Linea d'ombra - anno XI - n. 88 - dicembre 1993

- di destra di centro di sinistra - ci ha invece in buona parte sorpreso; forse perché troppo vicini e troppo sdegnati. Esso ha effettivamente trasformato molte cose; ma per ora assai poche nel campo dei media, mentre in quello della cultura ha offerto la possibilità ai nostri grandi e piccoli intellettuali e artisti di "far finta" di nuovo, e di riesibirsi nel vecchio numero del trasformismo fidando nella scarsa memoria di lettori e spettatori (un popolo) altrettanto complici, e di maestri dell'informazione che hanno per scopo il logorio straveloce della notizia, un tutto che dev' esser tutto da dimenticare al più presto. Finora avevamo fatto nostro il motto aureo, non curandoci di loro; ma trovarseli oggi ancora lì, tutti quanti, belli in fila, moralizzatori degli altri, gridanti e sgridanti, nel gran pettegolume, nel gran pattume di una stampa che serve il Sistema, il Capitale, Se Stessa e di una televisione che fa troppo comodo ai troppi così com'è perché si possa sperare che venga modificata da qualche professore peraltro non proprio al di sopra delle parti; trovarseli davanti come se nulla fosse stato, riverniciata di presunto nuovo la vecchia carcassa, non è piacevole e dà l'idea che sempre si debba ricominciare daccapo nell'avversarli, come fossero una biblica condanna, una bunueliana ripetizione, un incubo immortale. E allora no, bisogna fare qualcosa, bisogna occuparsi di più anche di loro. Senza nulla abbandonare delle posizioni, dei contatti, delle aperture, delle libertà che ci siamo conquistati con la capacità di comprensione e scoperta sul piano internazionale, ci si preoccuperà anche di metterci a disposizione del meglio che si muove pure da noi. Da sotto o di lato o anche da dentro; da tutti gli ambiti sociali dove persone serie agiscono, persuase della indispensabile solidarietà, in nome di princìpi e valori éhe condividiamo, in azion·icui vogliamo partecipare e far partecipare; da tutti i campi dell'espressione artistica e culturale, dove forze nuove o i pochi "vecchi" degni rimasti realizzano opere di valore, significative, e soprattutto belle - nella convinzione di sempre che tra bello e giusto e tra bello e vero vi sia e debba esservi un rapporto inscindibile. Ancora una volta si tratterà di considerare innanzitutto le minoranze; e gli individui; e grazie alla rivista e alle sue scelte, proporre scambio indiretto (ma forse anche diretto) a chi lo cerca, suggerendo gruppo (area e non corporazione, mai corporazione, mai familismo amorale) a chi non l'ha. Gruppo aperto, posizioni aperte - entro una ben chiara tavola d'intenti. Si continuerà insomma a privilegiare quella parte, entro cui ci collochiamo, di "piccola borghesia intellettuale" fortemente morale e radicale, e tuttavia disponibile al dialogo con chi ben fa, alla curiosità per i diversi da noi che lottano per cose vicine a quelle per cui noi lottiamo - anche se a partire da esigenze, credi e dottrine diversi dai nostri. Dal mito del capitalismo organizzato alla realtà esplosiva e difficile del capitalismo disorganizzato; da unità fasulle a unità da verificare e conquistare, o ri-conquistare; e dal mito del partito che rappresenta, concentra, dirige, a una pluralità di posizioni che convergono in programmi per tanti e cui tanti possano in tanti modi concorrere; dal narcisismo di massa (esaltato e diffuso dal conformismo degli anni Ottanta) a un sano approccio individuale, a una ricerca di gruppo che non sacrifichi le istanze del singolo, ma nel gruppo e nelle sue attività e nei suoi scambi le potenzii; dalla supinità verso le mille pubblicità alla critica del pericolo pubblicitario, da qualsiasi parte provenga, anche da chi più si presenta come sinistra. Dopo il monopolio, la televisione ha visto una fase di caotico oligopolio e poi si è ridimensionata su un duopolio tanto rigido, ora, quanto osceno. Ma in generale tra mercato e stato ci si vuol 8 far scegliere in assoluto il mercato. E noi invece, anche sul piano della cultura, queste scelte non convincono. Che lo stato assistenziale vada ridiscusso è un fatto assodato, visto quel che ha prodotto, con il determinante concorso della sinistra (e quanti della sinistra si sono avvalsi della protezione della sinistra a fini privati è ancora cosa da studiare e denunciare, perché ritorna, ritorna). Ma non è affatto assodato che lo stato non debba occuparsi di chi meno ha, categorie, regioni, singoli; e non debba "proteggere le arti" e favorirne tanto l'espressione quanto il godimento. L'annoso problema è allora quello del funzionariato che ha gestito, gestisce, gestirà lo stato; è questo il punto dolente di tutto il nostro sistema istituzionale. Anche nel campo delle arti, della cultura. E qu~nto a corruzione, è bene non dimenticare quella dell' istituzione universitaria, "mafiosa" nella sua logica interna, semplicemente scandalosa agli occhi di chi ne sta fuori; e quanto a complicità è bene non dimenticare quella della categoria più diffusa e massiccia di intellettuali che il nostro paese conosca, gli insegnanti di ogni ordine di scuola. Anche di questo noi intendiamo occuparci, a costo di rovinare il sonno di molti, contenti anzi se riusciremo a rovinarlo. Infine, nel nostro cahier di buoni propositi, appare fondamentale quello di riaffrontare con passione selettiva il campo dello spettacolo, della musica. E di aprirci al contributo e alla scoperta di realtà regionali, locali, che il "grande sistema dei media" trascura, fissò sui nomi affenpati, chiuso in rigidi clan. (Un esempio? In uno dei prossimi numeri di "Linea d'ombra" proporremo un "dossier Sicilia" -di nuovi narratori, fotografi, teatranti e autori di video eccetera.) Se negli anni Ottanta, insomma, abbiamo potuto permetterci, almeno fino ali' 89, un certo rilassato star da parte paghi di un paziente lavoro di minoranza; oggi, come minoranza, dobbiamo assumerci responsabilità molto più grandi almeno nei settori in cui questa rivista opera, tuttavia agendo da minoranza, poiché ben sappiamo che la minoranza è un valore in sé; e in quelli a questa rivista affini o vicini, che vedono la partecipazione di molti di noi, o dei nostri collaboratori più cari (per esempio, rafforzando il legame con altre riviste che hanno basi comuni, in una opportuna divisione dei compiti). Siamo del tutto persuasi dei nostri doveri, ma sappiamo di dover assumerci compiti che siamo in grado di sostenere solo a una prima e fondamentale condizione: il sostegno e l'aiuto dei nostri lettori. Ai quali non riteniamo di dover altro che il massimo rispetto per le convinzioni che dichiariamo, per i nostri propositi. Chiudiamo il decimo anno di vita di "Linea d'ombra" con un numero riassuntivo, non celebrativo. Abbiamo chiesto a redattori e collaboratori interventi di sintesi, la loro lettura di un attraversamento collettivo, ma dal punto di vista di una competenza, di una scienza, di un'arte, di una passione. A questi articoli abbiamo voluto aggiungere alcune brevi testimonianze. Avremmo voluto proporne di più, ma l'idea del numero ci è venuta troppo tardi, e non tutti sono stati puntuali nel rispondere. Ci auguriamo che questo fascicolo così com'è, con i suoi vuoti e le sue mancanze, sia tuttavia rappresentativo e significativo, riaffermando una diversità d'approccio. Il decennio si è concluso per noi dolorosamente con la scomparsa di alcuni amici e collaboratori: Federico Fellini, Ludovica Koch e Antonio Neiwiller. Li ricorderemo nel numero di gennaio. Alla nostra rivista e a tutti i nostri lettori e amici e, con loro, al nostro travagliato paese e al nostro travagliato pianeta: buon 1994-2004!

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