Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

sono per lo più solo in rapporto con se stessi" dice Adorno, e quindi la loro critica è in parte inattendibile e offuscata. Come un maestro zen che nega all'ansioso discepolo la possibilità di una via d'uscita, Adorno sovraccarica dialetticamente, con soffocanti manierismi, le sue riflessioni. Da un lato il rifiuto della cultura dominante può alimentarsi solo dalla partecipazione ad essa e dal] 'altro questa partecipazione può dare conoscenza critica solo se alimenta il rifiuto. Così si dice in un capitoletto dedicato all'autodisciplina intellettuale, capitoletto che porta il seguente titolo: "Attento alle cattive compagnie". Diagnostico spietato della cultura di massa, Adorno è spietato anche stilisticamente: non concede molto a chi lo legge. Gli offre dei congegni intellettuali per esercitare un distacco certamente impoten.te, in parte doveroso, in parte ipocrita e forse colpevole. Fra i tre autori che ho citato, è Roland Barthes quello che ha avuto in seguito il maggior successo. Anche perché ha abbandonato lo stile dello smascheramento dei miti, dedicandosi ad una semiologia più sovrabbondante e meno critica, e poi ad un saggismo autobiografico suggestivamente elusivo. Lo sviluppo successivo di Barthes potrebbe anzi essere considerato come un sintomo della crescente sfortuna che da allora ha colpito la critica della cultura. Fra tutti i libri di Barthes, Mythologies è uno dei migliori, ma è anche quello che ha fatto meno scuola. Nel rivelare la retorica dei miti borghesi, Barthes osservava alcuni procedimenti ricorrenti. Per esempio: "confessare il male accidentale di un'istituzione di classe per mascherarne meglio il male principale". E poi: "Il mito elimina la storia dall'oggetto del suo discorso. In esso, la storia evapora", ogni apparenza sociale si presenta come naturale. Ancora: "Il piccolo-borghese è un uomo incapace di immaginare l'Altro. Se l'altro si presenta ai suoi occhi il piccolo-borghese si rifiuta di vedere, lo ignora e lo nega, oppure lo trasforma in se stesso" (pp. 224-5). L'intenzione dichiarata di Barthes era stata di svelare !"'abuso ideologico" che presenta la Storia come Natura, nel cosiddetto "ciò-che-va-da-sé", negli oggetti culturali che ci si offrono come ovvii e innocenti, desiderabili o innocui. La critica dell'ideologia sembrava aver trovato nuove armi nell'analisi del linguaggio. A distanza di qualche decennio, che ne è della critica della cultura proposta da quei libri? In Italia vanno ricordati una serie di episodi che negli anni immediatamente successivi sono stati notevoli, direi, soprattutto per il loro estremismo. Veri e propri stili dell'estremismo nella critica della cultura sono quelli di un certo numero di saggisti. Il breve elenco che propongo è un po' eterogeneo, ma rende abbastanza bene, mi pare, il clima di quel periodo, che va dal 1960 al 1975 circa. L'influenza soprattutto di Adorno, ma anche di Barthes, si faceva sentire in F. Fortini (Verifìca dei poteri, 1965). Quella soprattutto di Barthes, ma anche di Adorno, piuttosto in E. Sanguineti: che proponeva il linguaggio d'avanguardia come critica della cultura. Marxisti iperletterari entrambi, entrambi influenzati da Brecht: Fortini tradizionalista in letteratura ed eretico in politica, Sanguineti ortodosso in politica e avanguardista in letteratura. Entrambi fedelissimi a se stessi fino alla replica manieristica e ossessiva dei propri principi, Fortini e Sanguineti non hanno mai abbandonato l'impegno al la critica dell'ideologia. Ma quanto è avvenuto nella cultura degli ultimi vent'anni è in 25

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