filosofiche della pragmatica, che restituisca il linguaggio alle sue concrete condizioni di possibilità, alla "forma di vita" in cui solo si rende visibile quale depositario di senso e veicolo di comunicazione: se poi per questa via dovremo rinunciare al mito della parola che è già li, e che parla per conto suo, tanto peggio per il mito e per la vociferazione mistica che ha finito per celebrarlo. Il fatto è che di linguaggio non si occupano solo la linguistica o la semiotica. Ancora in modo troppo riduttivo abbiamo guardato, in questa fase di canonizzazione, alla più generale tradizione filosofica di analisi del linguaggio. Né gli stretti rapporti che con la logica intrattiene la grammatica generativa, né la fortuna arrisa alla semantica dei mondi possibili nell'ambito della narratologia, hanno suggerito in proposito alcun riscontro percepibile sul piano, ripeto, propriamente speculativo. Tant'è che la semiotica si proclama, giusto quando ne sta saccheggiando i risultati, la sola autentica e legittima filosofia del linguaggio. Neppure lacosiddetta "nuova teoria del riferimento" di Kripke o Putnam sembra avere avuto effetto di sorta: l'unico significatodi cui dobbiamo occuparci, ci è stato per troppo tempo ripetuto, è il significato che sarebbe "immanente" al Segno; quasi che, essendo il Segno come tutti sappiamo un'unità a due facce, noi potessimo davvero girare il Significante per andare a vedere il Significato che sta dall'altra parte. E se la semantica che linguistica e semiotica ci propongono è oggi poco più che una sofisticata lessicografia, una parafrasi circolare all'interno della Semiosi Illimitata, è ovvio che a questo punto nonsia facileper nessuno usciredal labirinto autoreferenziale in cui ci siamo cacciati. La trappola l'avevamo costruita noi, prima che idecostruzionisti la consacrassero, in nome del redivivo loro nume tutelare, come Casa dell'Essere. Linguisti e semiologi, s'intende, hanno continuato a fare il loro mestiere. La discussione sui fondamenti è venuta meno, quando pure ne esistevano tutti i requisiti, non certo per cause soggettive, ma per la buona ragione che il paradigma in vigore garantiva comunque una confortante efficacia operativa (nonché per ragioni assai meno buone, segnalate opportunamente da Segre, come la scarsità di spazio concesso dall'ordinamento universitario agli insegnamenti di· ordine metodologico, che incoraggia ben poco a studi di questo tipo). Non bisogna sottovalutare la ricerca "normale", di nuovo, giacché è anzi questo i I momento incui si amplia la nostra descrizione del campo e se ne approfondiscono le connessioni, che resteranno in ogni caso per noi un sapere acquisito. Neppure la critica letteraria, in questo senso, se l'è cavata così male: al contrario, la generazione maturata nell'arco di questo decennio ha prodotto lavori ammirevoli per equilibrio, flessibilità, acribia analitica. Ciò che colpisce è che, al di sopra di una pratica ormai di fatto sincretistica (nel sensomigliore del termine), continuano a galleggiare postulati teorici ormai di fatto inerti, lasciati lì a restituirci una definizione estremamente impoverita della letteratura e del suo stesso linguaggio. Ho sempre sospettato che la presunta non referenzialità del testo letterario finisca non per magnificarne, bensì per mortificarne anche e prima di tutto la natura di artefatto linguistico. Forse, la crisi di cui stiamo parlando è semplicemente questa: il dubbio che l'eterogenesi dei fini ci abbia fatto dire cose di-::erse da quelle che intendevamo dire. Vorrei solo aggiungere alcuni nomi e titoli che hanno avuto il merito, proprio nel corso di questi ultimi due anni, di riproporre il discorso teorico muovendo verso direzioni, ciascuna a suo modo, non canoniche: in ordine alfabetico, Mario Barenghi (L'autoritàdell'autore, Lecce, Milella 1992);Giovanni Bottiroli (Retorica, Torino, Bollati Boringhieri 1993); Francesco Orlando, il cui ultimo libroconferma, su unpiano più distesamente tematico, la tenuta di un metodo elaborato in assoluta originalità (Gli oggetti desueti, Torino, Einaudi 1993);e Vittorio Spinazzola, che ci ha dato (Critica della lettura, Roma, Editori Riuniti 1992) un nuovo capitolo di una riflessione non meno originale sugli statuti dell'istituzione leUeraria.Ma non mancherebbero altri nomi: per farne due, che più diversi non si può, Mario Lavagetto e Romano Luperini (con la sua "Allegoria"); o Sandro Briosi e Nicolò Pasero (con la sua "L'immagine riflessa' 1 ). Ne ho ovviamente dimenticati molti altri. Chissà, può darsi che la crisi sarebbe già alle nostre spalle, se solo decidessimo di metterci a discutere, nello spirito aperto della controversia intellettuale, i loro contributi. Da "L'oceano intorno a Milano" Mi/o De Angelis I L'oceano lì davanti lì davanti come un'idea e uno scisma nell'idea guardo i pianeti della fortuna, le scatolette che danno un confine come questa fila di case, d'inverno, significa camminarci accanto, essere d'inverno. Milano lì davanti lì davanti. Si spegne la luce traforata dal citofono e io ripeto ogni cognome, lo costruisco a mano a mano come un compito della sostanza. II I millenni non scendono più nella strada verso Greco insegnando l'alfabeto con la stessa voce che ne oscura l'altra parte scrutando per quarantadue anni i tempi finali dell'ossigeno, il battito · della mente che intreccia tangenziali ' a un po' di borotalco incenerito Quando ritorna il suo vero canto nuziale, noi sappiamo che questo è un portone qualsiasi, un'altra finestra divisa in gridi, quattro mani per sorreggere un giornale. III Non abbiamo chiesto l'acqua ma la sete. Vita che è solo vita, vita che non ci lascia prima di comprendere, ci divide in memoria e mandragola, batte sui segnatempo, sul nostro sangue attuale. Era una città ad azionarci il respiro. I camion restavano lì, spirituali. Vecchi lontani lasciati liberi portavano le lenticchie a capodanno. Era l'anniversario degli oggetti. Se tu sapessi quanta pietà non ha voltato pagina Se non morissi prima cliconoscerla. L'oceano intorno a Mi/ano è un poemetto in quindici parti. Verrà pubblicato per intero, insieme ad alcune mie riflessioni, nel numero di aprile di "Poesia" (N.d.A.). 29
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