterizzato grosso modo il ventennio precedente. Insieme a tanti altri airuci, mi trovai allora a verificare intorno a me l'esaurimento non solo della critica marxista, ma delle varie prospettive sociologiche, psicoanalitiche, strutturalistiche, e più generalmente semiologiche: queste prospettive avevano prodotto alcuni risultati critici e teorici di rilievo, ma si erano frantumate in una quantità di applicazioni scolastiche, tra formule ed etichette rassicuranti, che facevano perdere qualsiasi contatto con il farsi concreto della letteratura e con l'esperienza della lettura. Ne risultava un'inflazione di letture "professionali", in una gamma dal "tecnocratico" al "microerudito", che annullava ogni funzione vitale della letteratura e della lettura, ogni possibilità di far giocare il lavoro del critico nello scambio con il presente, di ritrovare nella sua esperienza quella integrale tensione conoscitiva che è sempre stata della grande letteratura. A quel malessere cominciava a rispondere l'attività di amici come Berardinelli, Brioschi, Di Girolamo, che in vari modi suggerivano una La nuovagarzantina ' • e Filosofia Glistudifilosoficie lescienzeumaneoggisecondo i piùautorevolispecialisti. Conlaconsulenzagenerale diGianniVattimo. 30 critica degli schemi strutturalistici e ponevano l'esigenza di una nuova attenzione ali 'atto della lettura e al punto di vista del lettore (mentre si faceva sempre più frequente la diffusione presso di noi dell'ermeneutica letteraria e della teoria della ricezione). In questa situazione di crisi delle prospettive teoriche, mi sono trovato nella contingenza, fortunata e quasi provvidenziale, di dare inizio, proprio nel corso del 1983, alla redazione di un manuale di Storia della letteratura italiana, sotto il cui segno ho vissuto quasi tutto il decennio, fino alla pubblicazione, avvenuta nel 1991, ma anche oltre, tra ricadute successive, annessi e connessi. Un'opera del genere mi ha costretto, oltre che ad immergermi in una fitta serie di testi di tutti i secoli, ad una continua diretta considerazione di questioni filologiche e a sistematiche letture di opere storiografiche, di ricostruzioni dei caratteri del mondo concreto in cui i testi letterari prendevano volta per volta vita e a cui si rivolgevano. Mentre intorno si espandevano e si consumavano le varie mitologie·• postmoderne", le varie pedestri illusioni degli anni Ottanta, questo lavoro storiografico può aver giocato come utile antidoto contro ogni ubriacatura "decostruzionista": mi ha imposto di verificare continuamente lo stare del la letteratura dentro la realtà e dentro le sue contraddizioni, mi ha costretto, spesso con la forza dei fatti, a sfuggire ad ogni generalizzazione teorica, ad "ascoltare" e ad interpretare nel loro contesto le esperienze essenziali del passato (e del presente); e mi ha impedito di privilegiare linee e tendenze particolari per mere ragioni di gusto personale e di poetica. Ho potuto così scoprire e riconoscere la grandezza e il rilievo storico di autori che non avevo mai amato, ho potuto verificare direttamente come la grande letteratura riesca a dare sempre l'immagine più totale del mondo che le sta intorno (e dello stesso nostro mondo, di noi che continuiamo a leggerla), senza mai bloccarne la vita in formule precostituite e definitive. Mi sono stati utili i metodi e le teorie più diverse, nell'ottica di una razionalità aperta, rivolta in primo luogo a rispondere alle domande specifiche poste dai testi volta per volta studiati. E infiniti sono stati i critici, gli storici e i teorici che mi hanno aiutato in questa prospettiva: ma forse l'apporto decisivo è stato quello di una filologia totale, fatta di razionalità conoscitiva, di curiosità enciclopedica, di profonda passione per la letteratura, una filologia che ha avuto tra i suoi grandi maestri Gianfranco Folena, che ho frequentato e amato. Proprio l'impegno nella storia letteraria (che nella sua fase finale si è incontrato con la caduta di tante sicurezze che comunque non avevo quasi mai condiviso e con il verificarsi di tanti crolli storici e politici), proprio il senso estraibile dalla tradizione italiana che mi sono trovato ad attraversare, mi hanno convinto sempre più della necessità di una ripresa illuministica, capace di scendere a fondo nel "negativo" per riscattarlo alla "luce" di una ragione "civile", capace di combattere gli inganni e i miti che "ritornano" presenti. Certo, nella comunicazione globale in cui siamo avvolti, la letteratura appare qualcosa di "postumo", come una tradizione giunta alla fine, schiacciata da altri linguaggi: ma io credo che proprio da questa condizione "postuma" e "finale" la letteratura, la lettura, la critica e la storia letteraria possono ricavare lo spunto per dire ancora parole essenziali sul mondo, per capirlo (molto più profondamente di quanto non possano fare altri linguaggi) e contribuire a "salvarlo" (in questo sono confortato da un recente grande libro teorico e critico, l'ultimo pubblicato da Jurij M. Lotman prima della morte, La cultura e l'esplosione, tradotto in Italia da Feltrinelli).

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