Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

STORIE/SIMPSON "Ascolta questo e imparerai un paio di cose" disse Vesta, guardando severamente Ruth al di sopra degli occhiali. "Oh no, per favo re," disse Ruth. "Non puoi essere così ignorante" disse Vesta. "Questo è il capitolo sull'Adolescenza." Si mise a leggere ad alta voce le opinioni di mezzo secolo prima su argomenti che variavano dalle mestruazioni al vantaggio di incanalare in un hobby l'energia in eccesso. "Potresti provare a fare la raccolta di francobolli" ridacchiò Vesta. "Non ho bisogno di un hobby" disse Ruth. "Ho la lettura. E da quanto vedo, adesso che ho quindici anni tutto è esattamente uguale a quando ne avevo sette. Vado ancora a scuola. Passo ancora qui tutte le vacanze." "Non essere stupida" disse Vesta. "Hai il tuo ciclo ora, no." "Taci, taci, taci" disse Ruth. "Il giovane adulto, o adolescente, è particolarmente soggetto a irrazionali oscillazioni emotive" lesse Vesta ad alta voce. "Sto per vomitare," disse Ruth, "se non stai zitta. E poi non sai pronunciare mestruazione o paragonabile". "Quando ti farai un ragazzo" disse Vesta. "Quando conoscerò dei ragazzi" disse Ruth. "Non è naturale" disse Vesta. "Forse dipende dal peso. Ma non credere di migliorare le cose mettendoti il rossetto. Quella robaccia che hai messo ieri ti faceva le labbra come due pezzi di fegato." "Taci, taci, taci" disse Ruth, la voce più alta stavolta. "Esercizi di respirazione calmanti per adolescenti" lesse Vesta. "Su, adesso. Ispira a fondo, riempi d'aria il diaframma." "Inspira, con la enne," piagnucolò Ruth. Quindici anni dopo Ruth diceva: "No. Lasciami in pace". "Perché?" disse Denzil ansimando. "È lei, non è vero?" "Oh, dormi," disse Ruth. È mezzanotte passata. Siamo stanchi tutti e due." "Non mi parlare in questo modo." "Quale modo." "Come se non contassi niente." "Non conti niente" disse Ruth. "Poi non si può. Mi sono venute." "A me non importa, se non importa a te" disse Denzil. "A me importa" disse Ruth. "Veramente non ci scommetterei" disse Denzil, schiacciando la faccia contro quella di Ruth finché i denti non si urtarono. "Sei un egoista" sibilò lei mentre lottavano sul letto. "Arrivi a casa alle cinque, secoli prima degli altri uomini, e stai lì seduto con i tuoi foglietti mentre io vado su e giù per le scale con la sua dannata acqua d'orzo e il budino di riso e litri di tè ..." "Non mi lascia entrare nella sua stanza" la interruppe Denzil. " ... Ed è molto comodo per te, ma devo fare tutto io e così la mia agenzia partirà in ritardo se mai partirà e non avremo mai abbastanza soldi per continuare a pagare il mutuo di questa casa orribile." "Non è una casa orribile. Lo dici solo perché lo dice lei." "Lo so" disse lei. "Lo so, lo so." Nel passato, Ruth e sua madre andavano a Mortlake un sabato sì e uno no durante il periodo scolastico. Vesta non vedeva l'ora di litigare dopo due settimane passate da sola. Per prima cosa, c'era il tè in cucina, il bollitore fumava come la bocca di un'arma da fuoco. "Hai saputo niente di quel bel tipo di tuo marito ultimamente?" diceva Vesta. Questo era il suo attacco preferito. "No, da un po', no," diceva Janet, in guardia. "Perché?" "Ah," grugniva Vesta con gli occhi allegri. "Che vuoi dire?" diceva Janet, l'umiliazione le trasformava i lineamenti. "Non litigate per papà" interveniva Ruth. "Siamo appena arrivate." "E tu puoi stare zitta" diceva Vesta con calma, mentre Janet tirava fuori le parole crociate tentando pateticamente di sembrare indifferente. La conversazione avanzava a fatica nel solito modo, vecchi rancori ritornavano vivi e impetuosi rinfrescando ricordi rabbiosi. Ben presto saliva alle stelle. Vesta si accalorava, rossa in faccia. Janet gridava rauca. Vesta faceva le sue belle risate sprezzanti. Janet, ansimante, era in ritirata e cercava di assumere la sua espressione da "Signora Miniver sotto pressione". Ruth era a metà del suo pacchetto di biscotti e scommetteva con se stessa di non piagnucolare prima di pranzo. "Perché fai quella faccia tu?" gridava sua madre, prendendosela con lei. "Vorrei che non bisticciaste" mormorava Ruth. Seguiva una pausa. "Dovresti parlare con quella ragazza" diceva Vesta. "Ti sarò grata se non interferisci" diceva Janet a Ruth. "Ma perché non potete essere gentili" gemeva Ruth. "Tua madre e io siamo molto legate" diceva Vesta dignitosamente. "Solo a volte ci prendiamo per il verso sbagliato." "Non badare a lei" diceva Janet. "È fatta così." "Rossa, anche. Che peccato che assomigli a suo padre" diceva Vesta, ricominciando la partita. Alla fine della seconda settimana sul sofà-letto, Vesta stava abbastanza bene per vestirsi e scendere a cena. Janet era passata dopo il lavoro e stava rannicchiata su uno sgabello della cucina, agitandosi nervosamente come un cavallo tormentato dalle mosche. Ruth, spietatamente muta, preparava la verdura. "Che giornata ho avuto" disse Janet vivacemente. "Prima la mamma di una bambina, e cercare di convincerla a tornare a scuola. Poi uno di dieci anni che la settimana scorsa ha mandato sua madre all'ospedale. E nel pomeriggio un caso tristissimo, un vecchio simpatico che non ce la fa più da solo. Una brutta caduta stavolta, è rimasto a terra solo in casa per due giorni. È anche incontinente. Abbiamo fatto quel che potevamo ma dovrà andare in un istituto." "Sta zitta, mamma," disse Ruth. Ferita, Janet tirò fuori le sigarette. "Oh sì, tua figlia è autoritaria mica male" disse Vesta con un sorriso rabbioso. "Fai spavento, Janet. Hai una faccia tirata e sfatta e non ti si vede più la bocca. Quel taglio di capelli non ti dona affatto. Quanto al colore, ti fa sembrare una vecchia prostituta." "Grazie mille" disse Janet, rivolgendo uno sguardo implorante a sua figlia. 47

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