za che hai tenuto a Vitoria - dicevi che il prototipo del!' indigeno, qui diremmo lo stereotipo dell'indigeno, l'immagine più diffusa che si ha di voi, è qualcosa da distruggere, e questo è uno degli aspetti della vostra lotta. Questo mi è sembrato molto interessante, perché tu stessa hai detto che lo stereotipo dell'indigeno è qualcuno cui piace sempre festeggiare, ballare, suonare, e gli piace solo questo. Hai dovuto lottare molto contro questo stereotipo? È una lotta dura, insidiosa, ingrata. Col passare degli anni, una come me finisce coll'avere un'immagine rispettabile, ma fino ad alcuni anni fa, ricordo, appena sei anni, sette anni fa, la gente spesso mi vedeva ancora come una ragazzina, che da un giorno all'altro fa la sua comparsa in atti pubblici assieme a grandi personalità. E allora quando io apparivo in queste occasioni, innanzi tutto vestita in modo strano e poi con la faccia da ragazzina, dapatojacomesi dice nel mio Paese -patojaè la ragazzina, la bambina-, con la faccia da patoja che avevo, era come se si chiedessero: di chi mai sarà la servetta questa qui? Di quale anziana signora sarà mai al servizio? Davvero: lo sentivo così. In Europa, almeno, fra diplomatici e personalità suscitavo in alcuni una certa tenerezza, in altri un certo sbalordimento: qui non è poi così caro, non è giudicato negativamente vedere una giovane assieme a grandi personalità, anche molto più anziane; ma in America ho dovuto combattere duramente contro il disprezzo. Quel che voglio dirti con ciò è che anch'io ho sofferto per lo stereotipo dell'indigeno, non solo nei Paesi sviluppati, ma anche nell'America stessa. E hai urtato contro incomprensioni all'interno dello stesso mondo che rappresenti? È una sfida per coloro che hanno studiato gli indigeni e hanno fondato su questo la loro professione, la loro carriera, il loro denaro e la loro vita. Nel momento in cui gli indigeni cominciano a parlare da se stessi, questa carriera si trova in pericolo. Io so che c'è molta gente che non ci amerà mai, mai accetterà che gli indigeni parlino, perché nella misura in cui parlano arriva la lingua spagnola, e ormai non sono più indigeni, dicono. E questo è un po' quello che molti malevolmente hanno detto di me negli ultimi tempi. È incredibile il razzismo di molta gente: quando io sono comparsa sulla scena pubblica, vi furono antropologi o sociologi - ne conosco molti e non ho nulla contro la loro carriera - che dissero che ero manipolata dalla sinistra che mi aveva indottrinato, e che portavo con me un nastro registrato della sinistra, perché parlavo dell'unità tra indigeni e ladinos poveri. Quando parlavo dei temi dei diritti dell'uomo, della militarizzazione, quando parlavo dei desaparecidos, alcuni di questi dicevano: Rigoberta in realtà è indottrinata dalla sinistra. E questo perché si dava per scontato che il mio discorso avrebbe dovuto essere solo un canto del pas ato in chiave esclusiyamente indigenista. Questa fase secondo la quale l' indigena portava con sé nastri registrati di sinistra è finita, e ora quello di cui si discute è se per caso Rigo berta sia un simbolo della resistenza assoluta al sistema occidentale, perché lei non lascia la sua fascia, perché lei non usa il trucco, perché lei nonfaquest'altroancora. C'è qui un messaggio, secondo il quale gli indigeni non si troveranno mai bene con ciò che è occidentale. Questa posizione scissionista è poco intelligente e fa un dubbio favore ai popoli indigeni. Io, per INCONTRI/MENCH(J / ATXAGA esempio, utilizzo molto il fax, mi piace il fax. Dovremmo forse rivendicare il diritto di portare un messaggio a dorso di mulo? I Maya scoprirono lo zero, in fin dei conti, e noi abbiamo il diritto di progredire nelle scienze, di conoscere la complessità del mondo, di avere un punto di vista al di là del nostro proprio problema etnico. Ma alcuni altri dicono: Rigoberta non è già più un'indigena, nonostante usi la fascia, nonostante non usi il trucco e nonostante non so che cosa; Rigoberta non è più un'indigena perché parla molto bene lo spagnolo e perché capisce alcuni complessi problemi internazionali. La conversazione volge alla fine. Rigoberta Menchu deve prendere l'aereo che la porterà a Barcellona e Atxaga deve recarsi ad Asteasu per mettervi a punto un progetto culturale. Lei sogna in quiché, lui in euskera: tanto lontani per geografia e tanto vicini per la passione con la quale vogliono cambiare la vita. Resta loro il tempo per sorridersi e baciarsi. Guardano la fotografia di lei sulla copertina di El e/amor de la tierra. Rigoberta prova pena guardandola, perché vi vede la giovinezza di un tempo fissata per sempre sulla carta. "Povera faccia da innocente", sospira. Copyright Bernardo Atxaga 1992. Note 1) Il più numeroso (circa un milione di parlanti) della ventina di gruppi etnico-linguistici in cui si divide la popolazione indigena guatemalteca di discendenza maya. 2) Alla lettera: "che si toglie dalla testa", in lingua nahuatl, degli Aztechi. Sorta di camicia a maniche corte usata dalle donne maya. Foggia, ricami e colori differiscono da un gruppo etnico-linguistico all'altro, e all'interno dello stesso gruppo. 3) La parte non indigena della popolazione guatemalteca; la distinzione è però più di carattere culturale che razziale. · 4) Nome consacrato dalla tradizione per indicare il capo quiché morto in battaglia contro gli spagnoli di Pedro de Alvarado nel 1524, nei pressi dell'attuale Quezaltenango. Identificato da alcuni con l' Ahau-Galel (titolo onorifico) di Nihaib. Secondo la leggenda Alvarado uccise Tecun Uman, dal cui petto si levò in volo un quetzal che, da quel momento, perse la voce, che avrebbe recuperato solo con la riconquista della libertà da parte degli indigeni. 5) Legame di parentela cerimoniale; al femminile comadre. 6) Luis Cardoza y Arag6n (1904-1992), poeta, narratore, saggista e critico d'arte guatemalteco, esiliatosi in Messico dopo il rovesciamento del governo democratico di Arbenz (1954). Fondatore della "Revista de Guatemala", e fra i più apprezzati studiosi del muralismo messicano, il suo saggio Guatemala las lineas de tu mano (del quale è annunciata la traduzione italiana) ha rappresentato un punto di svolta per la cultura guatemalteca. Vedi il capitolo X di Dante Li ano, La palabra y el suefio. Literatura y sociedad en Guatemala, Bulzoni, Roma 1984. 7) Riferimento alle numerose fosse comuni contenenti i corpi degli indigeni uccisi dall'esercito o dai corpi paramilitari. È il caso di ricordare che il Guatemala è stato il Paese latinoamericano che ha "inventato", alla fine degli anni Cinquanta-inizi degli anni Sessanta, la tecnica della desapareci6n, dei desaparecidos, più tardi diffusasi inmolti altri Paesi del subcontinente. 8) Fra i fondatori del Comité de Unidad Campesina, la cui prima comparsa pubblica si ha l' l maggio 1978, v'era il padre di Rigoberta Menchu, Vicente, morto il 31 gennaio 1980 nell'incendio appiccato dall'esercito all'ambasciata di Spagna, che una delegazione del CUC aveva occupata. 29
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