Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

LA PAROLA NASCOSTA, LA PAROLA RITROVATA Rigoberta Menchu e Bernardo Atxaga traduzione di Cristiano Dan Dopo l'assegnazione del Nobel per la pace nel 1992, Rigoberta Menchu è personaggio ormai troppo noto perché sia necessaria una sua presentazione. Tanto meno nel nostro Paese, dove Rigoberta è venuta più volte e dove, soprattutto, la sua autobiografia (Elisabeth Burgos, Mi chiamoRigobertaMenchit, Giunti, Firenze 1983; terza edizione riveduta e corretta nel 1991)ha conosciuto un'ampia diffusione (nove ristampe per circa I00.000 copie), decisamente eccezionale dati l'argomento e, anche, i "tempi". Fra le tante interviste rilasciate da Rigoberta, quella che qui è presentata si distingue non solo per l'interlocutore, lo scrittore basco Bernardo Atxaga, ma anche per il carattere: ha infatti l'andamento d'una conversazione a ruota libera, esentando così, almeno una volta, Rigoberta dal compito necessario, ma anche necessariamente in parte "rituale", di testimone e portavoce degli indigeni guatemaltechi. Alcune parti dell' intervista riprendono episodi e argomenti già presenti nell'autobiografia; in altre, invece, si possono trovare particolari inediti di notevole interesse. Quel che però più colpisce, nel confronto fra autobiografia e intervista, è la "crescita" di Rigoberta: non più solo testimone di una tragedia personale e collettiva, ma attrice e protagonista politica, e ciò pur senza che essa abbia perso nel frattempo la sua "povera faccia da innocente". Di lì a pochi mesi, questa "crescita" avrebbe trovato conferma nel ruolo da lei avuto nella resistenza al tentativo di "autogolpe" di Serrano Elfas: in quella occasione, per la prima volta nella storia del Guatemala, una donna, e una donna indigena per di più, s'è trovata a fungere da elemento di coagulo di tutto ciò che vi è di democratico (per una volta lasciamo perdere le distinzioni partitiche) nel Paese. Di questa "crescita" si sono accorti anche i baschi: Elkarri, un collettivo vicino a Herri Batasuna - il "braccio politico" dell' ETA, secondo la definizione comune nei quotidiani spagnoli -, ha annunciato per questo inverno un "Foro per il dialogo, l'accordo e la pace" in Euskadi, "sotto gli auspici" di Rigoberta Menchu. Se-sia lecito sognare per un istante-1 'tntervento di Rigoberta servisse effettivamente a far compiere almeno un passo nella soluzione dell'annoso, sanguinoso e visibilmente inutile "conflitto basco", saremmo di fronte a una conclusione decisamente sorprendente del lungo tormentone che ci ha accompagnato per tutto il 1992, con qualche coda nel 1993, sulla "scoperta" o "conquista" dell'America: la discendente dei vinti che aiuta a metter pace fra i discendenti dei vincitori. Altro che "vendetta di Montezuma" ... Visto che siamo in tema, e per confermare ulteriormente, se ve ne fosse bisogno, l'avvenuta "crescita", converrà sottolineare anche l'ultima parte dell'intervista, laddove Rigoberta rivendica senza peli sulla lingua il diritto suo, e di tutti coloro che di fatto rappresenta, a "usare il fax": ovvero a non dover far parte in eterno della "riserva indigena" nella quale molti "progressisti", sia pure con le migliori intenzioni di questo mondo, vorrebbero rinchiuderla per sempre. Con buona pace degli "indigenisti" di complemento. L'intervista che segue è tratta dal libro El clamor de la tierra, che traccia la storia del Comitato di unità contadina del Guatemala ed è stato pubblicato in Spagna, a Donostia (San Sebastian), da Tercera PrensaHirugarren Prentsa, che qui ringraziamo per l'autorizzazione alla riproduzione. (CristianoDan) "Vediamo, come si dice in quiché 1 mais, casa, padre, madre", è la prima domanda di Atxaga. "È molto facile: si dice ixim." "Con la ics?" "Ixim, e si scrive così." E Rigoberta gli prende la mano che impugna la matita, guidandola sul foglio sino a formare la parola ixim. Atxaga dice qualcosa sulla ics nell'euskera, la lingua basca, e poi Rigoberta pronuncia la parolaja. "La casa di dice ja", ripete, e subito dopo aggiunge "tat". "Vuol dire padre? Ripetila ancora per favore." "Tat." "Così?", vuol sapere Atxaga, mentre scrive la 24 parola sul foglio. Rigoberta annuisce, e prosegue: "Nan, con due enne. Nan è la madre", e controlla che lo scrittore riporti la parola correttamente. lo credo che per conoscere una persona come te non sia sbagliato cominciare a parlare della tua famiglia, della vita di tutti i giorni che facevi in casa quand'eri bambina. Non so: qualcosa che abbia a che vedere con la tua casa, con tua madre ... Com'era la tua famiglia? È molto difficile descriverla in poche parole. Anzitutto, perché sono nata in una famiglia molto complicata, anche dal punto di vista etnico. Mio nonno era di un villaggio che si chiama Santa Marfa Chiquimula, e quelli di questo villaggio sono, come dire?, i gitani, gli zingari del Guatemala. Questi indigeni sono conosciuti perché vanno da un mercato all'altro, arrivano da lontano, sono un po' come stranieri. I Chiquimula hanno un huipi/2 rosso e nero, a righe rosse e nere, e una fascia, come una corona, qui. Questo li distingue dagli altri. Bene, e tuo nonno era uno di questi, che andava da un posto all'altro, di mercato in mercato ... Era così tuo nonno? Sì. I tuoi nonni erano quiché, parlavano il quiché? Sì, però mia nonna era una quiché di Nemoa, era una Cotoja e i Cotoja erano quelli che raschiavano via anche l'ultima goccia d'acqua dal pozzo quando c'era la siccità. Lavoravano nell'acqua, nelfiume? No, Cotoja era solo il loro nome, era il nome che voleva dire questo. I genitori di mia nonna non avevano approvato il suo matrimonio con mio nonno. Per discriminazione, perché pur essendo i miei nonni entrambi quiché, lui veniva da questa famiglia di nomadi, lei invece da una famiglia importante. E così, quando si sposarono, i miei nonni diventarono nomadi. Mio nonno aveva molta sensibilità nei confronti della natura, verso molte cose, verso molte leggende, e anche mia mamma crebbe così. Anche tu sei cresciuta allo stesso modo, perché poi hai scritto delle poesie ... Mia mamma diceva che le erano capitate molte cose. Vi sono molte leggende nella vita di mia mamma. Mia mamma era un po' un mistero, e già a sedici anni era comadrona, levatrice. Senza che nessuno gliel'avesse insegnato ... Sì, diceva che era un'arte che ... Che era nata con lei. Molte donne sono comadronas e ... E allora mia madre fece la comadrona e la partera dai sedici sino ai cinquantatré anni, quando fu assassinata. La mamma vide nascere una quantità enorme di bambini, che la chiamavano nonnina. Mia mamma pregava, accendendo sempre la sua candela, e il fatto più curioso è che aveva un san Michele Arcangelo, ma aveva anche una, come si chiama?, una croce di terra, e sempre la tenne con sé.

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