INCONTRI/DJEBAR mostrato le porte chiuse con le donne che guardano nascoste dietro a una grata. Alla fine mi sono resa conto che la donna non aveva diritto alla propria immagine perché gli. uomini erano là, in realtà il mio femminismo era un femminismo acquisito sul campo, è anche per questo che il film non è piaciuto all'epoca. Ora, dopo tanto tempo, le donne dicono "ah, sei tu che hai trovato tutto questo!", ma all'epoca il film era stato molto, molto male accolto in Algeria, io ero completamente scoraggiata dall'accoglienza, è stato solo più tardi che una delegazione del Festival di Venezia ha voluto visionare il mio film e dopo averlo visto lo ha voluto. Quale è la condizione delle donne in Algeria? La guerra d'indipendenza ha contribuito a un processo di emancipazione femminile? In primo luogo diciamo che quando degli occidentali vanno nei paesi arabi, pensano che ci sia un rapporto, come dire, una situazione uniforme delle donne, quale che sia il paese arabo. In tutti i paesi arabi, al contrario, c'è sempre una grande differenza tra la campagna e la città, tra la cultura rurale e quella cittadina. In secondo luogo bisogna tener presente la specificità dell'Algeria. In Algeria la colonizzazione, che è durata 130, anni ha cercato di combattere innanzi tutto la lingua, e nello stesso tempo di depauperare molto il paese, e dunque durante la guerra c'è stata una mobilitazione di tutti gli strati sociali per arrivare all'indipendenza. La partecipazione delle donne ha avuto una certa risonanza e soprattutto con La battaglia di Algeri si è parlato molto di donne che erano delle eroine, alcune di loro comeDjamila Bouhired, o Djamila Boupacha, le conosco bene. E si è maggiormente parlato delle donne della città, perché quando queste venivano imprigionate era possibile attraverso i media poter, come dire, sensibilizzare l'opinione pubblica all'estero. Ma ovviamente tutte le donne, anche nelle campagne, hanno partecipato alla guerra a vari livelli. Allora, dopo trent'anni, ci si aspettava una soluzione, una evoluzione verso l'emancipazione della donna, da una parte e, dall'altra, un ridimensionamento del peso della tradizione nel paese. Quando ho girato il film, nel '76-'77, quindi a metà di questi trent'anni, c'era nelle città questo socialismo di stato ostentato che affermava l'eguaglianza uomo-donna. Il punto positivo nelle città è stato proprio l'alfabetizzazione di massa, e io che ero professoressa universitaria da molto tempo in Algeria posso dire che nelle università c'erano e ci sono tuttora tante donne quanti uomini tra gli studenti e che soprattutto fino a dieci anni fa erano spesso le figlie di contadini, ragazze partite da una tradizione molto vecchia, molto povera, a trovarsi ad Algeri, a Orano, a Costantina, per fare degli studi da ingegnere, da medico, perché in questi trent'anni, di cui ora si fa un processo globale, non si può nascondere il fatto che c'è stata una democratizzazione dell'insegnamento e la donna ne ha approfittato, ma ne ha approfittato molto più nelle città perché nelle città esiste nonostante tutto una piccola-media borghesia, aperta a una certa mescolanza nella scuola, da quella primaria alle classi superiori. Quale è la realtà femminile che lei ha filmato? Quando sono andata a girare il mio film nelle campagne, nelle montagne di cui era originaria mia madre, è stata veramente una 38 Algeria Fotodi Bruno Hadiih (G. Neri). grande scoperta per me vedere che le donne stavano meglio economkamente, ma che in realtà c'era stata una regressione. Tra le scrittrici io ero la sola ad aver denunciato molto presto questa situazione, dopo ho scritto Donne d'Algeri, e per questo motivo sono stata allora un po' l'oggetto di contestazione, in quanto la mia visione della realtà veniva considerata borghese, perché tutte le intellettuali, professoresse, studentesse, ritenevano che fosse attraverso il socialismo che andavano liberate le donne. Io mi sono accontentata di guardare, la protagonista del mio film effettivamente è un architetto che circola in macchina, ma dietro di lei ho guardato la realtà, ho guardato il rinchiudersi in casa delle donne. Ecco perché il film non poteva dimostrare ciò che il potere, o perfino la classe intellettuale, desiderava. Cosa è cambiato adesso rispetto ad allora? In questi ultimi dieci anni il problema è rimasto quello della regressione culturale del sistema e la vittima è soprattutto la donna sul piano dei suoi diritti, dato che si è cominciato a rinnegarli. E secondariamente quello della rivendicazione degli integralisti che combattono prima di tutto la mescolanza fra uomini e donne, ma questo sviluppo dell'integralismo non si può spiegare se non col fatto che la società produce modelli femminili contraddittori, violentemente contraddittori. Nella stessa famiglia, se una ragazza, anche la figlia di un contadino, è diventata medico, non accetta di tornare al suo paese e che sia il padre a decidere del suo matrimonio, è chiaro. Ma se suo fratello non è riuscito nei propri studi e si trova disoccupato, considererà comunque che spetta a lui, in quanto fratello, il compito di decidere per lei, anche se la sorella gli è superiore. Queste contraddizioni interne alla società sono frequenti tanto nelle città quanto nelle campagne. Ma le città sono state invase da contadini e questo spiega secondo me perché l'integralismo algerino è il più misogeno, anche più misogeno di quello tunisino, o di altri paesi, perché appunto in Algeria si trovano modelli di donna molto sviluppati e nello stesso tempo c'è un tale ritorno della tradizione, come se la gente avesse paura della rapidità troppo grande con cui certe donne si sono evolute. A questo si aggiungono le differenze che il regime non ha saputo superare tra i francofoni, i berberofoni, gli arabofoni.
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