aveva generato o fatto spazio a un insolito metaruolo, dall'altra le istituzioni delegate e le forze impegnate nella Politica Culturale avevano finalmente trovato un'indispensabile "mezzafigura" - termine che qui vogliamo riscattare sottolineando un suo secondo ma non secondario significato.L'operatore culturale è infatti una "figura che sta a metà" fra la Teoria e la Prassi e che certo non risolve ma copre e talvolta dissolve l'annoso problema della loro conciliazione. Erede involontario del Responsabile Cultura-classica mezzafigura presente non solo nei partiti di sinistra e non solo nei partiti -1 'operatore culturale non risponde più di quella visione per cui il "lavoro culturale" (di bianciardiana memoria) è supporto o compensazione di un'attività politica frustrata nei risultati concreti e ancora di più in quelli della "progressiva presa di coscienza". La cultura era allora un campo vago e sconosciuto, da conquistare o almeno da occupare, anche al solo fine di sottrarlo agli avversari; gli interventi e le manifestazioni "culturali" (quelle poche che non rientravano direttamente nei compiti dell'ufficio Stampa e Propaganda) erano sempre meritorie e indolori, costituivano l'unico "dialogo" al tempo dell'Italia Divisa e rappresentavano la parte più nobile di quello che si chiamava il "dibattito attuale", al quale tutti i politici facevano costante riferimento; le finalità più alte della "politica culturale" (dunque anche del sopracitato ufficio Stampa e Propaganda) erano la difesa della libertà del pensiero, il contributo alla formazione dell'opinione, l'educazione delle masse, ma il vero obiettivo strategico che infine motivava lo sforzo o lo sfoggio prettamente "culturale" era (ed è rimasto) quello di ·attrarre i "ceti medi" di ieri (oppure "il centro" di oggi), cioè quella eterna maggioranza silenziosa e apolitica, che comunque si schieri non appartiene a nessun partito e che è da sempre il buco nero dove ogni attività e ogni idea precipita nel l'entropia. È proprio su questo terreno, paludoso e ambito, che si misurano i vantaggi della nuova mezza.figura del l'operatore culturale, stavolta nel suo terzo e ultimo significato di figura per metà politica e per metà culturale. La sua novità strutturale, rispetto all'esercito dei funzionari e militanti che lo hanno preceduto, sta proprio in questa scissione che si realizza per davvero ed in modo convincente fin dal primo momento. Si può dire infatti che l'operatore culturale deve il suo stesso nome allo stretto e prioritario rapporto che ha con una ritrovata e rafforzata autonomia del la cultura - sia pure intesa e praticata come un settore di mercato o, se si vuole, come uno "specifico"; è questo rapporto ciò che lo spinge ad accrescere la sua competenza e che gli fa guadagnare l'immagine di uno specialista, a sua volta autonomo dalle strategie culturali di enti o partiti: dipendente da tutti non è in effetti rappresentante di nessuno, agisce anzi opera "in proprio", anche se mai "per proprio conto". Sul terreno teorico il primo vantaggio che offre l'invenzione dell'operatore culturale è che si può sciogliere il nodo - fino a ieri convenientemente stretto - fra la politica culturale e la cultura politica: in altri termini, quel rapporto fra cultura e politica, che a sinistra era "organico" (e che a destra era "etico"), può pro eguire nel cielo delle idee ma finalmente sgombrare il piano delle azioni. Può dunque continuare, perfino in sezione, il dibattito serrato e sofferto sul tema "Intellettuali e potere", ma nessuno più ignora come l'inserimento di un provvidenziale "terzo comodo" ha di fatto annullato i suoi effetti paralizzanti ed ha ridotto la sua dittatura ideologica sulla prassi spicciola dell' intervento culturale. C'è adesso qualcuno-piccolo, inconsistente, una "mezza figura", se si vuole finalmente adoperare questo termine nel suo corrente e scadente significato - che si colloca 14 immediatamente in chiave operativa, offrendo il proprio autonomo servizio di mediazione, anzi diffondendo una rete di stazioni di servizio: da lì si potrà far passare una politica culturale libera dalle complessità e dalle impotenze della cultura politica. L'operatore stesso se ne renderà garante: egli non è affatto l'ennesimo buono o cattivo conduttore di scelte o idee prefabbricate, ma un attore sociale indipendente, che si introduce in prima persona nella irrisolta e insolubile contraddizione fra astratto dibattito culturale e concrete esigenze del reale. È la sua sola esistenza, o meglio l'incremento costante del la sua "invenzione", ciò che permette ad amministratori e politici di sospendere gli astrusi problemi del passato e di svolgere senz'altro i temi culturali che il presente realisticamente propone; solo così, fra l'altro, sono finalmente liberi di accettare le sfide e le tentazioni che l'industria e il mercato culturale mettono loro di fronte. Tanto ormai il "lavoro culturale" va avanti per così dire da solo, dal momento che - per quanto li riguarda - consiste nella sola nomina dell'operatore. Quanto alla strategia, nemmeno quella è più un problema, dal momento che risalterà a posteriori, appena messi in fila gli interventi, le iniziative e i progetti che l'operatore ha realizzato, quando si potrà con soddisfazione calcolare "quanto è già stato fatto e quanto resta ancora da fare". In pratica e infine, il vantaggio più consistente sta nel fatto che il risparmio delle proprie "forze" (politiche) è assoluto. Non si tratta più di preparare e sprecare quadri da immettere nel sociale come pesci nell'acqua: l'operatore culturale è plancton che abita già l'oceano del mercato e che ne fa parte. Così come alla fine degli anni Sessanta si erano generati da soli gli studenti, un decennio dopo la società dei consumi e la cultura dei mass media era pronta a far nascere gli operatori culturali: ogni giovane consumatore, specie se collezionista monotematico e monomaniaco di una moda specifica o di un settore speciale, gioca da subito il ruolo di opinion leader ed ha la statura di un consulente per quanto attiene al suo hobby. È un operatore culturale almeno in potenza. Trovato, per così dire in natura, l'attore sociale, il militante o il funzionario di partito è finalmente libero di fare l'assessore, magari socialista. E in fondo, anche prima di essere eletto, già loè. In atto! - Da quando è cominciata questa era in cui, per dirla con Lasch, "il presente è dilatato", si ha la sensazione di guardare tutto insieme, e come tutto uguale, quello che è già successo e quello che ora succede, ma la verità è che, in poco più di un decennio, molte cose e diverse fasi si sono via via accumulate e perfino l'operatore culturale - malgrado la sua nascita recente e la sua morte annunciata - ha fatto in tempo ad avere una sua piccola storia. Una storia più politica che culturale, non soltanto perché, come s'è appena visto, il condizionamento dei politici è stato più pesante di quello del mercato, ma soprattutto perché le iniziative culturali sono cresciute enormemente di numero ma non di qualità: il passare degli anni non ha visto altro che l'accumularsi di "progetti" molto meno efficaci dei tanto deprecati "prodotti", ovvero di "processi" che non contenevano storia né provocavano futuro, usati e gettati come giocattoli rotti, a dispetto del loro alto contenuto pedagogico. Già la preistoria, in cui è racchiuso il segreto delle origini dell'operatore culturale, si era svolta sotto il segno della politica, sia pure quella estrema d'antan: gli anni Settanta non sono stati solo "di piombo" o dell'austerity, ma hanno anche visto gli interventi agit-prop e i circuiti culturali alternativi, le feste del proletariato giovanile e i graffiti degli indiani metropolitani, eccetera eccetera. Tutte cose che corrispondono a periodi e modi distinti di riscoprire e praticare l'attività culturale: si va da
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