Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

CHIRURGIA MINORE Ana Mar{a Shua traduzione di Fabio Rodr{guez Amaya AnaMariaShua è nata a Buenos Aires nel 1951. È docente di lettere presso l'Università Nazionale di Buenos Aires e svolge attività come copywriter, giornalista e sceneggiatrice per il cinema. Del 1980 è il suo primo romanzo Soy impaciente, primo premio internazionale Losada; nel 1984 pubblica con Suramericana il romanzo Los amores de Laurita, entrambi ridotti per il cinema. La sua produzione annovera un libro di poesia, quattro libri di racconti, quattro di letteratura per bambini e due di humor. Di quest'anno è il romanzo El libro de Los recuerdos e le è stata assegnata la borsa Guggenheim. Così Ana Marfa Shua ha presentato il suo racconto nell'antologia di giovani scrittori argentini Buenos Aires, curatadaJuan Forn per Anagrama (Barcellona 1992): "Il racconto Cirugia menordiventò un capitolo del mio romanzo Los amores de Laurita (Gli amori di Lauretta), ma era apparso originariamente in una rivista letteraria nella veste qui pubblicata. Per restare nella tradizione, avevo bisogno che la inia Laurita, protagonista di svariati amori, subisse l'esperienza di un aborto clandestino. Iniziai a scriverlo credendo che sarebbe stato facile raccontare la mia esperienza personale al riguardo, cosa del tutto impossibile. Tra le altre ragioni perché, quando abortii, mio padre e il mio fidanzato stavano nella sala d'attesa mentre mia madre mi teneva per mano. Dopo vari tentativi falliti scelsi di servirmi dell'esperienza di un certo antico scrittore cinese (Lafiglia del drago) edi quella di AmbroiseBierce(Episodioalponte sull'Owl Creek), con un miglior risultato. Alla fine è il testo che bisogna curare, anche a costo di far soffrire il personaggio". È una casa come le altre dell'isolato, una bella casa degli anni Trenta. Ha due ingressi e due facciate con gronde in pietra, una su ciascuna, bisogna però alzare lo sguardo per scoprirle. Bisogna stare molto attenti a ogni particolare, le modanature, la lucentezza della porta di legno. Bisogna immaginare le vetrate interne della finestra che dà sul cortile, per non guardare le altre donne che si trovano sulla strada sotto la pioggia minuta. Sono tante, ci sono anche molti uomini, è difficile contarli con precisione mentre si volta accuratamente lo sguardo, è preferibile vedere le facce e non i ventri, è impossibile non guardare i ventri delle altre donne che ora entrano nella casa sollecitate da un'infermiera che si affaccia appena e le chiama con gesti energici, andiamo, andiamo che non si può rimanere lì per strada. Anche se Gerardo entra insieme a lei, da quel momento in poi Laurarimarràsola. All'interno ci sono altre donne e qualche uomo, e tutti si ammucchiano in un salottino centrale che ha tre sedie vecchie, di plastica grigia e struttura metallica e una biblioteca piena di polvere le cui decorazioni sembrano alludere sottilmente al mestiere peculiare e artigianale del proprietario. Una grottesca famiglia di elefanti in porcellana, un gruppo di bambole russe che possono essere messe l'una dentro l'altra, un bassorilievo del Sacro Cuore (quell'uomo dai capelli lunghj con il petto aperto e il cuore fuori, circondato da listelli fini che fingono di essere raggi) e, in un portaritratti, una foto di tre bimbette identiche, gemelle, sulla spiaggia, con cappellini di piqué allacciati e maglie raggrinzite, è evidente che odiano stare lì, di fronte al sole, strizzando gli occhi per proteggerli dal bagliore, stanno per mettersi a piangere da un momento ali' altro, è necessario che il fotografo affretti il clic, che tutto finisca velocemente. Una per una, rispettando il turno d'arrivo, le donne entrano nel consultorio con i loro accompagnatori ed escono subito, con un foglietto verde in mano per continuare ad aspettare. Laura e Gerardo entrano nel consultorio senza prendersi per mano. Il medico è un uomo grande e grasso, vestito con una divisa bianca, molto pulita. Parla al telefono chiedendo che li spediscano presto quei campioni. Sono le piastrelle che intende posare sul pavimento della sua casa di fine settimana, spiegherà dopo, scusandosi. E si tratterrà qualche minuto descrivendo quella casa che tanto si godono lui e la sua famiglia da settembre ad aprile e perché no, anche d'inverno, fa sempre bene uscire dalla città, respirare un po' d'aria pulita. Il dottore sembra il fiorente proprietario di una rosticceria, è possibile immaginarlo mentrecontrollal' attività dei suoi dipendenti, con le fette di prosciutto cotto che cadono una a una sulla carta cerata, quando apre il forno dove i polli girano lentamente per tingerli ancora una volta con sagge pennellate. Laura non può staccare lo sguardo dalle mani, quelle mani piccole e grasse che stanno per lavorare nel suo corpo, il medico si è ridotto all'immagine in primo piano delle sue mani che si muovono con efficacia, ricevendo i soldi, consegnando a Laura il numerino che strappa da un blocchetto verde. È il numero undici, ma non si preoccupi, la chiamerò prima, assicura il medico, simpatizzando. Ed è vero, appena mezz'ora d'attesa è trascorsa quando chiamano Laura col proprio nome; nonostante il foglietto di carta dica undici la chiamano al quinto posto, il medico ha mantenuto la promessa, sarà tra le prime. E, tuttavia, dopo aver bevuto il nero e profumato vino dal suo cratere, il favore che il Ciclope in nome dell'ospitalità concede a Ulisse è quello di mangiarlo per ultimo dopo tutti i suoi compagni. Laura però rifiuta il paragone, lei non ha in mente di ficcare un piolo appuntito nell'occhio del dottore, perdi più si sente parzialmente grata e inoltre il dottore non è uri. Ciclope, gli rimarrebbe comunque l'altro occhio. Entra, guidata dall'infermiera, in un'altra stanza, di sicuro una camera da letto nel piano originale della casa, staccata da un corridoio dal consultorio di fronte. Su un fianco c'è un paravento; lì la fanno spogliare e indossare una vestaglia blu, rammendata e pulita, molto inamidata. Ci sono due lettini gemelli. Su uno sta seduta una donna dai capelli lunghi e il volto inespressivo. È scalza e usa la sottoveste ma indossa già la gonna. Sul lettino a fianco un'altra donna, ancora semiaddormentata, si lamenta e si storce muovendo le gambe. Indossa un vestaglia che lascia intravedere, a causa dei movimenti, la parte alta delle cosce insanguinata (ma non molto), e l'impacco che, nell'aprire le gambe ha fatto scivolare e che l'infermiera rimette a posto, finendo di svegliarla con colpetti energici e affettuosi dati col rovescio della mano sulle guance. La donna apre gli occhi, chiude le gambe e tace. L'assistente del medico porta tra le braccia un'altra donna in vestaglia, semi addormentata.L'uomo è alto e forte, ma a mala pena sopporta il peso della donna, avrebbe bisogno d'aiuto se la donna fosse più grassa o più grande. L'appoggia dolcemente sul letto dov'è seduta quella dai capelli lunghi, in sottoveste, che si mette in piedi per farle posto e si siede su una sedia. Ora è il turno di una ragazza giovane quasi come Laura che 49

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