con il disco che registrerò adesso, quando torno in Brasile alla fine dell'estate, e che devo finire per la fine dell'anno. Non so precisare bene come sarà perché per ora ho scritto solo una parte delle canzoni - una con Tom Jobim, che incideremo insieme. Anzi devo dire che sono un po' preoccupato, con tutte queste musiche da scrivere, in non molto tempo. Ma mi è già successo altre volte ... vedremo cosa ne verrà fuori. Poi spero di poter tornare di nuovo alla letteratura, e riuscire a tenermi questa possibilità di alternanza. Estorvo è più un incubo personale, privato o più una descrizione delle metropoli brasiliane di oggi? Io l'avevo pensato proprio come un incubo privato, ma molti ne hanno dato anche quest'altra lettura. Questo mi ha un po' sorpreso: non avevo intenzione di scrivere una metafora del mio paese o della mia città, però ammetto che effettivamente possa essere letto anche così, perché l'origine, la radice di questo libro potrebbe essere nel vuoto che si è stabilito nel mjo paese e un po' dappertutto. In Brasile questo vuoto, questa violenza e paura, è solamente più esasperato. Per esempio, la nostra élite che vive in modo protetto, separata, in condomini chiusi, assomiglia molto al modo in cui vi comportate voi quando un gruppo di brasiliani - dico brasiliani perché è capitato a noi ieri, arrivando qui-arriva in un aeroporto europeo: si blocca tutto, fanno mille controlli, c'è una specie di panico. Lo stesso succede da noi, ma fra brasiliani e brasiliani: brasiliani di prima classe, che sarebbero l'uno per cento, brasiliani di seconda classe e poi trentadue milioni di miserabili, che non contano proprio niente, non hanno diritt~. E c'è, negli ultimi tempi, un po' come da voi però geograficamente al contrario, un movimento nel Sud del Brasile - dove ci sono molti più brasiliani di prima classe-che vuole separarsi dal resto del paese. E dentro le città ci sono questi mondi cruusi, che vanno avanti separatamente, in una sorta di privatizzazione totale: questo piccolo gruppo sociale vive chiuso in complessi residenziali cintati e sorvegliati, si muove in macchine cruuse, protette, va al cinema nei centri commerciali chiusi. Chiusi anche se non c'è nessuna legge che proibisca alla gente di entrare, però là dentro non si vedrà mai un ragazz~ senza camicia o senza scarpe, come ce ne sono tanti per strada. E l'ossessione della sicurezza, questo continuo chiudere le porte ... Ai tempi del regime militare c'era la paura del comunismo, adesso c'è la paura della oente la , paura dei miserabili. Non è più la paura di un'idea, è la paura concreta, tout- court. Questa paura, che è risultato e insieme causa della violenza, è quella che grida in favore della pena di morte, e addirittura pratica la pena di morte. Così si arriva al fatto che c'è molta gente che è d'accordo quando si brucia vivo un ragazzino che ha rubato un pezzo di pane o che ha ammazzato qualcuno. È una privatizzazione anche della giustizia, come c'è già la privatizzazione della polizia, con poliziotti privati a sorvegliare residence e shopping center, o con poliziotti affittati per punire e uccidere i ragazzini che rubano e uccidono a loro volta. Effettivamente nel mio romanzo credo che tutto questo si senta molto, anche se non volevo fare una descrizione del Brasile di oggi. Penso fosse inevitabile. INCONTRI/BUARQUE La capacità di parlare delle cose "piccole" per trattare le "grandi" questioni, e viceversa, insieme forse alla grande pietà che c'è nel suo sguardo sugli uomini (come disse molti anni fa Vinicius de Moraes), è comunque sempre stata un po' la sua cifra ... Non lo so ... se guardo la scaletta del concerto che stiamo portando in giro adesso - dove ci sono canzoni recenti e vecchissime - in effetti questo tema dell'individuale e del collettivo che si confondono è piuttosto centrale. Che poi è anche il grande tema della pazzia, della confusione collettiva. Molte canzoni parlano proprio di questo: Pelas Tabelas per esempio o, anche se in modo diverso, il samba Vai Passar, dove parlo di un manicomio per raccontare in realtà il Brasile, il Brasile del carnevale con quella allegria che è un po' un'allegria da pazzi, perché non ci sarebbero poi molti motivi per stare lì a ballare e a cantare "che vita bella!". Anche in Pelas Tabelas, che se non sbaglio mescola confusioni personali con grandi rivolgimenti collettivi- le grandi manifestazioni per lafine della dittatura-, c'è sempre questo doppio livello di lettura. Che è poi quello che la censura cercava di colpire ... Sì, può darsi che sia un mio vizio quello di scrivere cose che si prestano a una doppia lettura. Devo dire, sulla censura, che molte volte le canzoni sono state censurate a ragione - naturalmente dal loro punto di vista - ma altrettante volte lo sono state del tutto per errore. E non erano solo gli agenti della censura, ma molto spesso anche gli spettatori, che vedevano delle cose "politiche" dove non ce n'erano, almeno in senso stretto. In quel periodo anche i concerti diventavano quasi degli avvenimenti politici. C'era questo bisogno, da tutte e due le parti: da parte della dittatura il bisogno di reprimere e da parte della gente, che veniva repressa, di vedere nelle canzoni quello che lei voleva dire. Comunque il doppio senso c'è sempre stato nel mio modo di lavorare. Ha a che fare anche con il lato ironico umoristico che per me è importante. È un doppio senso che non' vuole inga;nare nessuno: ne ho fatto uso quando ce n'era bisogno e continuo a usarlo anche adesso. I grandi musicisti brasiliani - da Jobim a Caetano - sono sempre arrivati in qualche modo al mercato nordamericano. È Chico che non va al mercato Usa o il mercato Usa che non viene a Chico? Per arrivare al mercato nordamericano bisogna occuparsene vera~ente, bisogna stare lì, fare i dischi lì o farseli produrre da loro. E un mercato interessante: lo sanno tutti, la bossa-nova è arrivata qui in Europa attraverso gli Stati Uniti. Però non mi hanno mai invitato, non ho mai inciso un disco lì, non ho mai cantato negli Stati Uniti. È anche colpa mia perché non mi sono mai impegnato. Ma da parte mia non c'è nessuna prevenzione, su questo non ho certo un atteggiamento anti-yankee per principio. È più che altro che non ho il tempo di fare tutto quello che devo fare in Brasile, figuriamoci se riesco a pensare agli Stati Uniti. Vengo già così raramente in Europa: l'ultima volta nell'88, e adesso cinque anni dopo ... 71
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