,nente pacioso, era in realtà a capo di un vertiginoso giro di tangenti e truffe che spaziava in tutti i campi, perché questo è il genere di uomini che si è arricchito in questi anni in Italia, come noi abbiamo sempre denunciato. Mafia I Il giudice S., uomo alquanto chiacchierato, avrebbe detto a un giornalista che due persone, pare di una famiglia contigua ai corleonesi, avrebbero ammesso di aver partecipato a una riunione in cui altre persone dell'entourage di un potente esponente siciliano di un partito di maggioranza avrebbero detto di aver saputo che un'altissima personalità politica romana avrebbe ordinato a due agenti di un settore statale deviato di impedire che la conoscente di un alto grado dell'esercito diffondesse il nome di un pentito in grado di dare elementi su una riunione in cui si era deciso di compiere un'azione dimostrativa ai danni di un non meglio identificato giudice che pare avesse dato fastidio a un pezzo grosso locale. Mafia II Il giudice Salamella, colluso mafioso, mi ha personalmente detto che i fratelli Totò e Michele Sbafati, detti "i soricilli" gli hanno mostrato il video di una cena in cui Lima, Ciancimino, Fifi o' Recchione e Carmelo Pappalepre ricevettero la visita di Giulio Andreotti che in loro presenza telefonò al procuratore capo di Palermo avvertendolo che Ermes Cicalino e Gianni Poderetti, agenti del Sismi sezione padovana deviata di via Oberdan 28, avevano l'ordine di ammazzare Maria Bellabbro, amante del generale del Sismi Sfavilla, poiché il militare, durante un amplesso contronatura (vedile sei polaroid da noi pubblicate in copertina) le aveva rivelato il nome di Salvatore Bucalaneve, che con Ma/pica, Broccoletti e Mario Moretti, durante una cena al ristorante "Mo/etto" (vedi foto del brindisi finale) aveva deciso di far saltare in aria la casa di Falcone perché Toto Riina il giorno prima, in una centralissima pasticceria di Palermo, aveva urlato davanti a tutti: "Quello o lo ammazzate voi o lo ammazzo io, quanto è vero che sono latitante". OTTANTA, NOVANTA, DUEMILA GIOVANI ENO ALLAFINEDELSECOLO Marino Sinibaldi Nel 1994 compiono 30 anni i giovani nati nel 1964, l'anno di inizio del calo delle nascite in Italia. Vale a dire che da ora in poi i giovani in Italia saranno sempre di meno. Conta qualcosa questo brutale dato demografico? O la giovinezza è davvero diventata una condizione di vita indifferente a ogni determinazione anagrafica, dato che la fluidità lavorativa e sentimentale che dovrebbe connotare "l'età giovanile" è ormai prerogativa di massa, più o meno liberamente scelta e praticata? Molte delle difficoltà a parlare di problemi e culture giovanili dipendono da questa incertezza di fondo, dall'impressione di una mutazione fondamentale del ruolo e dello spazio della gioventù. Quasi che questo valore tipicamente moderno fosse destinato a declinare, esattamente come altri miti e passioni della modernità; o a dilatarsi illimitatamente, fino a perdere le sue caratteristiche e le sue virtù. Tanto che perfino l'estremismo, questa salutare malattia giovani le, sembra diventare una patologia generale, e anzi perlopiù senile, come ha notato Adriano Sofri, invertendo così in vizi (rancore, sospetto, irresponsabilità) le sue qualità (generosità, curiosità, coraggio). Sta di fatto che è difficile individuare luoghi e problemi tipicamente giovanili; e chiunque si affaccia a un concerto rock o persino in un centro sociale, si trova di fronte generazioni largamente mescolate, ben oltre quel limite simbolico dei twenteen agers. Segno della espansione della giovinezza o del la sua scomparsa, del suo trionfo o della fine? Converrà per ora accantonare questo interrogativo. E provare a ripartire dalla storia italiana recente, a rintracciare il ruolo che vi hanno avuto le culture e la presenza dei giovani. (Con una breve ma necessaria precisazione terminologica. Culture giovanili, culture alternative o di opposizione sono formule qui usate nella loro accezione più generica e comune, per indicare un'area di comportamenti e di espressioni la cui dimensione giovanile è 10 forse marginale e la cui connotazione alternativa è spesso immaginaria o illusoria. Ma in mancanza di termini più precisi e col semplice scopo di registrare alcuni percorsi, mi sembra che queste definizioni siano sufficientemente chiare). Gli anni Ottanta sono stati in Italia l'epoca del conformismo consumista, del consenso spettacolare, del narcisismo egocentrico, del trionfo del l'economia e della politica senza morale. Ma nei suoi interstizi sono germogliate culture diverse, di negazione dei valori prevalenti e di costruzione di situazioni alternative. Nello stesso periodo, tuttavia, si è consumata la dissoluzione della principale delle culture di opposizione, almeno dal punto di vista del peso e del radicamento storico: quella della sinistra di origine marxista. L'intreccio di questi tre fenomeni ha segnato quel decennio ma in fondo determina la vitalità e anche l'ambiguità degli orientamenti culturali di questi primi anni Novanta. Ripartire dal periodo alle nostre spalle è allora utile perché consente di intravedere la radice di situazioni e problemi attuali. In quegli anni, proprio perché il consenso consumista e la sconfitta politica sembravano chiudere ogni speranza di trasformazione reale (quasi al riparo di quella sconfitta) sono cresciute le esperienze che oggi segnano l'universo giovanile, o almeno la sua parte più interessante e attiva. E in particolare le due realtà - quella del volontariato e quella dei centri sociali - che sono ormai oggetto di un'attenzione perfino esasperata. Queste esperienze sono figlie degli anni Ottanta non solo cronologicamente ma anche perché segnate, per adesione e reazione, dai tratti culturali tipici del decennio. Alcuni sono evidenti e in parte già studiati: l'idea di partire da sé o dalle proprie prossimità, l'inclinazione a fare, ad agire e costruire anche in piccole dimensionj, prediligendo l'efficienza o almeno la concretezza, secondo una originale combinazione di egoismo e solida-
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