MISS HAMILTON A LONDRA e altre poesie Fleur Adcock a cura di Mirella Billi Nata in Nuova Zelanda nel 1934, Fleur Adcock ha trascorso la sua infanzia, dal 1939al 1947, in Inghilterra, dove vive attualmente dal 1963. Pur essendo considerata una poetessa britannica, rimangono forti, nella sua poesia, i legami con la patria di origine, dove ha compiuto in parte i suoi studi e dove ha, in varie occasioni, insegnato. Tali legami riaffiorano non soltanto nella memoria dei luoghi, ma soprattutto nel senso diffuso della propria diversità, dell'isolamento da "espatriata", come lei stessa ammette di sentirsi. Lo sguardo disincantato, il distacco, colorato però di nostalgia, e originato da una mai completa identificazione culturale, per i due luoghi dai quali la sua vita è stata plasmata, costituiscono i tratti più personali della poesia della Adcock. Essi sono percepibili ovunque, anche se più evidenti nelle sue prime prove, e li ritroviamo nelle raccolte poetiche più recenti, come Meeting the Comet, del 1988, e Time Zones, del 1991. Le frequentissime immagini di paesaggio, fuse nella memoria, continuamente ricreate come nuova dimensione, come spazio interiore, ma segnate da sottili spaccature, o da suture percepibili, di The Eye of the Hurricane (1964) e di Tigers (1967), rimandano, al di là di quelle spaziali, culturali, a barriere e distanze tra le persone, e suggeriscono una solitudine inevitabile, che neppure l'amicizia o l'amore possono del tutto sanare. Poesie come Unexpected Visit (Visita inaspettata), Miss Hamilton, Country Station (Stazione di campagna), sono esemplari dell'intensità con la quale Adcock comunica la solitudine e l'isolamento, senza apparenti lacerazioni sul piano formale, ma con lucidità e una sorta di distacco, che proprio per il controllo, e anche l'ironia e addirittura Io humour che li percorrono, fanno particolarmente risaltare la tragicità di uno stato, di una situazione, di un personaggio, conferendogli anche una dimensione "narrativa". È tipica di Adcock una forma di reticenza, di pudore, di controllo estremo sul momento emotivo, ma proprio il carattere di "normalità" della sua poesia riesce a far risaltare la disperazione, lo sgomento, persino il terrore. Al momento del trasferimento definitivo a Londra, come rivela una poesia quale lmmigrant, la distanza tra gli esseri umani e il senso di una impossibile fusione tra loro investe soprattutto le poesie di soggetto "amoroso", suggerisce o rende esplicita una separazione irrimediabile tra uomo e donna, fino al riconoscimento di una irriconciliabilità e di una distanza, persino di un estraniamento, comunicato in Advice to a Discarded Lover (Consigli a un amante piantato) con un'apparente colloquialità, che è invece frutto di un controllo su una rabbia sottesa, e con un'organizzazione formale che ricorda l'elaborazione di un "conceit" in una poesia metafisica. Del resto, Adcock afferma che tra i suoi maestri vi sono stati Donne, Milton, Blake, e, inevitabilmente, Eliot, oltre (cosa abbastanza rara per un'autrice inglese) ai poeti latini (una traduzione di poesia latina medievale, The Virgin and the Nightingale, curata da Fleur Adcock, è uscita nel 1983). Le osservazioni di Adcock riguardo ai classici risultano illuminanti anche per comprendere molti aspetti della sua poesia: "La semantica, la morfologia, la sintassi ... mi affascinavano. Da questo, credo, è venuto il mio rispetto per ciò che è classico e basato sulle tradizioni; deve esserci una struttura; e devono esserci delle stratificazioni di significato, suoni ed echi e degli accenni ad altre cose, da trovare a una seconda o terza lettura". Le parole della poesia, scrive ancora la Adcock, sono "voci che parlano nella mente"; e precisa: "Io scrivo soprattutto per la pagina a stampa, non per la lettura ... Ma poiché il suono delle parole è centrale per la nostra esperienza delle cose, e per la conoscenza della poesia, leggo via via ad alta voce quello che scrivo, e cerco di eliminare tutto ciò che suona pesante e inaccettabile ali' ascolto". La poesia di Fleur Adcock si muove, 40 negli anni, verso una sempre maggiore libertà da schemi metrici, verso una apparente prosaicità e colloquialità. Lei stessa asserisce di non seguire un codice o una serie di regole prestabilite, ma delle tendenze, delle inclinazioni. "La poesia", afferma, "è una ricerca di modi per comunicare e deve essere condotta con duttilità, apertura, disponibilità all'ascolto". È per questo, come lei stessa riconosce, inoltre, che" ... il contenuto delle mie poesie deriva in gran parte da quella parte della mia vita di cui ho esperienza diretta ...", come i rapporti con luoghi e persone, che non si traducono in effusioni confessionali (Fleur Adcock dichiara esplicitamente la sua diffidenza verso la poesia "confessionale" nella introduzione ali' antologia da lei curata per Faber della poesia femminile del XX secolo), ma fanno scaturire immagini, rievocano fantasie e sogni, consentono di ricomporre, in un linguaggio nuovo, mitologie. Queste, in Adcock, sono spesso collegate a storie sentite narrare nell'infanzia, impregnate della visionarietà degli antenati irlandesi, recuperata particolarmente in The Scenic Route del 1974. La dimensione della favola o del favoloso si ritrova in una poesia quale The Man Who X-rayed an Orange (L'uomo che radiografò un'arancia), che, al solito, sotto l'apparente "semplicità" del dettato, si rivela, appunto in successive letture, densa di valori allegorici elaborati con una complessità che sfiora il virtuosismo. I luoghi servono spesso da tramite concreto con le storie e le visioni del passato e l'esperienza presente, nella quale si agita, costante, l'inquietudine e la disillusione per relazioni difficili e impossibili, e dunque la necessità di una introspezione positiva, che rende l'isolamento, e persino il ripiegamento su di sé, una fonte di energia e di arricchimento. Il titolo della raccolta The lnner Harbour, del 1979, è significativo di questa ricerca profonda dentro di sé, e appare come condizione essenziale per il recupero, talora dolente e percepibilmente commosso, del sentire sofferto e coraggioso delle donne. In un'altra raccolta, infatti, The lncident Book, la voce poetante è quella di donne diverse dalla scrittrice, che raccontano le loro storie "femminili", come quella di una ragazza vissuta durante la prima guerra mondiale, in On the Land, o di una donna condannata per l'omicidio del marito, in Drowning. Anche i momenti più toccanti, o più lirici, sono sempre controllati e temperati, in Adcock, da una estrema misura, da una grande capacità di distanziamento - fino all'osservazione distaccata, talora, si potrebbe dire, "imagistica" delle cose, forse sotto l'influenza di un altro modello da lei entusiasticamente ammirato, quello di Marianne Moore - e dominati dalla sua ironia, dal gioco, spesso anche dissacratorio, di ciò che Adcock chiama "wit" - "un'altra qualità che ammiro", come ha scritto - e che è la caratteristica dei poeti che ama, qualcosa che "prende la forma di vera e propria scrittura comica, o piuttosto un uso diverso e più specialistico dell'abilità linguistica e tonale". Questo spirito, questo "wit", "non dovrebbe, e infatti nei buoni poeti questo non avviene, essere in conflitto con la serietà e l'umanità, ma al contrario accrescerli". Tale caratteristica, "una sorta di scintilla", come ancora la definisce Adcock, rende alcune sue poesie dissacratorie, pungenti (si pensi a Thatcherland o Leaving the Tate) e si riscontra in alcuni componimenti che esprimono una visione fortemente venata di femminismo. Anche per quanto riguarda la sua posizione di donna che scrive poesia, l'atteggiamento di Fleur Adcock è, comunque, tipicamente equilibrato: se, da una parte, la sua è una voce coscientemente femminile e femminista, tuttavia è ben lontana dal pericolo, lucidamente evitato, di chiudersi in un ghetto, e di farsi sentire soltanto nel corso di Women's Studies o nei dibattiti sulla differenza sessuale. A buon diritto, essa fa parte di quel "sano gruppo di poeti" che, con le sue stesse parole, "sono in grado di essere apprezzati per i loro meriti".
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