Linea d'ombra - anno XI - n. 87 - novembre 1993

I CONFRONTI I mento di classi e generazioni in rapporto alla cultura (e alla musica in particolare) e che, quindi, tutto ciò che ancora accade, quanto c'è ancora di dinamico in questi mutamenti (e nei loro risultati pratici: dalla composizione all'ascolto, dalla presentazione-spettacolo alla critica ecc.) questo continuo ribollire che, altalenantemente, ora esplode, ora sembra addormentarsi, deve avere spiegazioni diverse e, che è la cosa che ci interessa di più, sbocchi a prospettive diverse. La pigrizia (conservatrice) della critica di fronte al nuovo Se queste considerazioni generali sono, in linea di massima, esatte, leggere un libro sulla musica (o anche un articolo di giornale) oggi fa apparire il mondo musicale attraversato da una profonda schizofrenia. Mentre questi mutamenti, di classe, generazionali, persino geografici, sconvolgevano il mondo musicale (in Italia, soprattutto, tradizionalmente conservatore e abitudinario), i critici e i teorici della musica, con ogni probabilità, a leggere quello che ancora scrivono oggi, devono essere stati, per vent'anni e passa consecutivi, accanto al loro giradischi e con la cuffia sulle orecchie e il buio pesto intorno. Non miopi o sordastri, ma ciechi come Bach e sordi come Beethoven. Persino su un avvenimento così straordinario (nel senso di fuori dall'ordinario, beninteso) come è stato il fenomeno-Mozart nel biennio appena passato, non sono riusciti (magari tacendo: che sarebbe stata la scelta più seria!. ..) ad evadere dai loro schemi settoriali, anzi: settari, dalla loro visione astratta della musica, dalla loro miopia nei confronti dei fenomeni sociali rispetto alla musica e la loro sordità di specialisti di qualcosa che già sanno, che non li stupisce più e di cui sono capaci solo di dire, secondo un'estetica ginnasiale, "è bello" oppure "è brutto". Ma, come mi sembra si debba concludere seguendo le riflessioni che ho cercato di esporre, proprio le divisioni settoriali, proprio le specializzazioni sono destinate a non aver più senso. Per fare un esempio facile, un po' banale ma, credo, significativo per il discorso fin qui fatto, riproporre oggi una mini- (e sotto-) collana di guide ali' ascolto (com'è quella Feltrinelli, appunto con i due testi di Manzoni e Gentilucci) non avrebbe senso (e sarebbe, comunque, fortemente dimidiata) senza una "guida all'ascolto del rock" e una "del jazz" (e, perché no?, una della canzone d'autore e una della canzone leggera: un'operazione che in parte facemmo, anche se non riuscimmo a portarla fino in fondo, con La Savelli nella collana "la chitarra Poeti sotto tiro. - il pianoforte- e il potere" ... quel!' aggiunta del "pianoforte" nel titolo della collana la volli io, e fu approvata da "Simone Dessì"(?), proprio per rimarcare la necessità di superare i vecchi schemi e le vecchie divisioni fra musica "alta", il pianoforte, e musica "bassa", la chitarra: segno che questo mutamento nell'ascolto della musica era già una realtà, anche se ancora embrionale, già alla fine degli anni Settanta ...). Ma questo, delle guide all'ascolto, è solo, come ho detto, un esempio facile e banale. Penso, invece, che il fatto di dover fare i conti con le "musiche" e non più con una o due musiche, imponga, già in partenza, un modo di scrivere, di far critica, diverso. Fino a qualche decennio fa erano bagaglio del critico di musica "alta" la musicologia, la storia della musica, la teoria musicale e la tecnica degli strumenti e dell'orchestra, l'interpretazione, la fisiologia e la fisica acustica, la storia delle arti; mentre, per il critico di musica "bassa" (non il "selvaggio" che pure ha imperversato e continua, purtroppo, a scrivere!) erano indispensabili la sociologia, l'etnomusicologia, la tecnica degli strumenti e delle apparecchiature elettroniche, la conoscenza dei meccanismi dell'industria culturale e dei mass-media in genere, e, infine, almeno in Italia, la politica e la politica culturale. Oggi tutto questo non credo sia più vero: ogni brano musicale, per portare il discorso alle estreme conseguenze logiche, va preso a sé, ed analizzato attraverso tutti gli strumenti che un tempo servivano ora per l'una o ora per l'altra musica. Mi torna in mente un articolo che fece scalpore (ed è rimasto, almeno per la mia generazione di critici, un episodio tanto importante quanto poco imitato) quando uscì nella metà degli anni Sessanta: era un articolo di Berio sui Beati es. Per l'epoca davvero una clamorosa novità, oggi dovrebbe essere la prassi. In pratica, e concludo, credo che, paradossalmente, proprio perché non è più possibile parlare di generi musicali, sia richiesto a un critico di poter e saper utilizzare tutti gli strumenti di analisi possibili, proprio perché (e qui sta il paradosso) si deve parlare di "musiche" e non più di "musica", ogni critico deve essere in grado di affrontarle tutte, non unificandole forzatamente ma scoprendo nel lavoro critico le differenze, valorizzandole, queste differenze, e rendendone il lettore consapevole e capace di scoprirle a sua volta e di farne la sua personale guida all'ascolto. È un progetto ambizioso, lo so, ma credo che, anche editorialmente, questo sia il filo rosso da seguire per non perdersi non solo nella banalità ma anche nell'inutilità. ·Audene lsherwood nella Cinadel '38 chiedersi, prima, dopo cosa viene nella vita, nella carriera letteraria e nella funzione totale dei due scrittori inglesi. Il libro trova Auden e Isherwood reduci da un'intensa collaborazione, influenzata dal modello brechtiano, a una serie di eccentriche tragedie o pantomime tragiche o farse didattiche, le cui più recenti sono Lascalata del F6 (1936) e Sulla frontiera (1938), quest'ultima concernente l'esplosione di una guerra fra due paesi, Westland e Ostnia, che rappresentano rispettivamente lo stato totalitario e quello monarchico-democratico. Si tratta, in ambedue i drammi, di un problema cruciale che in ultima analisi ha di fronte la generazione fra le due guerre, che deve poi trovare un linguaggio adatto ad esprimerlo: quel lo di un tempo che strappa la tragedia al letterario "mondo nel mondo" e la rende scope1tamente pubblica e storica. Tra il 1936 e il 1937 questa risoluzione tragica di problemi già vissuti letterariamente nell'ambito della propria classe e nazione protette dà all'ansia di azione di molti intellettuali letterari inglesi, fra cui Auden e Isherwood, la svolta irreversibile della morte pubblica: il nome di questo è essenzialmente Spagna, su cui Auden scriverà la più famosa e controversa delle sue poesie, che porta quel nome. Francesco Binni Gli autori di questo libro (Viaggio in una guerra, SE 1993, pp. 286, L. 35.000) vennero incaricati nell'estate del 1937 di scrivere un libro di viaggio con itinerario a loro discrezione. Scelsero la Cina proprio perché quell'estate era stata dichiarata la guerra sinogiapponese. Il viaggio ebbe luogo nella prima metà del 1938eil libro fu scritto nell'autunno di quell'anno. È chiaro fin dall'inizio che il libro non è un libro di viaggio convenzionale o anche un libro di guerra convenzionale. È una raccolta discontinua di parti in forma diversa: inizia con dei sonetti (di Auden) scritti sulla nave per la Cina, diventa un "diario di viaggio" in prosa (di Isherwood) del viaggio cinese, incorpora un consistente gruppo di foto (scattate da Auden e mancanti nell'edizione italiana) e termina con In tempo di guerra; una sequenza di sonetti con una coda meditativa in versi (di Auden). Come reportage su un 16 paese in guerra questa miscellanea è limitata e insoddisfacente: risultato del fatto che nessuno dei due autori sapeva una parola di cinese, che il loro viaggio venne continuamente filtrato da interpreti e funzionari che parlavano inglese ed erano o irresistibilmente comici oorientalmente imperscrutabili. Si aggiunga il fatto che, per quanto i due autori girassero estesamente il paese alla ricerca coscienziosa della guerra, finirono per non trovarla: le due ispezioni "al fronte" furono farsescamente frustranti dato che non ci fu nessuna battaglia da descrivere. Viaggio in una guerra insomma appartiene a una classe di libri totalmente diversa da quel manipolo di testimonianze di prima mano che già esistevano sulla Cina in quegli anni: quelle magistrali di Agnes Smedley, di Edgar Snow e di fohn Gunther - opere di progetto enciclopedico e di coinvolgimento inclusivo oltre che di co·noscenze di prima mano del paese. Cos'è allora il libro di Auden e Isherwood? Meglio E la chiave per chi legga questo libro di guerra con gli occhi e la mente a quel tempo di ondate tragiche di eventi, è consistentemente la Spagna, la sua esperienza di guerra.finale e non

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