Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

DONNA D'ALGERI Incontro con Assia Diebar a cura di Anna Albertano Assia Djebar, considerata oggi la più importante scrittrice maghrebina, è stata la prima donna regista del cinema algerino. Nata nel 1936 a Cherchell in Algeria, ha studiato ad Algeri, poi a Parigi e si è laureata in storia all'Università di Tunisi. Ha insegnato all'Università di Rabat in Marocco e dal 1962 ad Algeri, alla facoltà di Lettere. Dal 1980 vive principalmente a Parigi. Dopo un precoce esordio nell'attività di scrittrice- dai venti ai trent'anni pubblica quattro romanzi, La Soif ( 1956), Les lmpatientes (1958), Les Enfants du Nouveau Monde (1962) e Les Alouettes Naives (1967) - avverte l'esigenza di riappropriarsi della lingua materna, di uscire dall'isolamento espressivo nella lingua francese. Ed è nel cinema che riesce a recuperare il rapporto con la lingua della sua infanzia, attraverso l'oralità, il suono della lingua araba nella sua dimensione quotidiana, dialettale. Il suo primo film La Nouba des Femmes du Mont Chenoua, che nel 1979 riceve il Gran Premio della Critica Internazionale al Festival del Cinema di Venezia, è da una parte la ricerca delle proprie radici, dall'altra la valorizzazione del ruolo della donna nella guerra d'indipendenza, attraverso la memoria collettiva femminile. Il secondo film, La Zerda et les chants de l'oublie, un film storico-musicale, è un documentario sul Maghreb degli anni oscuri del colonialismo. Superato il senso di sradicamento linguistico, ha ripreso intanto a scrivere e nel 1979 pubblicaFemmes d'Algerdans leurappartement, opera tradotta successivamente in italiano (Donne d'Algeri nei loro appartamenti, Giunti 1988). Seguono L'Amour, la fantasia (1985) e Ombre sultane ( 1987), prime parti di un'opera storico-autobiografica. Il suo ultimo romanzo, Loin de Medine (1990), è stato appena pubblicato in Italia dalla Giunti. Come scrittrice e come cineasta, Assia Djebar ha costantemente interrogato la storia del proprio paese e quella della cultura islamica, muovendosi tra presente e passato, alla ricerca di una storia delle donne arabe. In un continuo confronto fra identità individuale e coscienza collettiva, ha prestato ascolto al "mormorio dell'Algeria profonda", riuscendo a scalfire il silenzio di voci escluse, di esistenze nascoste, restituendo alle donne la parola negata. Dopo un primo e intenso periodo di espressione letteraria, nella seconda metà degli anni Settanta lei si è rivolta al cinema. Come è avvenuto il passaggio dalla narrazione scritta a quella cinematografica? Credo che la motivazione per il primo film fosse data dal fatto che tra il primo e il secondo periodo della mia attività di scrittrice sono rimasta dieci anni senza scrivere, senza pubblicare. Durante quel periodo la mia attenzione era rivolta interamente al rapporto con la mia lingua materna, l'arabo.Nell'Algeria coloniale dove ero liceale, avevano occultato l'insegnamento dell'arabo, la mia è una formazione prima di tutto francese, poi ho appreso l'inglese, ho imparato il latino, il greco, per questo comprendo l'italiano scritto, ma non ho avuto una formazione scolastica dell'arabo da poterlo utilizzare al pari di scrittori arabi come Adonis, o Nagib Mahfuz, il mio è un arabo dialettale, non letterario. Dunque durante questi dieci anni di interruzione della mia vita letteraria era di ventata più che una ricerca, sentivo l'esigenza di recuperare questa lingua. Se si vuol scrivere della poesia o del teatro prima di tutto è importante sentirsi nella propria lingua. All'epoca ero sposata con un uomo che qui a Parigi faceva del teatro, della regia, io avevo fatto delle regie di teatro americano tradotto in francese e allo stesso tempo mi dicevo: forse rientrando in Algeria dovrei scrivere una pièce, trovare qualche soggetto. Ma poi è il cinema che mi ha interessata maggiormente, quando Foto di Giovanni Giovannetti. ho capito che con il dialetto io volevo restituire non soltanto la lingua delle donne, il rapporto con mia madre, con le donne della mia tribù, ma che volevo anche avere la loro voce, il loro suono, la loro musica. Ciò che mi ha appassionata, sia nel primo che nel secondo film, è stato un lavoro di cinema, ma a partire dal suono. Come si è svolto il lavoro del suo primo film, La Nouba des Fernrnes du Mont Chenoua? La lavorazione di questo film è stata molto lunga, è durata due anni. Lavoravo con un'equipe di 17 persone, piene di buona volontà, disposte ad aiutarmi, in effetti ero la prima donna regista in Algeria, ma era molto difficile condurle nella direzione giusta, perché ho mescolato il documentario e la finzione. Ciò che mi premeva, inoltre, era di scoprire quale fosse la condizione femminile nelle campagne in quel momento. Ho girato nel '76 e nel '77, dunque 16 anni dopo la fine della guerra, c'era un maggior benessere materiale, durante la colonizzazione le donne erano povere ma nel contempo meno indifese, crescendo di statuto sociale si sono chiuse in casa e di colpo, quando volevamo riprendere le immagini del documentario, i tabù tornavano. Allora mi sono domandata se si dovesse sollevare il tabù persuadendole a farsi riprendere. Ovviamente in La Nouba molto spesso ho 37

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