Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

francese Jacques Derrida, lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger, il critico letterario inglese George Steiner. Vorrei fare in conclusione solo qualche breve osservazione su questi autori. Anzitutto: in tutti e tre il problema dell'oggetto, del metodo e dell'obiettivo della critica della cultura è diventato sempre più chiaramente, col tempo, un problema non solo di metodo o di teoria, ma un problema di linguaggio. Di invenzione delle strategie retoriche, stilistiche più adatte all'esercizio della critica. La cosa è tanto evidente in Derrida che il problema della valutazione di questo autore è tuttora al centro di accese controversie. Come in passato è avvenuto anche per i suoi conclamati maestri, Nietzsche e Heidegger, a volte si discute perfino se gli scritti di Derrida meritino di essere discussi. Che cosa sono? filosofia, letteratura o debordanti divagazioni di qualità dubbia? Col nome di "decostruzionismo" la macchina critica di Derrida sembra aver toccato limiti estremi. Che si tratti di una forma libera di saggistica, dove sono abolite le distinzioni fra procedimenti logici e giochi retorici, non c'è dubbio. Resta da vedere che valore e interesse questa saggistica abbia. Ma da dove attingere i criteri per un giudizio di valore a metà strada tra filosofia e letteratura? E chi può decretare che cosa è interessante e fondato, quando i confini della fondatezza specialistica sono aboliti e messi in dubbio proprio all'interno del testo in esame? Il testo decostruzionista è un testo che divora altri testi divorando se stesso.L'oggetto del discorso viene vanificato, diventa illegittima la sua riconoscibilità in quanto oggetto testuale stabilito: perché il testo decostruzionista non ne commenta un altro, ma lo smonta, lo disfa, ne revoca in dubbio la fisionomia formale e l'identità semantica. Niente di stabilito e di dato, nessuna affermazione può preesistere e resistere all'invadenza critico-verbale di Derrida. L'estremismo critico di Derrida tocca a volte l'autoparodia involontaria: una pioggia di interrogativi, ripetizioni ossessive, variazioni metaforiche su concetti e pseudo-analisi etimologiche, spesso del tutto gratuite, di metafore presenti nelle opere esaminate. Al di fuori della macchina del testo che ne smonta un altro non c'è che il vuoto. Il decostruzionismo potrebbe essere definito una prassi critico-linguistica ininterrotta, che dissolve il suo oggetto e che non ha scopo al di fuori del suo movimento ossessivamente interrogativo e nullificante. Di qualunque cosa Derrida annunci di parlare, parlerà del modo in cui sta parlando della cosa di cui non parla. In Derrida la critica della cultura diventa sempre e dovunque critica a esaurimento di tutta la cultura, di tutta la Tradizione Culturale Occidentale, senza confini precisabili né scopi dichiarabili. Il suo motto sembra essere: la discussione continua, si può sempre ricominciare. La cosiddetta critica del logocentrismo diventa una forma sfrenata di logocentrismo. Il discorso è tutto, è l'alfa e l'omega del mondo. Molto diverso il caso di Enzensberger: che è un estremista moderato, un realista scettico. Come critico della cultura, Enzensberger è un lottatore astuto e abilissimo. Viene da Kraus, ma non ha, come Kraus, visioni catastrofiche. Ha risolto il problema del linguaggio travasando la critica dell'ideologia nel genere del saggio satirico-giornalistico. Come scrittore satirico è prudente, e come critico dell'ideologia sa di lottare ormai in posizione precaria. Non può contare su teorie sociali e su utopie storiche: e neppure sul consenso a priori di un pubblico di sinistra ed' opposizione, come avveniva all'inizio della sua can-iera, negli anni Sessanta. Sinistra politica e opposizione culturale sono annegate o sommerse, e continuare a esercitare la critica delle idee e del costume è diventato un mestiere da equilibristi. Che punto di vista assumere? Dopo aver parlato, quasi trent'anni fa, dell'Europa come di una periferia del Terzo Mondo, ha dovuto più tardi ritrattarsi, scrivendo di un inevitabile "eurocentrismo controvoglia", quando il modello occidentale è diventato, senza alternative possibili, il solo esplicitamente desiderato da tutti i popoli del pianeta ancora esclusi e in attesa di accesso. E nella critica della cultura? Come dare importanza pubblica ai propri gusti? Come il usare apertamente, senza essere accusati di nostalgie élitarie, il modello dell'alta cultura per giudicare l'attuale cultura di massa? Questo scetticismo non ha diminuito l'aggressività critica di Enzensberger: l'ha resa però prigioniera di un'ironia ansiosa che lancia assennate provocazioni lodando la normalità e la mediocrità come mali minori. Così la critica della cultura declina ogni responsabilità impegnativa sul piano pubblico. Si direbbe che anzi, per sentirsi più libera, preferisca non sentirsi né influente né rappresentativa. Spesso gli basta essere intellettualmente elegante: buona letteratura, se non altro. L'importante, sembra dire Enzensberger, è ormai per il critico tenersi in bilico fra accettazione e distanza: e soprattutto non accanirsi a immaginare di volere che una società mediocre e agiata diventi troppo migliore di quanto potrebbe mai diventare. Anche George Steiner è un critico del linguaggio. Ma lo è anzitutto come critico letterario. La sua virulenza polemica non teme un certo tradizionalismo. Steiner resta dell'idea che solo nel rapporto con i grandi capolavori letterari del passato (da contemplare e rileggere, più che da smontare) possa alimentarsi una critica del presente. I mezzi più giusti per tenere in vita il rapporto con la tradizione sono la memoria, l'ermeneutica filologica e soprattutto la lettura che dell'arte del passato è in grado di fare l'arte del presente. Recente (nel libro polemico Vere presenze) è il suo attacco contro la sovrapproduzione critica, inquinante e parassitaria, dovuta al giornalismo e ali' università. Di fronte alle grandi opere, il primo e vitale atto critico è la semplice lettura: la ripetizione, i I silenzio, la memoria. Siamo ali' opposto di Derrida: la lettura non deve diventare il pretesto per la produzione indiscriminata di nuovi testi. La sovrapproduzione culturale come barbarie è un tema di Steiner. Solo quei critici che hanno scritto a loro volta grandi opere saggistiche hanno mostrato di rispondere adeguatamente alle grandi opere letterarie. Come per Adorno, ma in modo più esplicito, per Steiner la decadenza delle élites culturali più che democratizzare la cultura l'ha degradata, privandola del suo potenziale critico rispetto alla società. "La democratizzazione dell'alta cultura( ...) ha generato un ibrido assurdo. Scaricati sul mercato di massa, i prodotti della cultura classica vi aITivano diluiti e adulterati. All'estremo opposto( ...) vengono sottratti alla vita e messi in salvo sotto chiave nei musei" (1971, In Bluebeard's Castle). La fondamentale risorsa critica è la capacità di silenzio: è il tacere di fronte a quel linguaggio di classici che assumiamo come pietre di paragone per giudicare il nostro stesso linguaggio. Così la fonte della critica del presente è la nostra memoria reale del passato: testi da tradurre, da mettere in scena, da eseguire, da recitare e custodire in noi: "Sotto la censura e la persecuzione, gran parte dei testi più belli della poesia russa moderna sono stati tramandati di bocca in bocca e recitati interiOJ·- mente. Le indispensabili scorte di ribellione, di ricordo autentico e di ironia offerte da Achmatova, Mandel'stam e Pasternak spno state salvaguardate". Le conclusioni di Steiner connettono il più remoto passato al presente: "La convinzione greca arcaica che la memoria fosse la madre delle Muse esprime un'intuizione fondamentale sulla natura delle arti e sulla natura della mente. Queste sono questioni politiche e sociali fondamentali nel senso più forte del termine" (Vere presenze, Garzanti 1991, p. 23). 27

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==