già di solo altra guerra. A questa dimensione di lettura questo libro non può non apparire scarsamente specifico per quanto riguarda partecipazione vissuta e capacità di entrare nel merito di quello che realmente succede e, semmai, oltremodo dettagliato per quanto riguarda la preoccupazione ossessiva dei due autori per la propria avventura psicologica, per i numerosi tratti fobici che si portano dietro. Da un'altra ottica, tuttavia, si può anche capire che Auden e Isherwood hanno i I presenti mento che, rispetto alla guerra spagnola, questa guerra è differente- che nella sua scala, nella sua confusione, con la sua stragrande distruzione di città e popolazioni, essa rappresenta la grande guerra avvenire: una guerra, insomma, che i due autori raggiungono con un viaggio lungo quanto metà del globo non in funzione di corrispondenti, tanto meno di partecipanti, ma piuttosto per coinvolgersi in un gigantesco test di Rorschach, per analizzarsi clinicamente e criticamente alla luce della ineguagliabile libera associazione di passato, presente e futuro che essi possono leggere in questo viaggio; come la Spagna è la fine dell'Europa, la Cina rappresenta invece il futuro prossimo del l'Europa stessa in modi in cui la "libertà" da qualsiasi conosciuto schieramento ideologico non può che provocare un ulteriore, estremo smarrimento dei sensi affine a quello che lsherwood descrive vividamente nella sua lettura di un paesaggio soffocante alla Lewis Carroll in una cinesità da Alice (p. 32). La parte più chiara a questo riguardo è certamente quella a firma di Isherwood, il diario di viaggio vero e proprio. La prosa di Isherwood: acuta e tecnicamente superba nel suo secco scattare di ingegnosi corti circuiti - la sua umoristica esasperazione porta lo sguardo affascinato di un paziente che guarda il chirurgo operarlo in anestesia locale o di chi, durante un esaurimento nervoso permanente, giochi al soprannome con i propri sintomi nevrotici. La sua domanda mai malcelata è sempre: come liberarsi dall'autocommiserazione che tormenta un letterato inglese borghese in questa congiuntura, in questo posto, la Cina del 1938? L'ironia che sgorga da questi umori carica di toni aguzzi le molte prese dirette su quello che accade ai due: Auden che parla affabilmente con Madame Chiang Kaishek, l'incontro con Agnes Smedley, quelli fuggevoli con Robert Capa sul posto per fotografare la guerra, Auden che deve rischiare le ire di un vecchio contadino che si ribella all'ideadi venire intrappolato nella sua macchina fotografica, i due che in preda alla sbronza si azzardano a criticare l'abit,udine nazionale di sputare, gli uccisi in un bombardamento giapponese, una sorta di tavola rotonda con letterati locali e un famoso generale-poeta osannato daJla Smedley, un cane che rosicchia un braccio umano, e così via in una accuratezza fotografica che poi si rivela reticolo di immagini e metafore che danno forma e linguaggio ai sentimenti. I due autori, infatti, per merito soprattutto della penna di Isherwood, si leggono ovunque e la loro scrittura trova la sua forma CONFRONTI più appropriata nei continui stimoli del proprio e generale depaysement. E qui arriviamo a toccare Ja sostanza inedita di questa scrittura la cui chiave è la caccia inesausta agli indizi del male, più che ai fatti della guerra in atto. Come, infatti, in uno scenario un po' scadente alla Sax Rohmer, in cui l'orientale è per definizione illeggibile e maleficamente obliquo sommamente in quello che Isherwood definisce come lo straordinario sforzo mandibolare che un nuovo arrivato deve compiere per corrispondere all'eterno "subdolo" sorriso dei cinesi, i due inglesi si muovono motivati a scoprire come il male che la guerra induce possa allegramente convivere con rappresentazioni che essi così frequentemente riscontrano nella quotidianità di una cultura ancora nazionale, in cui la funzione della letteratura include quello che potremmo definire allegorizzazione nazionale, come la cinese, che fornisce rappresentazioni narrative individuali tramite le quali il destino nazionale, può essere fantasticato. Le molte domande che i due autori rivolgono sui più minuti episodi - un incidente ferroviario, la scomparsa di teste di banditi giustiziati, la presenza di spie nei paraggi, il sospetto stesso che essi si sentono addosso nell'atto di venire scrutati dagli altri - suggeriscono una struttura narrativa precisa in cui la permuta della detective story (amore professato di molti intellettuali della sinistra inglese degli anni Trenta, da Auden a Caudwell, da Day Lewis a Upward) nel processo (nella doppia accettazione del termine) offre un formidabile veicolo attraverso il quale questo o quel difetto in un carattere nazionale può venire problematizzato ed evidenziato, se non stigmatizzato e denunciato. Così l'incontro fra i due scrittori inglesi e la nazione cinese in guerra assume anche, insperatamente, l'aspetto di un contraddittorio in cui la figura dell'analista-detective diventa sociale, non per la moltiplicazione e rifrazione della sua funzione in una schiera di personaggi o Auden sul fronte cinese nel 1938. individui separati, ma piuttosto per la socializzazione del lo status di questo personaggio, che può essere più frequentemente identificato come occupante lo spazio e la posizione dell' intellettuale come tale (il libro abbonda di brevi apparizioni di potenziali outcasts conradiani in tale vece): quella coscienza infelice eternamente sospesa fra le classi eppure incapace di liberarsi dalle realtà e funzioni di classe, dalla colpa di classe; quel "traditore oggettivo", come lo definisce Sartre, che, liberandosi da qualsiasi classe o origine (per non parlare di razza, genere o etnicità), non sarà mai pienamente accolto nel gruppo ideologicamente adottato; il cui impegno intellettuale disinteressato rischia sempre in ultimo di essere smascherato come questa o quella soggezione pratica a forze sociali di natura scarsamente altruistica. Isherwood registrerà un brano di conversazione che di lì a poco - nel 1939, a bordo della nave che li porterà ambedue in America per sempre - ebbe con Auden a questo riguardo: "I.: Ma lo sai che non significa più nulla per me-il Fronte Popolare, la linea del partito, la lotta antifascista. Penso che sia tutto giusto, solo che in me c'è qualcosa che non va: non ne posso più. A.: Anch'io". Nel libro la guerra è impersonale come un'infezione - un male che tutto il mondo contrarrà e di cui soffrirà orribilmente prima che l'epidemia venga sconfitta. Lo dice chiaramente uno dei sonetti audeniani (p. 262): "Ma le idee possono essere vere nonostante gli uomini muoiano, / e possiamo osservare mille volti / attivati da un'unica menzogna;// e le carte possono davvero dirci i luoghi / dove la vita è male ora: I Nanchino, Dachau". Questo è il presente in cui soffriamo, e in termini di sofferenza Nanchino e Dachau sono uguali. E questo è i I punto di vista tenacemente mantenuto in tutto il libro, in cui - come in una moderna versione di un romanzo jamesiano - tutto viene detto attraverso le prime impressioni di due personaggi (giovani, inglesi, intelligenti, ignoranti di alcunché di cinese) che delegano molto del loro incontro con una cultura "altra" all'occhio fotografico e alla sua fatale assenza di discriminazione morale: la sofferenza più estrema fa i I paio con la trivialità più risibile, la tragedia pubblica con il mal di pancia dei protagonisti. Niente, sembra dire il libro, di più alieno all'ordinedell'arte-che, come proprio Auden affermerà più volte, è "gratuita". Se l'effetto di realismo è tradizionale e demodé allora certamente un libro come questo segna una regressione formale rispetto agli intrighi collettivi e cospirativi della collaborazione teatrale dei suoi 17
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