Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

CONFRONTI Agosto, specie mia non ti conosco Maria Schiavo Quest'anno l'agosto è stato nefando. Nefando come l'epoca che ha arroventato. Anche se gli esperti di cose umane, animali e meteorologiche sostengono che ciò è sempre avvenuto, almeno da un migliaio di annj a questa parte, essendo per essi l'agosto il mese del la trasgressione termica, dello scatenamento del torridume a tutti i livelli. Esso sembra prediligere innanzitutto i genitali maschili, che non aspettano certo la licenza di caccia del Bossi per erigersi, dopo il letargo invernale. E benché Corrado Augias, con il consueto garbo da gentleman, ci abbia voluto informare, in una nota agostana, che il crimine non è esclusivamente patrimonio maschile, possiamo, senza tema di grandi smentite, rispondergli che quello sessuale sì, e che quell'arma, come manico volgarmente, a più riprese, evocata dal federai-popolare Bossi, tale viene considerata in imis dalla coscienza mediamente virile e, come tale, usata purtroppo non poche volte dai più sciagurati rappresentanti della specie, fino ad estreme, mortali conseguenze. Il raptus d'agosto è stato particolarmente intenso, quest'anno e, allentando, insieme alla cinghia dei pantaloni, l'inibizione a uccidere, ha fatto tante vittime, tanti corpi di donne accoltellati, torturati nelle parti più intime, bruciacchiati spesso, alla fine, come stracci. Ma su questa furia, che rimane quasi sempre senza nome, raramente prendendo volto e figura di colpevole, un'altra se ne abbatte, di natura e intensità spesso non meno orribili, quella della notizia, celere, celerissima, sicché sembra quasi voler precedere l'assassino nel delitto, tale è ormai la fa ria nuntiandi che la pervade e scuote. L'annunciatore, questo angelo nero dello schermo, ha ormai, è chiaro, stipulato un patto segreto col delinquente, un occhieggiare cupido che arderebbe di sapere insieme, mentre il demone sgozza, sul luogo stesso del crimine imminente, di condividere fino all'ultimo spasimo della vittima, fino all'urlo supremo del carnefice. Una voglia quasi confessata di uccidere pur di annunciare. Fra le tante donne uccise dall'agosto, una, quella che, nella morte per soffocazione, aveva conservato un'aria di smarrito stupore, involontariamente richiamò su di sé i più delicati commenti, proprio perché per molti giorni rimasta senza nome. Poi, una fila di erranti, gente che per un momento credette di ravvisare in lei la figlia, la sorella, la compagna; fino alla pista cecoslovacca che le ha sporcato il viso con un brutto nome. Questo patetico, ripetuto errore di identità, questo lungo rifiuto di ogni nome di posarsi, se non come farfalla, per un attimo, su quel volto attonito, ha eccitato qualche fantasia di salvazione. Poiché non se ne conosceva nulla, e aveva mani bianche, ben curate, il volto gentile, simile a quello della fanciulla lapita ghermita dal centauro, il poeta, prendendo le sembianze di Guido Ceronetti, ha voluto celebrarla come Ignota e augurarle di rimanere tale, cara così agli dèi, come i Greci volevano a essi caro chi muore giovane. E alla fine egli è stato esaudito, giacché la povera ombra, appena nominata, è subito ridiscesa di nuovo fra le compagne ombre, e nessuno si sogna di nominarla più. Lo stupore di quel volto, soffocato nella sabbia, la sua domanda, che accenna severamente al rimprovero, non ha avuto udienza in questo mondo. E l'altro è, forse, solo dominio dei veri angeli, che si distinguono dai nostri perché muti. Ma è poi veramente lei, quel suo povero volto, a volere quest'arcano silenzio sulla propria fine, come possono anche sognare, per disperazione, per disgusto del mondo, i poeti? Oppure, quello stupore, quel sorpreso tu quoque verso qualcuno da cui non ci si aspettava forse la morte, è stato sepolto, con le migliori intenzioni, certamente, nella sabbia, perché di esso ci pervenga solo lo scintillio di mjca, la superficie, quanto non può scalfirci e disturbare il nostro senso del bello? Il quale, come ci ha insegnato Kant, non sopporta le violente intemperie, gli orrori delle tempeste, pena la trasformazione in sublime. Ecco, a questo punto, virilmente consapevoli di ciò, sarebbe forse meglio dirsi una volta per tutte che, perdutasi ogni traccia oggettiva del bello, che solo sforzi disperatamente elegiaci riescono ancora a scovare, viviamo ormai in un'atmosfera di sublime: di sublime orrore. Del bello, dunque, è ormai disdicevole esternare la frequentazione in pubblico, pena il ridicolo o I' ipocrita biancore dei sepolcri. Solo mastodontici esseri preistorici, dinosauri e altro spropositato rettilame, dovrebbe degnamente rappresentare la vastità desolata di questo paesaggio di voraci divoramenti, che non contemplano nemmeno più i residui della digestione, affinché nulla possa sfuggire agli appetiti dell 'elefantiasi. Ma invece no, non è per nulla così, il bello, anche scomparso, eccita ancora ambizioni immense, combattimenti primordiali di maschi, come potrebbe solo il vello d'oro. Infatti, mentre gli angeli neri dagli schermi seviziavano nel modo anzidetto i malcapitati rimasti in città, un altro cadavere ci fu mostrato: sotto il sole di agosto si barò, lo si imbellettò frettolosamente per dargli una parvenza di vita. Si poterono così accendere le più farneticanti diatribe intorno al feretro. Primo a scendere in lizza fu Angelo Guglielmi che, nel paesaggio insanguinato dalle angurie, sentendo la situazione torrida e debosciata, venutasi a creare, come una spiaggia adatta alla sua esternazione, non pose limiti ad essa. Rovistando nelle spoglie del Romanzo scoprì per la prima volta che il caro estinto non era mai stato avvistato in Italia. Forse Gadda. Forse Moravia. Pasolinj, poi, non romanziere, non poeta, ma certamente interessante precursore degli epici palinsesti di Raitre. A onor del vero, l'aveva preceduto qualche tempo prima nella scoperta, l'autore di Oceano Mare, Alessandro Baricco che, dei propri predecessori, anche immediati, nel tentativo di resuscitare l'Estinto, aveva detto che non li capiva, non li leggeva, dunque, non c'erano. Tra morti, aborti e non nati, si gridava e ci si scalmanava, sopravvenuti altri loquaci angeli a dir la loro, in un clima davvero poco oracolare, che stupì chi, indenne dal sole, poté assistere, fuori dal rettilario, a quell'incredibile delirium loquens. Sul nobile cadavere del Romanzo, quello che per tanti secoli ha dato vita (también se muere el mari) al racconto di vicende così care al nostro cuore di fedeli, così parte di noi, come un parente di sangue, dei nostri pensieri e sentimenti, esso che li ha visti nascere, crescere, che li ha aiutati a farsi grandi, su quel nobile cadavere, intanto, deponeva nel luglio-agosto, con la dignità di sempre, nonostante la calura, l'ultima ponderosa fatica, il suo Cardillo addolorato, Anna Maria Ortese. E la vedevamo, con gli occhiali scuri, il turbante, molto pensosa sostare davanti a quella 21

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