Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

'83/'93 • IL "LAVORO CULTURALE" INVENZIONE, DIFFUSIONE EAGONIA DÉLL'OPERATORE CULTURALE Piergiorgio Giacchè "Operatore culturale" è un'espressione generica e ambigua, uno di quei termini che hanno due significati, anzi due valori diversi a seconda se si aggiungono come aggettivi o si isolano come sostantivi. Come aggettivo "operatore culturale" è piuttosto un riconoscimento, quasi un'onorificenza che si assegna ad insegnanti, giornalisti, artisti e uomini di spettacolo quando si vuol sottolineare il loro impegno sociale, ovvero quella aggiunta di disponibilità e di efficacia che ricorda qualcosa della vecchia e benemerita "militanza"; come sostantivo vale invece molto di meno e indica l'esercito degli animatori scolastici o turistici, degli organizzatori estivi o festivalieri, dei quadri intermedi o minimi delle associazioni del tempo libero, dei piccoli funzionari o dei giovani cooperatori che gestiscono le biblioteche, emeroteche, videoteche, ludoteche e talvolta enoteche e paninoteche che gli assessorati alla cultura dei mille comuni d'Italia hanno fatto fiorire un po' dappertutto, nei "dorati" anni Ottanta. ' Per la verità, prima di allora l'operatore culturale non esisteva come sostantivo, e, dopo di allora, cioè adesso, ha ormai perso ogni sostanza. Fra qualche tempo nessuno forse si ricorderà di lui, né di quell'epoca in cui la creatività era facile e diffusa come la lussuria e l'erudizione comjnciava da "La Gola", in cui i sarti si facevano chiamare stilisti e i politici statisti e i giornalisti scrittori. In un'orgia di promozioni che parevano non risparmiare nessuno e che avevano decisamente smentito quella pessimistica predizione di Eduardo secondo la quale "gli esarru non finiscono mai ...". Senza più esami, invece, e persino senza concorsi, tutti si ritrovavano assunti nel cielo immenso del terziario intellettuale e finanche facilmente ammessi nell'Empireo dei Media. Ebbene, molto al di sotto di quelle vertiginose altezze (ma con il naso rivolto all'insù) era normale che si andasse formando una folla di giovani apprendisti e di anziani aspiranti: divenire "operatori culturali" era, per costoro, toccare il vertice di una carriera di base, rientrare in un precariato forse più misero ma più nobile degli altri, giacché l'assenza di garanzie e prospettive circa il posto di lavoro era compensata (e magari giustificata) dall'aumento della libertà inventiva e dell'autonomia imprenditoriale che un'attività "culturale" richiede. Qualunque sia la sua specializzazione o collocazione, l'operatore culturale non fabbrica prodotti ma realizza progetti, ogni sua azione è piuttosto un intervento, ogni sua attività si concreta in iniziativa: tutti termini e modi che non si addicono a un impiego fisso ma piuttosto a una libera professione, foss'anche quella dell'umile artigiano delle relazioni e delle idee, che appunto l'operatore culturale è chiamato ad incarnare. Tutti termini e modi che peraltro premjano la sua soggettività, ma che ancora di più vanno a rafforzare il clima di generale e trionfante soggettivismo, dentro il quale l'operatore culturale si sente per davvero garantito. In questo sta in fondo lo stretto rapporto che lo lega ·alla cultura e alla società degli anni Ottanta, di cui l'operatore culturale non è certo il "tipico" rappresentante, ma sicuramente un fedele (tossico) dipendente. L'operatore culturale è piuttosto figlio degli anni Settanta e del le Regioni, ma anche del post-' 68 e dell'alternati vismo; oppure è figlio del creativismo e del '77, o ancora della 285 e della disoccupazione giovanile ... Troppi numeri e troppo poche idee, attorno alla progressiva emersione e proliferazione di una figura tanto imprecisa quanto decisa, tanto sbiadita quanto vistosa, che infine rappresenta una delle maggiori e più incisive novità del panorama sociale. Un'affermazione strana la sua, dovuta più alla dilatazione di uno spazio che all'individuazione di un ruolo; anzi, nella combinazione di assistenzialismo ed edonismo, di aumento del costo del pane e abbattimento dei prezzi dei circenses, di sinistra forte e pensiero debole, soltanto una figura soft e un mestiere free potevano farsi strada. (Tra parentesi, ancora oggi le cifre confermano come, ad esempio, i laureati del D.A.M.S. - forse i più indefiniti prodotti della nostra Università- trovino una maggiore e più rapida collocazione nel mercato del lavoro dei "normali" laureati in lettere e filosofia.) Ora, contrariamente a quanto si crede, l'operatore cu I turale non è affatto interessato a una identità forte ovvero a un'alta professionalità, ma privilegia invece i surrogati del l'immagine e della competenza, che sono i suoi distintivi ma anche i campi e gli obiettivi del suo "intervento". Nella confusione, ma ancora di più nell'abbondanza di "immagini" e "competenze" che l'industria culturale ha da tempo reso accessibili e obbligatorie per tutti, i tradizionali educatori e mediatori - dai preti agli insegnanti agli artisti ... - sono notoriamente insufficienti e inadeguati: occorre ormai far fronte a una massa sconfinata di utenti tutti da attivare, occorre tener conto di un tempo libero virtualmente illimitato tutto da riempire. Più che inventare nuovi ruoli istituzionali, conviene liberare "enzimi" che aiutino il metabolismo e favoriscano la circolazione delle infinite merci e mode della società dello spettacolo; ma, nello stesso tempo, occorrono "anticorpi" che aumentino le difese, provochino le reazioni e promuovano le aggregazioni in cui si manifesta l'autonomia culturale del corpo sociale. Si può dire che, se l'operatore culturale non fosse nato, si sarebbe dovuto inventarlo. E proprio così è andata. Sebbene sia apparso come un fenomeno casuale e spontaneo e malgrado ciascun operatore possa giurare di "essersi fatto da solo", la verità è che la sua venuta era preordinata e la sua confezione era prevista (e sperata) da tempo. Serviva qualcuno debolmente pagato e fortemente motivato a restare nell'indefinitezza e nella marginalità di un metaruolo, per così dire sovrapposto alla rete dei rapporti sociali, così come la Cultura è sovrastrutturale e perfino metafisica rispetto alla Società. Qualcuno di peso specifico leggero, che possa intervenire e però rimanere "esterno" (proprio come si addice a un operatore), che possa essere sempre presente ma che non è mai indispensabile (proprio come si suole adoperare l'aggettivo "culturale"). Se da una parte il mercato dei consumi culturali e spettacolari 13

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