Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

INCONTRI/MINCHI) / ATXAGA Ogni volta che sogno, sogno il sentiero che esce dal villaggio, sogno che sto mangiando sulla collina, o vado verso casa... Dimmi, ti va di parlare di questi argomenti? La domanda che mi hai fatto, se qualche giorno mi piacerebbe tornare a Chimel... A parte il fatto che questa terra l'amiamo tanto, che prima o poi si dovrà strapparla alle mani dei ladri, io mi chiedo, se in realtà, con quel che faccio - viaggi, interviste, correre di qua e di là, nuove esperienze, nuove conoscenze ... - non sarebbe molto utopistico pensare di tornare a essere del Chimel. Tuttavia il passato vive in te. Cioè, tu guardi avanti, ma il passato ha un peso molto forte. Per esempio, nella tua poesia Patria abnegada. In realtà io non sogno mai di essere in una città, neanche in Messico, dove vivo da undici anni. Sogno che d'improvviso mi trovo in campagna, camminando per sentieri simili o eguali a quelli di Chimel, e non sogno mai il Messico; ogni volta che sogno, sogno il sentiero che esce dal villaggio, vedo quasi tutti i particolari del sentiero fino alla casa, e a volte sogno che magari sto mangiando sulla collina, o vado verso casa, o passo vicino alla casa di un vicino mentre sono in viaggio verso Uspantan. Uspantan? È a nove ore di cammino da casa mia. Ecco, questo capita anche a noi, capita anche a me. lo sono di un piccolo villaggio, é sono vissuto a Barcellona, in grandi città, e la maggior parte delle volte che sogno s't!mpremi appaiono personaggi del mio villaggio, alcuni che non vedo da ormai trent'anni, altri che sono morti. E mi appaiono. Dev'essere che c'impressiona molto la prima parte della nostra vita. Volevo chiederti una cosa. Tu sei una persona che ha sofferto molto, per la morte, il dolore, la distruzione ... C'è molta gente che si chiede comefai ad essere così allegra. A volte quando si è sofferto troppo non si può più essere felici. .. Be', io penso che si possa essere felici. Direi proprio di sì. Questa sì che è una buona notizia ... La storia del Guatemala, le sue tragedie, la guerra, ci inculcano soprattutto la coscienza delle ingiustizie, vi si trova la spiegazione di quel che succede, le radici profonde: tutta la tragedia che ha vissuto la nostra gente, la gente che è morta, la repressione nelle fincas. Il dolore e la morte sono naturali per noi. A uno dei compadres5 dei miei genitori, che si chiamava don Marciai, morirono sette od otto figli; due figlie gli rimasero. In seguito morirono anche il papà e la mamma, chissà, forse per un'epidemia, forse perché contaminati dai pesticidi o per la stessa denutrizione. Vennero a vivere con noi la bambina più piccola e Rufina. La bambina morì di tristezza. Mi ricordo molto bene questa bambina. Come si può morire di tristezza? Laggiù anche i cani muoiono di tristezza. La bambina se ne stava nel patio e piangeva in una maniera così triste - questo lo ricordo molto bene -, proprio come fanno gli adulti quando vegliano un morto. E poi se ne morì, non mangiava più, morì. Ma Rufina restò, saranno ormai tre anni che mi dissero che era ancora viva: qualcuno l'aveva vista, ma non so niente di più. Tutte queste sono tragedie nella vita della gente; ma l'altra faccia della medaglia è l'allegria che la gente mette nelle cose che fa. Gli huipil, tutti gli huipil danno una tenerezza, un'impressione ... Don Luis Cardoza6, lo scrittore guatemalteco, diceva che gli huipil erano come lacrime di un popolo che piange, cioè come un modo per esprimere un'allegria della natura, della vita e di tutto un popolo ridotto al silenzio, che però parla attraverso le sue opere. Chissà? Dovrebbero proprio essere molto tristi e molto poveri, i nostri huipil, se davvero la gente vi riflettesse il suo dolore ...Ma non c'è solo il suo dolore; c'è anche una combinazione di sogni, di illusioni, è la vita che continua con molta energia. Ciò che sorprende nell'America latina, in tutto il vostro movimento, è appunto l'allegria, cosa che non si trova con frequenza in altre parti del mondo. Se tu un.giorno ... È un' esperienza chefarai molto presto, quando andrai in Svezia, e parlerai con la gente di lì. È molto probabile che il tal giornalista, che è un uomo tanto stimato, un uomo così serio, un uomo che sembra così realizzato, alla fine ti confesserà che la sua vita è una desolazione. Questa è una cosa che a me è capitata ogni volta che ho parlato con giornalisti scandinavi, della Svezia, della Danimarca, e l'ultima domanda che tifanno, quella che io chiamo la domanda scandinava, è la domanda apocalittica. Non c'è allegria nella vita e così via. Dunque, mi sembra che questo è un po' il bello dell'America latina: ci sono grandi problemi, e tuttavia si fa strada una reazione vitale. Cosa c'è alla base di questa allegria di vita? Il tempo. È che sempre, sin da piccolini, ci insegnano a intendere il tempo come tempo infinito, il tempo come lungo, che mai termina. Il transito per il mondo è un transito molto-breve, quello di ciascun individuo che arriva sulla terra, e per questo c'è sempre una festa quando c'è una nascita, per questo c'è sempre un vincolo fra la madre incinta e il figlio prima che nasca, e per questo c'è fra noi quel che si chiama il tocayo. Il tocayo è che, fin dai primi tempi della gravidanza, io vorrei che se è maschio fosse abbastanza simile al papà del mio sposo, e se è femmina che fosse abbastanza simile alla nonna, a mia madre. E allora la donna si impregna di questo sogno, di questa illusione: che sta portando un nipote, e questo nipote deve avere lo stesso nome del suo nonno o di sua nonna. Non è che si desideri che sia proprio eguale al nonno: però che abbia qualcosa di suo. E allora è incredibile l'influenza che ciò ha sui bambini: già quando nascono, sin da piccoli cominciano a fare gesti come il loro tocayo. È il bello della vita. Si fa questo perché il tempo è infinito e con una nuova creatura, il tocayo, è come se la nonna nascesse di nuovo: mentre va crescendo il tocayo, la nonna gli lascia a poco a poco lo spazio che gli spetta, finché muore, ma poi la nonna rinascerà quando il suo tocayo arriverà a essere di nuovo nonna attraverso altri ... Allora, poiché il transito, come lo chiamo io, il transito per il mondo è troppo breve, questo pezzetto di terra lo occupiamo noi, e, quando verranno, i figli, questo dicevo nella poesia, e i figli dei nostri figli e i figli dei nipoti dei figli. È una catena. Deve essere così. Io ho conosciuto mia nonna: tranquilla, 27

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