Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

INCONTRI/McMILLAN Il tuo nuovo romanzo, Un respiro di sollievo, ha avuto un colossale successo di pubblico: in meno di un anno ottocentomila copie vendute negli Stati Uniti, traduzioni unpo' in tutte le lingue, acquisto dei diritti cinematografici da parte della 20th Century Fox. Come te lo spieghi e come ti spieghi le non poche reazioni negative riservateti tanto da una certa critica quanto dalla stessa comunità afroamericana? Del successo non posso che essere felice: ho raccontato i casi di quattro donne, nere e americane, come ce ne sono tante. Donne comuni, che mi sono limitata a raccontare, a mettere in scena. Senza alcun intento dimostrativo. Il mio non voleva essere né un pamphlet politico né un trattato sociologico. Non avevo tesi da sostenere né messaggi da dare. Volevo soltanto dare voce a personaggi contemporanei "veri" o "possibili". Forse il pubblico ha bisogno proprio di questo, forse è stanco di essere diretto, catturato, illuso, spinto a identificarsi e a schierarsi nonostante se stesso. Le critiche a cui ti riferisci nascono paradossalmente proprio da questo stesso "gusto di verità": la gente della mia razza mi ha accusata di mettere in cattiva luce la nostra- comunità, di confermare gli stereotipi che i bianchi hanno in mente, di svelare troppo senza preoccuparmi delle conseguenze. Alcuni critici si sono accaniti contro di teper lafranchezza del tuo linguaggio, definito via via "crudo," "offensivo," "sessualmente troppo esplicito". Cosa ne pensi? Penso che il loro problema non sia di tipo linguistico. È vero, nel mio romanzo non ho né edulcorato né censurato, né metaforizzato né usato la tecnica dell'allusione. Le donne di Un respiro di sollievo parlano spesso di uomini, d'amore e di sesso e parlano chiaro. Ma quel che ha disturbato certa critica non è il linguaggio di cui si servono, bensì il sesso della sottoscritta. La letteratura americana contemporanea è piena di nefandezze, ma se a scriverle è un uomo nessuno si formalizza p,iùdi tanto. Quanto al timore espresso dalla mia gente, che la libertà di linguaggio dei miei personaggi possa indune i bianchi a pensare che noi neri siamo delle bestie, la mia risposta è triplice: intanto lo hanno sempre pensato e il mio libro non farebbe dunque che confermarglielo; secondo, la lingua che noi parliamo non è altro che il fottutissimo americano e non se lo sono certo portato dall'Africa i nostri antenati; terzo non me ne frega niente di quello che possono pensare i bianchi e non ho intenzione di fare i salti mortali per entrare nelle loro grazie. A differenza di molti altri scrittori e scrittrici afroamericani, tu hai scelto un registro leggero, volutamente anti-melodrammatico. Per via di humor, gusto della battuta paradossale e capacità di mandare a gambe all'aria tanto i vecchi quanto i nuovi cliché (politica! correctness inclusa), stai facendo in campo letterario quello che Spike Lee fa con la cinepresa: un'incursione senza reti protettive nell'universo afroamericano visto per quello che è, con le sue magagne e le sue contraddizioni. Neanche tu hai paura di dire che "black" non è necessariamente e sempre "beautiful", ma a nessuno verrebbe in mente di dubitare della tua buonafede. È vero, mi sento molto affine a Spike Lee. Come lui credo che non serva a nessuno costruire altarini e astrane dalla realtà, anche se non ci piace e anche se non fa gioco alla nostra presunta 56 "causa". E come lui preferisco la via della parodia, della commedia, a quella tradizionalmente "black" del dramma, della tragedia, del tormentone. Non è che voglia divertire a tutti i costi. Anzi. È che non voglio neppure dimenticare che, sì, la vita è seria, intensa, dolorosa, ma non ventiquattr'ore al giorno. La gente, anche quando è povera e piena di problemi fino al col lo, non per questo perde la capacità di ridere, di avere momenti buoni, di divertirsi. So che questo continua a scioccare un sacco di gente. Invece io sono convinta che la scrittura debba riuscire a dar conto proprio della convivenza di disperazione e allegria. Per il mio modo di scrivere ho trovato una specie di definizione: tragicommedia. Anche come lettrice non ho nessuna simpatia per i libri deprimenti. Ovviamente mi capita di avere dei momenti di tristezza, ma non voglio che sia un libro a provocarmeli. Le mie depressioni me le produco già abbastanza bene per conto mio. Ecco perché spesso non arrivo in fondo ai libri, perché sento che mi portano in luoghi dove non voglio andare. Che rapporto hai con gli altri scrittori neri americani? Senti di far parte della stessa tradizione? Toni Monison l'ammiro davvero molto, perché amo l'uso che fa del realismo magico. Certe volte, però, ci mette un'eternità a avviare le sue storie. Jazz non l'ho ancora letto. Lo possiedo, ma è come se non me la fossi ancora sentita di affrontarlo. Anche per Alice Walker ho molto rispetto, ma non posso certo dire che mi piaccia tutto quello che scrive. Probabilmente lei ha problemi analoghi nei miei confronti. Mi piace Gloria Naylor. .. qualche volta: anche lei a volte ha la mano davvero pesante. L'ha presa da Toni Morrison. Mi piace lsmael Reed, anche se ha il potere di farmi diventar matta. I suoi libri, una volta cominciati, non riesco più a metterli giù: non sono libri da leggere a dosi, quindici minuti alla volta. Ci sono poi un mucchio di giovani scrittori interessanti, da Randolph Cannon a Beebee More Campbell. Ottimi. La tua scrittura, più che a quella degli scrittori afroamericani,fa pensare in effetti a quella di una Grace Paley: stesso humor, stessa sensibilità per le storie comuni e gli episodi minuti. Un 'uguale capacità di riprodurre voci e umori, intrecciare dialoghi, restituire quanto di greve e di esilarante insieme c'è nel mestiere di vivere, soprattutto delle donne. Grace Paley io la adoro. Ho letto tutto quello che ha scritto. Il suo modo di raccontare degli ebrei di Brooklyn o del Bronx è lo stesso che io uso per raccontare le storie dei neri. Il problema è che scrive così raramente, così lentamente. Ma le sue storie ti possono veramente far morire dalle risate. Qual è il tuo retroterra letterario? C'è qualche autore che ti ha influenzata in modo particolare? Mettiamola così: ci sono stati alcuni scrittori e scrittrici che hanno avuto un forte impatto su di me, ma non potrei dire che mi abbiano influenzata in senso stretto. Ti faccio dei nomi: Garcfa Marquez è uno scrittore che adoro, Katherine Ann Porter, Ann Tyler, le scrittrici già menzionate, Eudora Wealty, in parte Flannery O'Connor. Ho una vera passione per Walker Percy e mi piacciono Reynolds Price e molti degli scrittori bianchi del Sud. Mi piace il sapore, il tono delle loro voci.

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