INCONTRI/SHAWN Il testo di La febbre è maledettamente disturbante. Dice che le piacevolezze della vita borghese sono rese possibili dalla tortura, dalla repressione dei poveri, dall'ingiustizia. a diventare un po' più come gli indiani. Da questo punto di vista l'arte sembrava venire a proposito. La scrittura sembrava essere uno strumento di trasformazione spirituale. Forse fare l' economista o il diplomatico non era necessariamente la cosa migliore. Scrivere poteva essere più utile. Dunque, nel periodo di Harvard, ero contrario ali' arte e alla letteratura, le consideravo indulgenze decadenti. In un certo senso, perciò, in questi ultimi anni ho fatto ritorno a una fase più aspra e austera. È a questo punto che hai scritto La febbre ... È strano per uno scrittore tentare di spiegare il retroterra della sua scrittura, perché in realtà chi ne sa davvero qualcosa? Ma diciamo pure che, secondo gli standard, io sono un tipico liberal, uno che crede che gli Stati Uniti siano un paese democratico, abitato da gente perbene e piena di buona volontà nei confronti del resto del mondo. Gente che si dà un gran da fare e che sbaglia continuamente non per cattiveria, ma per troppa generosità. Una sorta di gigante goffo, ma dalle ottime intenzioni. Il punto di vista liberal sulla guerra del Vietnam, per esempio? Una tragedia causata dalle buone intenzioni degli Usa: eccesso di zelo nel prevenire la dittatura comunista su un paese democratico. Senza chiedersi se quel paese fosse poi davvero tanto democratico e senza interrogarsi troppo sui metodi usati dal "benevolo" intervento nordamericano. L'anima liberal critica le politiche governative, ma rifiuta l'i'dea·che la natura americana non sia buona e ben intenzionata. Con Aunt Dan & Lemon avevo già cominciato a interrogarmi su me stesso e sulle mie convinzioni più profonde. Vederlo e rivederlo, arrivando addirittura a recitarvi una parte, è stato un modo molto elaborato di mandare a me stesso un messaggio importante. Di che messaggio si trattava? Che il punto di vista liberal, per quanto giusto, manca di forza e che la destra, anche se scorretta, finisce per vincere proprio per via di energia animale. I liberal non sono in grado di affrontare una realtà semplice e scomoda: per cambiare il mondo bisogna saper rinunciare ai propri privilegi, alle piacevolezze del proprio modo di vivere, rischiare di perdere quello che si ha. Febbre è dunque nato dallo svelamento di una contraddizione interna alla tua coscienza? Beh, diciamo che all'inizio questa contraddizione mi ha spinto a leggere molti testi che fino ad allora avevo evitato: testi di storia degli Stati Uniti e dell'America latina, le opere di Karl Marx. La cosa buffa è che, mentre io lentamente capivo la fenomenologia dell'ingiustizia, tutta la gente che avevo intorno sembrava andare nella direzione opposta. A quarant'anni suonati io, finalmente, mi rendevo conto che c'era qualcosa di sbagliato, proprio quando tutti gli altri avevano deciso che non importava, che si trattava di godersi i propri privilegi e di averne sempre di più. Insomma, mi trovavo nel bel mezzo dell'edonismo reaganiano - ristoranti di superlusso che sbocciavano sempre più numerosi e nelle strade una massa sempre più disperata di poveri e di senzatetto - e non ne potevo più di far finta di non accorgermi dell'evidenza, di non fare confronti tra paesi ricchi e poveri e tra classi sociali. Alla fine degli anni Ottanta mi metto dunque a fare qualcosa di totalmente controcorrente: passo lunghi periodi in Centroamerica, Messico, Nicaragua, Guatemala, cercando di capire cosa stia succedendo davvero dentro e fuori dal territorio nordamericano. È curioso, tu ti politicizzavi e intanto il mondo andava sprofondando in un'amnesia da benessere, sazietà, indifferenzq. Sapresti ricostruire le ragioni profonde del tuo percorso? La risposta la potrebbe forse dare uno psicologo. Non credo che per uno scrittore abbia senso speculare su cose di questo tipo. Ma voglio tentare comunque di rispondere. Ho scritto La febbre perché volevo esserne io stesso l'interprete. Ne avevo fatto un testo adatto a qualsiasi tipo di attore, uomo o donna, giovane o vecchio, bianco o nero, ma la mia intenzione era di portarlo in giro io. Non nei teatri, ma in case private, davanti a piccoli gruppi di persone, che poi potessero discuterne, fame argomento di riflessione politica o almeno morale. Lo ho fatto per un anno, davanti a gruppi di una decina di persone alla volta, amici della borghesia bianca newyorkese. È stato il mio modo di ammettere e di dichiarare che quelle erano le cose in cui ero arrivato a credere.Un esperimento di onestà e di coraggio, che non sarei riuscito a fare altrimenti. Il mio modo di rischiare. Volevo che i miei amici sapessero quali erano le mie conclusioni: che il nostro morbido modo di vivere poteva esistere solo grazie alla violenza. Che, pur non essendo direttamente coinvolti in nessuna pratica di sfruttamento o di oppressione, noi non ci potevamo ce1to considerare innocenti. Una conclusione piuttosto disturbante. Ma ben pochi sono stati capaci o hanno tentato di smentirmi. Lafebbre dice con crudezza che i privilegi non nascono dai meriti, ma dalla fortuna. E che è con la violenza che i poveri, chi di privilegi non ne ha, vengono tenuti alla larga dagli agi che noi abbiamo in abbondanza. Un'ovvietà che alla "brava gente" come me e i miei amici liberal risulta sorprendente solo perché non ci abbiamo mai voluto pensare sopra. Negli anni Ottanta, però, tu eri diventato ricco e famoso grazie soprattutto al cinema! Sì, in quegli anni la mia carriera di attore andava a gonfie vele, mi sono trovato anch'io tra quelli che ce l'avevano fatta. Il che non ha fatto che aumentare la mia consapevolezza degli aspetti economici dell'esistenza. Cosa che mio padre, per ritornare alle differenze di cui sopra, non era mai riuscito a cogliere veramente. Pur essendo violentemente ostile alla guerra del Vietnam, non aveva mai visto davvero il collegamento tra sistema economico e vite individuali. Il suo rapporto con il denaro non aveva nulla di realistico. Di lui mia madre diceva che non aveva mai saputo quanto pagassimo d'affitto e che se gli si fosse chiesto il costo di un'arancia, tre centesimi, un dollaro o dieci dollari, non avrebbe saputo dare una risposta. Non ne aveva la più vaga idea. Non era mai entrato in un negozio di alimentari. C'era sua moglie a pe_nsarci. Molto disorientante per un bambino ... Negli anni Cinquanta nessuno, nel nostro ambiente, parlava granché di soldi. Si dava per scontato che ne avessimo e che ne avremmo sempre avuti. Un'ottima cosa, visto che questo mi ha permesso di andare nelle migliori e più illuminate scuole d' America. Non è mai capitato che qualcuno, neanche per sbaglio, mi dicesse che un giorno mi sarei dovuto guadagnare da vivere. La 67
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