Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

'83/'93 - LA SCUOLA ---- IL MESTIERE DELL'INSEGNANTE SETTETESIPERGLIANNI NOVANTA Guido Arme/lini Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese. li capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufai Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e a mettere a soqquadro tutte le case di una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia-aggiungeva allora Rabbi Bunam -e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte ciel mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare". (M. Buber, // cam111i110dell'uo1110, Edizioni Quiquajon, Magnano 1990, pp. 57-58) Questa storia degli ebrei chassidici parla, tra l'altro, dell'insegnare e dell'imparare: è raccontata da un maestro per dare un insegnamento ai suoi discepoli; culmina con l'apertura di una scuola; il suo protagonista trova un tesoro passando attraverso un processo di apprendimento. Ma se tentiamo di trarne indicazioni univoche ci troviamo di fronte a una serie di paradossi. Eisik riesce a trovare il tesoro sotto la stufa solo quando cessa di ubbidire al suo sogno per dare ascolto a quello del capitano delle guardie (dunque il suo sogno è falso); ma non avrebbe incontrato il capitano se non avesse seguito le indicazioni del suo sogno (dunque il suo sogno è vero). Il capitano trasmette a Eisik la verità sul tesoro (dunque possiede la verità), ma non trovà il tesoro (dunque non possiede la verità). Rabbi Bunam invita i suoi discepoli a cercare la propria verità nel profondo di se stessi; ma l'insegnamento proviene pur sempre dal l'autorevolezza della sua sapienza. Per non parlare delle tortuose strategie didattiche del supremo Pedagogo che invia sogni contraddittori e fa fantasiosamente incrociare i percorsi degli uomini. I problemi che restano aperti sono quelli fondamentali: chi insegna che cosa a chi? chi impara che cosa da chi? che cosa bisogna fare per saper imparare e per saper insegnare? Ci sono manuali per insegnanti in cui si possono trovare risposte molto precise a queste domande. Si parte dalla premessa che esistono dei saperi dati, codificati dall'autorità degli specialisti nei diversi campi disciplinari, da "trasmettere" unilateralmente agli studenti. Il compito principale degli insegnanti consisterebbe 18 nell'elaborare "traduzioni didattiche" dei più aggiornati e affilati modelli concettuali delle discipline, da calare in curricoli adatti a condurre passo passo i ragazzi dall'ingenuità e informalità dei loro pre-giudizi e pre-concetti di partenza al nitido rigore delle verità e dei metodi scientifici; la validità di un percorso formativo starebbe nella sua capacità di coniugare la sicura scientificità dei riferimenti specialistici con l'adeguamento alle risorse intellettuali e ai processi cognitivi tipici delle diverse età dei discenti. Questa impostazione non si basa soltanto sul presupposto che ci siano teorie scientifiche "vere" di cui un giovane deve impadronirsi per far parte a pieno titolo della società degli adulti, ma anche sulla presunzione che i modi di funzionamento delle menti dei bambini e dei ragazzi siano conoscibili, controllabili, prevedibili, plasmabili e misurabili dall'esterno. Nonostante l'apparente compattezza e solidità di questo modello, la mia esperienza di insegnante mi porta a preferirgli l'immagine di insegnamento-apprendimento che scaturisce dal la storia di Rabbi Bunam. Non si tratta di una ripulsa della "scienza" a favore della mistica. Molto più prosaicamente le formalizzazioni proposte da tanti libri e corsi di aggiornamento per insegnanti mi sembrano ancorate a un vecchio concetto di scientificità, incapace di fare i conti col fatto che ogni operatore che agisce su un sistema fa parte del sistema sul quale agisce, e che ogni osservatore che descrive un mondo sta descrivendo se stesso che descrive quel mondo. Probabilmente Heinz von Foerster vi riconoscerebbe le tracce di quella "ignoranza di secondo grado" (non sapere di non sapere) che è molto più grave dell'ignoranza semplice, e costituisce il più formidabile ostacolo allo sviluppo della conoscenza, perché chi ne è affetto non è mosso da nessuna profonda curiosità, non dà inizio a nessuna autentica ricerca'. Se riconsideriamo la didattica a partire da "una teoria della conoscenza che sia conscia della vastità della nostra ignoranza" ci troviamo riproiettati nel bel mezzo degli interrogativi suscitati dalla storia di Rabbi Bunam, con in più un'ampia gamma di piste di ricerca, alcune delle quali, schematizzando terribilmente, si possono sintetizzare nelle seguenti tesi. l) L'insegnante nel sistema-classe. Se l'insegnante non viene concepito come un operatore-osservatore esterno che agisce unilateralmente sulla classe per cambiarne i comportamenti ma come una parte del sistema sul/nel quale agisce, è impensabile che i suoi obiettivi e i suoi programmi possano diventare gli obiettivi e i programmi dell'intero sistema. Anziché presumere di poter misurare "oggettivamente" e regolare unilateralmente i tempi e i modi del processo di apprendimento, egli coltiverà la consapevolezza di essere una variabile del processo di cambiamento, soggetta alla retroazione della classe. E se alla fine di un anno scolastico gli sembrerà di aver raggiunto tutti gli obiettivi, trasmesso tutte le abilità, espletato tutte le verifiche che aveva progettato all'inizio, sospetterà che qualcosa non sia funzionato come doveva: se lui non è cambiato nemmeno un po', è molto improbabile che siano cambiati in modo significativo i suoi alunni. Si potrebbe anzi sostenere che un buon criterio per giudicare della validità di un

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==