didattico), ma non si devia dalla direzione programmata in partenza. Se un insegnante invece rinuncia al suo delirio di onnipotenza e accetta di considerare l'imprevisto come informazione e lo spiazzamento da esso prodotto come un'occasione per apprendere qualcosa che non sa, prenderà l'abitudine di porre agli studenti (anche) "domande legittime"6 di cui non conosce la risposta e potrà scoprire che si può essere "formati" dai propri studenti parallelamente all'azione formativa che si esercita su di loro. In questo senso la serendipity, cioè il trovare casualmente quello che non si stava cercando, si può considerare un modo di conoscere proprio della didattica, e il metodo scientifico del "Vediamo Che Cosa Succede Se" la sua via maestra. S) Progettare e improvvisare. Questo non significa, naturalmente, che l'insegnante debba presentarsi a scuola senza progetti né previsioni, per lasciarsi trasportare dalla corrente verso qualsiasi approdo. Semplicemente, dovrà tener conto che i suoi progetti e le sue previsioni (ma anche le sue emozioni, le sue opzioni morali, ecc.) sono solo un polo della relazione didattica, e che l'altro polo è costituito dalle attese, dai modi di funzionamento, dall'universo di valori e di emozioni dei suoi studenti. Si dice e si ripete che un buon insegnante è quello che sa programmare per filo e per segno la sua attività; un ingrediente non meno importante dell'artigianato didattico è la capacità di far fronte alle sorprese, di reagire ingegnosamente alle frequentissime situazioni in cui è impossibile o controproducente appoggiarsi a linee di condotta e a modelli prestabiliti. 6) Imparare a insegnare. Come ogni solistajazzsa molto bene, improvvisatori non si nasce ma si diventa, attraverso lo studio e l'allenamento. TuttaviaJ\arte dell'improvvisazione non può essere trasmessa per via gerarchica come i dogmi e le disamene terminologie della programmazione: i migliori "formatori" di insegnanti sono altri insegnanti, e la strategia comunicativa più efficace che possono mettere in atto è la narrazione di esperienze didattiche. Al contrario delle formalizzazioni tassonomiche oggi in voga, la narrazione non seleziona esclusivamente ciò che è generale, misurabile e trasferibile, ma dà spazio all'unicità, alla particolarità e alla storicità dei fatti narrati, valorizzando quegli aspetti locali e contestuali che danno senso e sapore ad ogni esperienza di insegnamento: che cosa potremmo apprendere dalla Letlera a una professoressa o dai libri di Mario Lodi se qualche perverso pedagogista I i avesse tradotti nel gergo della programmazione didattica? 7) Dal!' oggettività ali' etica. Ogni osservatore che descrive un mondo sta descrivendo se stesso che descrive quel mondo; ogni insegnante che descrive la prestazione di un alunno sta descrivendo se stesso che descrive quel la prestazione. Questo significa che, quando valuto le capacità di un mio studente, non sto misurando qualche cosa che è dentro la sua testa, ma sto esprimendo un giudizio più o meno positivo su una mia relazione con lui. Il mito dell'oggettività propugnato dalle più.diffuse teorie della valutazione offre un alibi eccellente a quegli insegnanti che non vogliono assumersi la responsabilità morale dell'inevitabile soggettività delle loro scelte, e costituisce un'arma costantemente puntata contro l'infinita varietà degli stili cognitivi dei barnbini e dei ragazzi. Anche nell'insegnamento come in ogni altra esperienza umana, "ciò che veramente conta non può essere contato" 7 . In un recente numero dell "'Unità" un giovane maestro, Bardo Seeber, rispondendo a un articolo un po' troppo apocalittico di Alfonso Berardinelli a proposito della scuola, rivendicava il valore del "rapporto che nasce e si sviluppa tra persone, adulte e bambine, rapporto che nessuna struttura, per quanto pesante, rigida e coercitiva ha la facoltà di rendere irreale"; e prospettàva la necessità di una "resistenza" capace di "partire dalle aspettative 20 e dai desideri dei bambini e dei ragazzi e con loro cercare di costruire un percorso comune". Credo che molti insegnanti condividano questa concezione del loro mestiere. A pensarci bene la storia di Rabbi Bunam con la quale si apre questo articolo una sua morale ce l'ha: vale veramente la pena che tu dia retta al tuo sogno solo se sei disposto a farlo dialogare con il sogno di un altro. Note I) H. von Foerster, Letologia. Un.ateoria dell'apprendùnento e della conoscenza vis a vis con gli in.determinabili, in.decidibili, in.conoscibili, in P. Perticari (a cura di), Conoscenza come educazione, Angeli, Milano 1992, pp. 57- 78. 2) I concetti di "autopoiesi" e di autonomia dei sistemi sono al centro della riflessione di H. Maturana e F. Yarela, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia 1985; più accessibile per un non specialista è L'albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1984. 3) H. Maturana, Tutto ciò che è detto è det!o da un osservatore, in W. I. Thompson (a cura di), Ecologia e autonomia, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 79-93, la citazione è alla p. 88. 4) H. von Foerster, Letologia ..., cit., p. 74. 5) L'espressione è di G. Pask, Conversazione, stili cl' apprendimento e concef/ualizzazion.e, in P. Perticari (a cura di), op. cit., pp. 125-142. 6) I concetti di "domanda legittima" come domanda "le cui risposte ci siano ignote" e di "domanda illegittima" come domanda "di cui si conosca già la risposta" sono di H. von Foerster, Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma 1987. A suo parere l'uso sistematico di "domande illegittime" da parte degli insegnanti tende a ridurre lo studente a una "macchina banale", i cui comportamenti sono totalmente prevedibili: "I test scolastici sono un mezzo per misurare il grado di banalizzazione. Se lo studente ottiene il punteggio massimo, ciò è segno di una perfetta banalizzazione: lo studente è completamente prevedibile, e quindi può essere ammesso alla società. Non sarà fonte di sorprese nédi problemi". 7) W.I. Thompson, Le implicazioni culturali della nuova biologia, in W .I. Thompson (a cura di), op. cit., pp. 33-52; la citazione è alla p. 51. I compagni scomparsi Fernando Bandini Seduti contro il muro senza aspettarsi niente, nemmeno ch'io sapessi che si trovavano là, (un muro in fondo a una stanza piena d'umidità come una grotta, e là in fondo il loro sguardo indolente) i compagni scomparsi uno ad uno - senza un saluto o appena agitando la mano - agl'incroci della mia vita mi guardavano adesso con un'aria stranita, non davano segno d'avermi riconosciuto. Io dissi: "Presto, in piedi! Questo è il momento buono per scappare da qui. V'insegno io la strada" ... Fuori nel mondo l'ora delle torri era un tuono, fischiavano nen 'aria i sassi di qualche intifada. Loro fissavano l'ombra davanti a sé col viso pallido e smunto. Nessuno sussultò, nessuno si mosse. L'unico che dall'angolo mi ha fiocamente sorriso era un ragazzo che avevo scordato chi fosse.
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