NOVEMBRE1993 - NUMERO87 I mensile di storie, immagini, discussioni e' spettacolo CRITIRICI DALMONDO: ADCO JEBAR/DORCEY / McMILLAN WALLACE SHAWN: DISTURBANTE SPED.IN ABB. POSTALEGR. I~>70%· VIAGAFFURIO4 · 20124 MIIANO LIRE9.000
"RICONOSCENDO L ORME DICHIClHAPRECEDUTO SIVAVAN
i ll\Bl\OtEC o\llNOmAN v> ' FINCHÉ SISCORGE INNANZI ANOIUNA Perquesto tichiedeiabbonarli. Perché 1 • 1
L'italianodi oggi ......... ~---------1 Tuttii più recenti mutamentidel lessico nel più completorapporto sullalinguaitaliana. Novità
Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, llNIAD,OMBRA. Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, ' · Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia anno XI novembre/993 numero 87 Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Damiano D. Abeni, Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Livia Apa, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Marilla Boffito, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Silvia Calamandrei, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Rocco Carbone, Caterina Carpinato, Bruno Cartosio, Cesare Cases, Alberto Cavaglion, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Marco Nifantani, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Dario Puccini, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Restelli, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scarnecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Francesco Sisci, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Adelina Aletti, Marco Bencivenga, Paola Bensì, Giovanna Busacca, Andrea Ciacchi, Lfssia da Cruz e Silva, Cristiano Dan, Barbara Galla, Lieselotte Longato, Paolo Mereghetti, Marco Antonio Sannella, Giacomo Vaiarelli, Barbara Verduci, Il Leuto libreria dello spettacolo di Roma, le case editrici Longanesi e Tercera Prensa - Hirugarren Prentsa, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl - Via Gaffurio 4 20124 Milano Tel. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze -Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Te!. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70% Numero 87 - Lire 9.000 ILCONTESTO 4 6 9 Marcello Flores Piergiorgio Giacchè Rosario Giuè CONFRONTI 13 14 14 16 18 19 21 I. Rana, E. Alleva Emanuele Vinassa Giaime Pintor Francesco Binni Paolo Bertinetti Filippo La Porta Maria Schiavo Scontri a Est Uomini Nuovi in Italia Chiesa e mafia Ricordo di D.P. Burkitt, medico e scienziato Schrodinger, un anniversario Scrivere (e pubblicare) libri di musica Auden e Isherwood nella Cina del '38 Gandhi e Narayan. Il romanzo dell'India Il romanzo "adelphiano" di Maurensig Agosto, specie mia non ti conosco e l'annuncio del Premio "Linea d'ombra" - Città di Castello 1993 (a p. 20). POESIA 40 Fleur Adcock 52 Mary Dorcey STORIE 30 44 49 60 Estrella D. A/fon Helen Simpson Ana Maria Shua Marisa Bulgheroni INCONTRI 24 Rigoberta Menchu, Bernardo Atxaga 37 Assia Djebar 55 Terry McMillan 63 Wallace Shawn 70 Chico Buarque, Caetano Ve/oso Miss Hamilton a Londra a cura di Mirella Billi Eredità a cura di Carla de Petris L'automobilina rossa a cura di Neferti Xina M. Tadiar Figlie Chirurgia minore Il messaggio La parola nascosta, la parola ritrovata con una nota di Sonia Piloto di Castri Donna d'Algeri a cura di Anna Albertano A proposito di tutti questi uomini a cura di Maria Nadotti Disturbante a cura di Maria Nadotti Insieme, dal vivo a cura di Giacomo Bore/la seguito da alcune canzoni di Veloso e Gilberto Gil La copertina di questo numero è di Gianluigi Toccafondo. Abbonamento annuale: ITALIA L. 85.000, ESTERO L. 100.000 a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. Linea d'ombra è stampata su carta ecologica Freelife Vellum white - Fedrigoni
IL CONTESTO Scontri a Est Sono davvero rivoluzioni, queste di fine secolo? Marcello Flores Spinti dall'entusiasmo per il crollo del comunismo e la fine dei regimi totalitari dell'Est europeo non si è voluto vedere (né i pochi ma rumorosi nostalgici, né chi sempre e comunque ha fatto il tifo per le magnifiche sorti e progressive di un capitalismo che vedeva e vede finalmente impiantarsi in quella parte "arretrata" d'Europa) che il comunismo è caduto in un periodo storico particolare, e forse non casualmente: in un momento, cioè, in cui il mondo assisteva a una nuova dislocazione e a un nuovo riformularsi dei rapporti tra Nord e Sud dopo il decennio della decolonizzazione ('60), quello delle lotte armate di liberazione ('70), il loro tragico fallimento e il riequilibrio del potere economico, finanziario e commerciale su scala mondiale ('80). Già prima del crollo del muro di Berlino si era assistito a una nuova fase della "presenza" occidentale in quello che era sempre stato chiamato, unitariamente, Terzo Mondo, e adesso veniva accorpato in sottocategorie dipendenti vuoi dal!' area geografica, da quella geopolitica, dal livello di povertà e arretratezza e fame. Questa nuova presenza, non più surrogata da "valori" che, per quanto ipocriti o francamente ripugnanti, avevano sempre fatto parte del bagaglio (o del "fardello") con cui l'uomo bianco si era impegnato nella sua missione civilizzatrice in ogni parte del mondo, procedeva di pari passo, e sia pure in modo non lineare e non sempre ben comprensibile, con una parallela caduta della 4 partecipazione politica di massa in Occidente e con una crisi crescente delle forme di rappresentanza che della storia dell'Occidente erano state caratteristica ed elemento cruciale e determinante. Questo, ancor tutto da studiare e approfondire, è comunque il "contesto" storico entro cui avviene la crisi e il crollo dell'Urss, dell'Europa orientale, del comunismo. Ricondurre tutto, come si è fatto per semplicismo, entusiasmo, superficialismo, amor di chiarezza, ipocrisia oppure ottimismo, ad uno scontro fuor dalla storia tra democrazia e sua negazione, tra mercato e sua assenza, tra società civile e Stato, è servito a molti filosofi, economisti e politologi per ridar linfa alle proprie ripetute e ricorrenti convinzioni, molto meno per cercare di comprendere la natura specifica di un fenomeno, "storico" sì ma tuttavia ben determinato, come quello ancora in corso nell'Est europeo e nell'ex Urss. Si prendano, a mo' d'esempio di un atteggiamento che non riesce a superare i limiti del cronachismo e del politicismo, le osservazioni di alcuni esponenti della cultura, del giornalismo e della politica che sono, probabilmente, tra i più preparati e affidabili della loro categoria. Vittorio Strada, in nome di un' adesione alla "sostanza" dei fatti che non si faccia fuorviare da Varsavia. Foto di Krzysztof Pawela !G. Neri).
formalismi di alcun tipo, suggerisce di identificare tout-court la democrazia con Eltsin, e di schierarsi quindi senza dubbi e reticenze con l'artefice e il protagonista del nuovo corso russo. Sembra quasi di assistere ad un sussulto di leninismo (di priorità· assoluta concessa al "fine" e di indifferenza ai "mezzi" per attuarla) che ricollega il nostro insigne slavista al proprio passato. Alberto Cavallari non nega i pericoli di una possibile democrazia autoritaria, ma ne attribuisce la colpa esclusivamente ai "suoi (di Eltsin) avversari passati all'illegalità dell'insurrezione armata" non potendosi certo "accusare Eltsin se la Russia si trova in questo vicolo cieco" dal momento che il suo potere è stato legittimato da elezioni e referendum. Dispiace che a simili sillogismi giustificazionisti, cui ci avevano abituati i vecchi "amici dell' Urss", si adeguino adesso persone colte e intelligenti che non riescono, evidentemente, a sottrarsi al fascino degli uomini che "incarnano" la Storia. Infine c'è Achille Occhetto, che invita a non scegliere tra i contendenti in lotta (né con Eltsin né con Rutskoj) ma a schierarsi invece con il popolo russo. Questo, che apparentemente sembrerebbe la posizione di maggiore onestà e realismo (soprattutto da parte di chi non è un capo di Stato o un ministro degli Esteri) risulta invece un escamotage propagandistico, un modo per restare nell'ambito di quello "schieramentismo" che costituisce uno dei più inveterati e immutabili vizi politici nazionali: in attesa che si crei e si manifesti un interlocutore concreto a cui dar fiducia si sta col "popolo". Ma quale popolo? Si ha idea di cosa sia adesso il "popolo" russo? Idealizzare il popolo e fare affidamento sulla sua giusta e santa volontà è solo un modo per sfuggire alle difficoltà che presenta l'analisi della realtà est-europea. Il dato da cui partire, amaro ma concreto, è che la lotta in corso nell'ex Urss non riguarda il popolo (se non nei suoi effetti), ma solo le élites. Schierarsi significa dunque scegliere tra gruppi e coalizioni di cui non sempre è agile individuare interessi e obiettivi; stare col popolo, illudersi che esso possa avere ragione è rinunciare a una visione disincantata della democrazia (che non deve voler dire, però, come nei nostalgici del comunismo, ostile ad essa). Nella lotta in corso tra le élites russe, nessuna delle quali, si badi bene, è emersa legittimata se non dalla "forza" che riesce ad esprimere di volta in volta, vi è certamente un aspetto che è proprio della "tradizione" russa e del modo di essere del potere che lì ha avuto corso nei secoli. Ignorarlo, o ancor peggio, attribuire al comunismo la totale responsabilità di quella "tradizione", porta alla comprensione lo stesso ausilio di chi ritiene che sia la vecchia e immutabile "anima slava" la principale responsabile della tragedia cui assistiamo. La formazione di classi dirigenti, quando non avviene nel fuoco di conflitti che accelerano e sconvolgono il corso della storia (e anche lì, comunque, vi è un'esperienza accumulata nel tempo), richiede decenni; così come di decenni, e forse più, ha bisogno la democrazia per riuscire a entrare in modo naturale e continuo nei bisogni e nella mentalità di un popolo. La democrazia europea, di cui pure notiamo i limiti e le difficoltà attuali, selezionò le proprie classi dirigenti attorno a valori, progetti, idee, programmi.L'idea nazionale o di classe che stava dietro quei fermenti, sia che si mostrasse apertamente o solo· indirettamente, serviva proprio a stabilire chi potesse meglio, prima e di più guidare il paese verso nuovi traguardi. Certo vi erano interessi ben corposi dietro le ideologie di libertà e di indipendenza, così come la lotta per la democrazia significava spesso ancor prima che "partecipare" poter sopravvivere e non venir sopraffatto. Nelle diverse fasi di costruzione della democrazia che i paesi IL CONTESTO occidentali hanno conosciuto, vi è stato sempre - accanto alla polemica e alla battaglia politica che giungeva fino ali' odio ideologico - un certo tasso di considerazione e rispetto per i "professionisti" della politica, sia tra loro medesimi che tra la massa del popolo: se non per quelli avversari certamente per i propri. Ciò è palesemente non più vero nell'Europa dell'Est, dove la selezione della classe dirigente (oltre a essere in larga misura predeterminata e incanalata dall'aver già in precedenza partecipato, sia pure a livelli inferiori, alla nomenklatura) avviene nel disprezzo completo degli elettori e degli eletti e tra questi medesimi e nel conseguente atteggiamento "malavitoso" assunto immediatamente da qualsiasi "rappresentante" di qualsivoglia istituzione pubblica. Questo, che è solo uno e forse non il principale degli aspetti che caratterizzano la costruzione delle democrazie orientali, dovrebbe spingere ad un esame comparato di quello che lì avviene sia con quanto è avvenuto in passato in Occidente (quando la democrazia si andava costruendo) sia con quanto vi sta accadendo adesso (mentre la democrazia è in crisi proprio quando ha ormai vinto come senso comune se non, purtroppo, come valore). I nostri media, invece, indulgono ad un atteggiamento di enfasi che è l'esatto opposto - con le ovvie eccezioni - della strada dell'informazione e della comprensione. L'occhiello del titolo di testa di "La Repubblica" parlava del.giorno dell'assalto alla Casa Bianca come del "giorno più drammatico della Rivoluzione d'Ottobre", e la diretta Cnn ripresa da tutte le nostre reti ha riprodotto quello strano fenomeno già evidenziato durante la guerra del Golfo: l'esaltazione e l'ansia della diretta che drammatizzano anche gli eventi più insignificanti insieme alla sottovalutazione di aspetti fondamentali del presente o dei pericoli futuri. La "vittoria" della democrazia nell'Est - e non solo in Russia, come hanno mostrato le elezioni polacche - coincide con il massimo di "impotenza", se non proprio di emarginazione ed estraneità (la prima coatta e subìta, la seconda liberamente scelta: ma si intrecciano) della gente del popolo a controllare il potere, indirizzarlo, parteciparvi. Rifarsi verbalmente ai vecchi e buoni princìpi è sempre utile, purché non oscuri l'interrogarsi sui modi in cui essi oggi hanno - se l'hanno - la possibilità di venire attuati. Proprio nell'Est, paradossalmente, esiste uno spazio minimo di alternativa programmatica a fronte di una scelta di opzioni comportamentali che giunge - molto spesso, tragicamente - fino alla guerra e al massacro. Sul piano del le riforme istituzionali ed economiche, e soprattutto sulla modalità della loro attuazione, vi è uno scarto assai piccolo tra le formazioni politiche schierate agli estremi opposti. Ma il loro agire per rafforzare o conquistare nuovi spazi di potere giunge invece a livelli di conflitto inimmaginabili in democrazia e non si ferma di fronte a nulla. Lo scontro tra Eltsin e il Parlamento è, a questo proposito, esemplare. li presidente russo, che pure aveva buone ragioni per rivendicare una nuova legittimazione del potere attraverso l'elezione finalmente democratica del Parlamento, non aveva alcun motivo per respingere la proposta (di compromesso e onorevole capitolazione) di far svolgere contemporaneamente le elezioni presidenziali e quelle politiche. A Eltsin, tuttavia, lo scontro interessava come occasione per sbarazzarsi di un forte gruppo contrario, non per imporre, sia pure dall'alto, un po' più di democrazia. Di qui la scelta calcolata dell'esasperazione, l'attesa della provocazione del rozzo e violento Rutskoj, le esitazioni per far precipitare la situazione e la sanguinosa resa dei conti. La situazione dell'Est almeno in una cosa è drammaticamente analoga a quella che si ebbe in Europa negli anni Trenta: nella 5
IL CONTESTO superficialità con cui i paesi democratici guardavano gli altri e se stessi mentre il suono delle armi si faceva sempre più vicino. Tra le possibili opzioni del prossimo e non lontanissimo futuro non possiamo escludere la guerra, fenomeno con cui stiamo ormai convivendo e che tentiamo di esorcizzare e impedirci di vedere in un modo che non si sa se più tragico o patetico. La Jugoslavia, da questo punto di vista, non sembra aver insegnato nulla. Basta un precario "cessate il fuoco" per far dimenticare due anni di turpitudini e violenze, le menzognere promesse dell'Occidente e il suo esaltante piangersi addosso nel tentativo di salvare una bambina destinata comunque a una fine crudele. Come niente insegna, né impensierisce, ciò che avviene in Georgia o in altre sei-sette regioni dell'ex Urss di cui gli informa~ tissimi e sempre presenti media occidentali non sanno neppure valutare le vittime. Ci si preoccupa, invece, per le vittorie elettorali degli ex comunisti in Lituania o in Polonia, attribuite disinvoltamente alla scarsa propensione al sacrificio delle plebi locali e alla loro sfiducia nel progresso certo e futuro che giungerà col capitalismo. Per quanto legittimato da una Costituzione obsoleta e ambigua, il Parlamento di Khasbulatov era pur sempre un simbolo - parziale - del lento e parziale processo di democrazia in costruzione in Russia. Non so cosa sia stato più triste, se vederlo cannoneggiato o se leggere i soddisfatti commenti di quelle stesse democrazie che non mossero un dito quando vennero distrutti, in modo ben più drammatico, altri parlamenti. Il senso "democratico" dello Stato si costruisce anche rispettando i simboli e soprattutto trovando le "forme" di convivenza e confronto democratico. E il senso dello Stato nelle democrazie, di cui tutti lamentano l'assenza nel nostro paese, non può sopportare la legge dei due pesi e due misure: una per noi, popoli colti e avanzati, l'altra, che "va al dunque", per i popoli rozzi e arretrati. La democrazia continua troppo spesso a essere ridotta alla possibilità di optare per diversi schieramenti, non a venir vista come il mezzo per risolvere nel modo migliore (o meno peggiore) i problemi della maggioranza della gente. Proprio ciò che sta succedendo anche in Italia (ma non solo) dovrebbe stimolare a una nuova riflessione sulla democrazia, sui suoi limiti non "teorici", ma storici, soprattutto in una fase di trasformazioni economiche e culturali così profonde. Ciò che avviene nell'Est d'Europa è segnato sì, in gran parte, dal passato di quei paesi, dalla loro tradizione più antica e dal peso della loro esperienza degli ultimi cinquant'anni; ma è anche il risultato di fenomeni che sono propri del primo come del secondo mondo; e inparte anche del terzti e quarto. Negli anni Venti e Trenta si vollero analizzare i fascismi trionfanti con gli schemi e i concetti del liberalismo o del socialismo ottocenteschi, con i tragici risultati che sappiamo. Bisognerebbe evitare lo stesso errore e trarre invece dalla realtà dell'Est gli argomenti e gli insegnamenti per ripensare la democrazia e la politica anche da noi. I fascismi non erano solo "reazione", ma anche nuove modalità del potere in un mondo travolto dalla partecipazione delle masse e dalla ristrutturazione profonda dell'economia mondiale. I nuovi regimi dell'Est - che conoscono, tra l'altro, esperienze diverse pur all'interno di problematiche comuni - possono suggerirci qualcosa sul nostro futuro, non solo costituire uno stadio di evoluzione verso il nostro "modello" da compatire o incoraggiare. Conoscere è la prima e più importante condizione per poter giudicare. Cerchiamo di farlo con intelligenza e umiltà, senza retoriche e senza pregiudizi. Altrimenti ci ritroveremo, come è accaduto in questi giorni, a dover prendere atto senza saper cosa dire di fenomeni che avranno ben altra influenza sul nostro futuro di qualsiasi schieramento politico: parlo del vertice tra la mafia italiana e russa che si è tenuto quest'anno a Varsavia, dopo quello di Praga dello scorso anno. Uomini Nuovi nell'Italia che Cambia Piergiorgio Giacchè Passano i giorni e i mesi e gli anni. A una certa distanza di tempo non è forse vero che si leggono più chiaramente anche le più oscure crisi internazionali? Ciascuno ha ormai la possibilità di darsi risposte o almeno di porsi in modo gi~sto le domande: cosa può aver spinto in Russia decine di migliaia di persone a dare l'assalto alla loro Casa Bianca? Come mai l'intervento di pace in Somalia sembra un modo di rendere "mondiale" una guerra civile? Quanto è esteso e profondo il tumore politico, sociale e culturale che alimenta l'autodistruzione della ex Jugoslavia? Da lontano o dopo un tempo più lungo divengono dolorose e insopportabili quelle stesse vicende che, seguite giorno per giorno, appari vano sì dolorose ma inevitabili. A guardar bene sono due dolorosi diversi, se il primo è qualificativo, il secondo è appena un aggettivo "sbrigativo": mentre incalzano sempre nuove notizie non c'è tempo per soffrire davvero, anche perché lo choc che accompagna un evento tragico è pur sempre fatto più di stupore che di tormento. Forse per questo la gente preferisce l'asettico e un po' anestetico stillicidio del telegiornale quotidiano, o anche - come è 6 successo ai tempi del Golfo - preferisce seguire la guerra in diretta. Non si tratta di un pervertito senso dello spettacolo, ma della voglia di vivere più da vicino un evento e dunque, tutto sommato, capirlo e patirlo di meno. Riconsiderare le cose in differita fa molto più male: si rischia di vederle più grandi e meno giustificate. Si colgono cioè le loro vere dimensioni e si perdono per strada le loro insostenibili ragioni. Le ragioni della Storia sono in fondo frutto di un troppo aderente e ravvicinato "punto di vista". Nel nostro piccolo, e cioè a restare in Italia, le cose non sono certo altrettanto drammatiche, ma la storia è ugualmente irragionevole (per non dire stupida). Il Grande Cambiamento che viene confusamente testimoniato e celebrato giorno per giorno, visto da lontano mostra nitidamente i suoi limiti e, paradossalmente, i suoi dettagli. Considerati tutti insieme, infatti, anche i più piccoli errori rivelano di far parte di un groviglio ormai inestricabile. E imperdonabile. La serie dei comunicati stampa, degli interventi volanti e dei
Foto di Antonio Biosiucci da Stazioni (ElectaNapoli l 99 l ). commenti pesanti con cui i partiti politici fanno finta di esistere nel quotidiano (cioè, sia nel giornale che "alla giornata"), non regge infatti a uno sguardo più distante che voglia abbracciare gli ultimi mesi o anni di attività e presenza. Cosa è davvero cambiato nei partiti dopo la radicale trasformazione e la scissione del PCI, dopo il quinto e definitivo Rinnovamento della DC, dopo la seconda nuova segreteria del PSI? Ciascun partito esibisce - molto più delle nuove sigle e dei nuovi gruppi dirigenti- la propria monumentale immobilità e la sua capacità di tenuta e la sua scelta di rigorosa conservazione, mentre il Cambiamento appare come un evento esterno ed è salutato da tutti come un'evoluzione naturale della specie. Forse qualche storico potrebbe spiegarci che il trasformismo, almeno "all'italiana", non è frenetico mutamento di pelle o di gabbana ma ostinata guerra di posizione: ciascuno al proprio posto e tutti verso il centro o la cima della nave che affonda. Le modifiche di politica o d'immagine non sono che parziali e talvolta appena accennati adattamenti ad una situazione che sta diventando franosa: le energie vitali sono spese nell'aumento della rigidità e persino della propria coerenza. Potrebbero non essere coerenti coloro che da tempo non producono più idee? Il trasformismo è solo una pura necessità, una volta persa la virtù di concepire e promuovere la trasformazione. Via via nei giornali e nei canali spuntano sempre più Uomini Nuovi. Sono per lo più distinti signori dalla cravatta rassicurante e dal giusto collo nella camicia, ma in pochissimo tempo hanno acquistato almeno uno dei tanti difetti dei Grandi Vecchi. Sono sempre gli stessi. IL CONTESTO Se il numero dei tifosi e la paura degli avversari può spiegare lo spazio televisivo via via conquistato dall'avanspettacolo leghista, non si giustifica il presenzialismo di molti altri personaggi, forzati a diventare beniamini del pubblico anche quando - lo si giurerebbe - il sorriso melenso di Liguori, i baffetti di Ayala, la faccia a mela cotta di Segni non possono piacere gran che. Eppure, lanciati dal circo di Costanzo o dall'arena di Santoro, non cessano di comparire sempre e ovunque con il compito superiore di riempire lo spazio, anzi l'enorme vuoto lasciato libero dai protagonisti di ieri. Per questo non appena si sono affacciati non li hanno lasciati più: l'opinione pubblica potrebbe avere tutto il tempo (e tutto il diritto) di aspettare che si facciano strada dei veri leader con delle vere proposte, ma il palinsesto no. Fra le nuove comparse televisive assunte in pianta stabile non c'è selezione né censura, riemergono persino le facce di leader studenteschi di anni formidabili, purché stiano dentro al linguaggio dei media, in tutti i significati che questa parola onnivora ha ormai guadagnato, da mass-media a classe media, da media statistica a scuola media. Sono ben accetti gli atteggiamenti interlocutori e le opinioni generiche fisse, le posizioni indice di maturità e i pensierini che rivelano buon senso. E così allora, a fronte dei pochi pestiferi pierini, sgarbati o ciccioni, cominciano a costituirsi le fila di quelli composti e acchittati, di quelli che sembrano aver fatto il compito e che sperano di poter diventare la nuova classe dirigente. Visti o letti da vicino, hanno l'aspetto grave ma sereno di chi (senza saperlo) si assume l'onere di rappresentare tutto ciò che resta della cultura politica e di chi (senza volerlo) si lascia fruire come un significato anche se è entrato in video appena come un segno. Guardati però "da lontano", ci si accorge che i garantuomini del regime di do- .,
M3!}iit3M ACHENG Latrilogiadei re Introduzione di AlfredoGiuliani.Acura di Maria RitaMasci pagine 240 lire 28 000 Unascrittura semplice ed epica. Uno stile che richiama quello degli antichi cantastorie, l'ironia pacata dei grandi maestri del Dao. YITZHAKSHAMI- SHMUEL J. AGNON- DAVIDVOGEL- AMosOz JOSHUAKNAZ- A.B. YEHOSHUA Seicapolavoridellaletteraturaebraica a cura di AlanLelchuk pagine 416 lire 38 000 Laletteratura ebraica nell'esecuzione di sei maestri. NICOLAFANO(ACURADI) Vieniavanti,cretino! pagine 218 lire 22 000 Da Totò ai FratelliDe Rege:storie e testi dell'avanspettacoloe del varietà. FLANNERYO'CONNOR Nelterritoriodeldiavolo a cura di OttavioFatica pagine 140 lire 24 000 Il mistero - e il mestiere - di scrivere, in un libro percorso da una fede violenta e irriducibile nella letteratura. I!iiilt·S ;tJ;j I Af.EXANDERSTUART Tribu pagine 176 lire 24 000 UnaLondra cupa e fiammeggiante fa da sfondo alla storia di un produttore cinematograficoche tenta di allestire un film sulle bande giovanili. ... ---------~, I Sevolete ricevere il nostro catalogo o acquistare libri I per corrispondel}za.inviate-questacedola I I ~:~.~ .............. ::: -:_ . . _ .. _. ............... ~;~.· · .~ ~ ~~~~~::::::::::~::::::::::::::::: I I O Desidero ricevere il catalogo O Desidero ricevere i seguenti titoli I Titolo/Autore.................................................................................... . I;:::::;:~::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::: I I I I O Pagherò in contrassegno I I O Hoversato la cifra sul ccp 43907005 intestato a: EdizioniTheoria I EDIZIONI THEORIA ViaSeverano 33 - 00161 Roma I tel. 06/44291214 fax 44291390 .J ~---------- IL CONTESTO mani sono ancora una volta giornalisti, magistrati e professori. Si oppongono ai "professionisti" della politica ma vengono dalle solite professioni; sono senza famiglia, anche se come single hanno sostato nelle vaste aree di indipendenti di cui si contornavano già da tempo i vecchi partiti; non sono propriamente dei tecnici -ché quelli già da tempo sono stati assorbiti dai governi veri o ombra degli ultimi anni-e nemmeno rivendicano di essere "competenti": piuttosto scrivono e parlano come se fossero "consulenti del pubblico", anzi l'immagine e il riassunto della pubblica opinione stessa. Se dai leader potenti o arroganti di ieri ci difendeva almeno l'ovvia distanza e si poteva mescolare ali' ossequio servile una scontata.non identificazione, davanti ai nuovi attori della politica non è più permessa la revoca di rappresentanza: non dopo aver sostenuto, a colpi di zapping, la loro quotidiana rappresentazione. In quella, gli Uomini Nuovi, si sa, impersonano il ruolo della Gente Comune e spesso si confondono nelle platee di un pubblico teatro o di una pubblica piazza. Cosa li distingue dal coro? Forse il messaggio, ma non certo il medium. Mentre si è per anni ironizzato sulla "cosa" che doveva diventare il PCI e si sta chiamando ancora "cosa" la nuova DC, nessuno si meraviglia dell'indefinjtezza fantapolitica di altre sigle ed altre operazioni. AD p~r esempio cosa è? Nessuno se lo chiede per non fare brutte figure, proprio come quando ci si trova davanti a una nuova moda, ma davvero pochi devono essere quelli che lo hanno capito. Alleanza Democratica (già Verso Alleanza Democratica e, fra poco, Dopo Alleanza Democratica) è stata annunciata e costituita varie volte e sempre con esagerato clamore. Ognj suo impercettibile, progressivo spostamento di piacere fa notizia quasi più di Tangentopoli: prima ancora di aver mostrato di esistere o appena di resistere, sembrano essergli.affidati i destini dell'area laica e liberale e progressista e di sinistra, se non addirittura quelli del nostro sogno nazionale più elevato: il Bipartitismo Perfetto. Operazioni ben più faticate ed elaborate come quelle dei club di Flores d' Arcais hanno avuto magari più seguito ma mai così tanto ascolto quanto le insipienze di Ayala, le esitazioni di Bogi, i silenzi di Bordon, gli appelli di Adornato. Il loro problema sembra quello di tessere un'altra "rete", ma stavolta senza gente dentro: un contenitore per futuri elettori, un'area immateriale e trascendente che infine è come sovrapposta e coincidente col vecchio centro sinjstra. Eppure non si può dire che le somigli, giacché non è riportata in nessuna carta geopolitica; è una zona nuova e pulita e celeste, ché si è da tempo superata "la logica degli schieramenti" pedestri e si è passati a definire le rotte e le orbite dei futuri partiti (ma si chiameranno ancora così?) direttamente sullo spazio aereo. La politica così non si sporcherà più le mani e - se si sceglie bene- forse nemmeno i piedi. Alla destra e alla sinistra si stanno ormai sostituendo lo zenit e il nadir: i più grezzi, cioè il MSI, la Lega e magari Rifondazione lavorano ancora la terra, ma gli altri - dietro la navicella di AD - fluttuano in una sovradimensione ancora inesistente e si danno appuntamento in un parlamento da "Ritorno al futuro". Lì ci saranno - si immagina - i partiti della Rai, di Berlusconi e di Scalfari, tutti dentro un'area liberaldemocratica dai concetti sempre più vaghi e dai confini illimitati. Potrebbero e anzi dovrebbero starci dentro frammenti e grosse meteoriti dei vecchi partiti di massa, ma naturalmente dilavati e resi subalterni alla nuova intellighenzia degli opinionisti o dei conduttori.
Ma AD ci tutela almeno dal trasformismo: i rigorosi probiviri che la governano non permetteranno mai l'ingresso ai politici compromessi con il vecchio regime. Da una Lettera di Adornato agli Italiani: "Prima abbiamo sofferto gli anni di piombo del terrorismo e dello stragismo. Ora subiamo gli anni di fango del tangentismo ... Se si fa eccezione per le tre-quattro primavere dominate dal miraggio del "made in ltaly" (oggi sappiamo su quali distorsioni fosse basato) si può dire che è almeno dagli inizi degli anni Settanta che questo paese vive una situazione psico-politica più vicina a quella di uJ1aRepubblica del Sud America che a una democrazia europea. E vent'anni sono tanti. È quanto durò il fascismo. IL CONTESTO Questa amara constatazione può darci la misura di quanto sia forte la democrazia italiana, di quanto sia saggia la sua gente, di quale resistenza siamo stati, tutti insieme, capaci in questo allucinante ventennio. E può darci, allo stesso tempo, la misura di quanto il vaso della pazienza possa essere colmo, di quale disperata domanda di giustizia e di serenità provenga da un popolo così tartassato". Si tratta di un'analisi che, fatta da un leader di ieri; la si sarebbe detta un'operazione di scadente o sfacciata demagogia, ma scritta da un homo novus la si può perfino interpretare come l'astuto tentativo di incoraggiare un trasformismo "di base" che faccia d'anticorpo a quello del vertice. Alta strategia dunque, ma, come si vede, vecchio - e stupido - punto di vista. Chiesa e mafia: una svolta? Dopo l'omicidio di don Giuseppe Puglisi Rosario Giuè 1)Un altro muro è caduto. Con il sangue sparso sul selciato di piazza Anita Garibaldi a Palermo, nel buio della sera di quel mercoledì 15 settembre, la mafia ha decretato di rompere un ultimo tabù di rispetto che le rimaneva: quello per la Chiesa cattolica e i suoi ministri. Dopo quella con la politica e quella con la struttura giudiziaria, anche la mediazione con l'istituzione ecclesiale è venuta meno. Quella sera Cosa nostra ha colpito vigliaccamente don Giueppe Puglisi, "un uomo coraggioso ed indifeso", come recitava l'indomani un lenzuolo bianco posto da mani anonime sull'inferriata della chiesa di San Gaetano. Don Pino quel giorno compiva 56 anni. Non c'è niente di eclatante nel lavoro svolto da Giuseppe Puglisi. Non gesti provocatori, non grandi invettive. Certo, se fosse stato qualche altro prete a cadere, forse qualcuno avrebbe potuto dire che non si era stati abbastanza prudenti. Ma Puglisi era un uomo prudente. E insieme fermo, fedele servitore e testimone del Vangelo. Egli era da appena tre anni stato nominato parroco della Comunità di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo est, un quartiere che è un misto tra vecchia borgata e nuovi palazzoni, tra originari borghigiani e nuovi arrivati. Un quartiere senza servizi pubblici essenziali, a eccezione della scuola elementare, ben funzionante. Un quartiere abbandonato a se stesso, dove i politici di turno hanno pescato negli anni tanti voti, ma non sono tati in grado di rendere operative quelle parti del piano regolatore che destinano a scuole e servizi alcune aree pubbliche. Hanno preferito baciarsi con i mafiosi del quartiere all'ingresso dei seggi elettorali, magari aspettando il momento buono per egnare una variante del piano regolatore e rendere quelle aree'lottizzabil.i. . La guerra di mafia dei primi anni Ottanta aveva lasciato sul terreno di Brancacciodecineedecinedi morti, e la gente del luogo ha da tempo introiettato la paura, il senso della diffidenza e dell'impotenza. Da un po' di anni, dall'85, con diverse esperienze, l'azione della parrocchia aveva fatto e stava facendo sì che ci si apri e alla fiducia, alla possibilità di credere a un cambiamento. La parrocchia, spesso unico spazio di socializzazione e di aggregazione in molti luoghi del paese, stava tentando un percorso di liberazione. E invece "un sacerdote, che tentava umilmente Foto di Letizia Bolloglio. 9
IL CONTESTO di fare la sua parte nella battaglia civile per la democrazia, è rimasto sul campo tra lo stupore di tutti" 1 • E così la paura è tornata a calare sulle strade di Brancaccio, e non solo. Nell'immediato disorientamento ci si è chiesto: perché un prete?, perché don Giuseppe Puglisi, un sacerdote che lodevolmente lavorava quasi nel silenzio? Al di là di quale possa essere stato un fatto, un elemento occasionale, diciamo il pretesto locale, si è arrivati all'omicidio, esageratamente, perché dopo i falliti tentativi di mediazione di questa estate, effettuati dalla mafia nei confronti dello Stato e della società civile, Cosa nostra ha più chiaramente deciso che "non è disposta a tollerare che venga ulteriormente messa in discussione la sua egemonia sul territorio"2. Con l'assassinio di Puglisi la mafia ha inteso compiere un'azione di terrore, al fine di intimorire quanti, nel piccolo o grande, credenti e non, lottano e s'impegnano, settimana dopo settimana, per sottrarre il controllo complessivo del territorio alle famiglie di Cosa nostra e alle altre organizzazioni criminali. Si è scelto di colpire a Brancaccio-Ciaculli, forse perché è quartiere simbolo e testa della mafia. Si è voluto dare un esempio, un avvertimento a quanti e quante sono impegnati in quella che è "l'antimafia dei diritti" 3 • Se il risultato è raggiunto o sarà raggiunto lo potremo vedere nei prossimi mesi, osservando l'impegno che quanti operano nel territorio sono più o meno disposti a esprimere. 2) Quanto è accaduto, quale riflessione e quale strategia impone alla comunità ecclesiale? È chiaro che già Cosa nostra non aveva gradito le parole che il papa Giovanni Paolo II aveva pronunciato nella Valle dei Tempi i nel suo ultimo viaggio in Sicilia. Quelle parole certamente erano state un segnale chiaro, forte, un incoraggiamento a quanti, con lettere e appelli, inviati al pontefice prima del viaggio, auspicavano un nuovo impegno della Chiesa cattolica sul fronte del!' impegno rispetto alla mafia. Probabilmente le parole del papa per Cosa nostra non sono state per nulla digerite. Al punto da spingerla a compiere gli attentati alle chiese di Roma, per poi passare all'eliminazione fisica di un prete. Per decenni e decenni si era stati abituati a vedere un rapporto sostanzialmente pacifico tra mafia e istituzione ecclesiale. La mafia, infatti, era stata un freno ali' avanzata della modernità. La stessa che la Chiesa cattolica combatteva, opponendosi ai suoi valori di autonomia e libertà di coscienza. E così la mafia, di fatto, era stata un suo indiretto alleato. Ed è stata sostenitrice delle tradizionali forme di religiosità, consapevole di essere bisognosa di esse, però soltanto nella loro rilevanza sacrale e paralizzante della storia corrente, e capace, perciò, di sopire i conflitti. Non per niente i capi-mafia e i loro uomini di fiducia hanno sempre fatto parte di comitati di festeggiamenti, hanno trattato con riverenza i ministri della Chiesa, fin quando questi sono rimasti religiosi. Fin quando questi hanno accettato e scelto di "fare il prete". Per molto tempo hanno trovato davanti a sé tante persone disposte a chiudere un occhio per quieto vivere, convinti che "il mondo non lo posso cambiare io". Ora a Cosa nostra questo terreno sembra venire meno. Ed ecco la reazione. È già dalla morte del prefetto di Palermo, il generale Dalla Chie a (' 82), che in tanti, come nella società civile, così nella Chiesa cattolica hanno manifestato la scelta inequivocabile di resistenza alla cultura, al potere e alla presenza della mafia. E questo Cosa nostra non può accettarlo. Se prima vi erano state minacce, all'indirizzo di diverse persone, ora si è deciso di passare ali' omicidio. La mafia non può accettare che le comunità ecclesiali e i suoi ministri, invece di sopire i conflitti e le coscienze, Jj risveglino e li portino alla luce del sole. Non può accettare che l'azione pastorale sia qualcosa di vitale per un 10 . quartiere, per una città, e non qualcosa di religioso-ideologico. Ma in quanti nella Chiesa hanno compiuto questa scelta? Per la verità non moltissimi, se si considera che domenica 19 settembre, per esempio, a due giorni dal funerale di don Pino, in tante parrocchie della provincia di Palermo e di altrove (basta chiedere ai propri amici e conoscenti cattolici praticanti) molti parroci non hanno avvertito il bisogno e la responsabilità di parlare di quel1' omicidio e del suo senso. Non hanno sentito il bisogno di gridare la loro ribellione e indicare un percorso di speranza e di impegno a quanti erano accorsi al tempio parrocchiale proprio per sentire una parola di resistenza e di liberazione. In altri contesti si è preferito invitare a pregare per un confratello morto, quasi come se fosse morto d'infarto e non con un colpo alla nuca sparato da una mano armata da Cosa nostra, come altro anello di una lunga catena di morte e di dominazione. Il fatto è che in tanti vi è fortemente paura. E la paura è un sentimento umano. Ma è dignitoso tentare anche di combatterla, specialmente per chi è seguace del Cristo. Vi è chi pensa che Cosa nostra sia qualcosa che devono combattere soltanto le forze dell'ordine e la magistratura. Altri l'hanno sottovalutata. Non si è ancora capito che la mafia è ancora fortissima e che, se essa non è sconfitta, il Regno di Dio, che pure si annuncia nella predicazione, rimane sempre più lontano per chi vive nelle periferie di Palermo, di Reggio Calabria, di Napoli, del meridione d'Italia. C'è chi si attarda ancora oggi a dichiarare che "noi non siamo contro nessuno", che non è compito della Chiesa intraprendere una "pastorale antimafia". Non si è voluto comprendere che l'azione pastorale, propria della comunità ecclesiale, non vuole essere contro le persone, ma contro la "struttura di peccato" 4 quale è Cosa nostra, la camorra o la 'ndrangheta. Occorre finalmente abbandonare la visione tutta spiritualistica di una Chiesa consolatrice fatta di riti e cerimonie, per passare alla costruzione di una Chiesa Itberatrice, perun riscatto delle coscienze, dei corpi, del territorio. E quella che si può chiamare la teologia della liberazione in terra di mafia. Di fronte al fenomeno mafioso la pastorale non può essere qualcosa da lasciare alla libera iniziativa e alla buona volontà del singolo prete, vescovo o comunità, esponendo al rischio queste persone. In un clima di solitudine il rischio è più vicino. E Falcone lo diceva: si muore perché si è soli, perché si è lasciati soli. Bisogna riconoscere che in questi anni passi avanti ne sono stati realizzati. Vi è una coscienza più generalizzata tra i credenti circa la tragicità del fenomeno mafioso. Si è sempre più convinti che essa è una struttura del tutto lontana dalla logica evangelica. In diverse comurutà si è abbandonato il silenzio e si parla di più di mafia. Sono germi che occorre rafforzare, sostenere, incoraggiare, collegare. E questo si può fare con un'azione organica della Chiesa diocesana, regionale, nazionale, nel suo essere comunità. Occorre che, a questi livelli, ci si dia un progetto, con analisi, giudizi, proposte operative e verifiche. Ma è anche necessario liberarsi da legami con settori politici ed economici compromessi. Meglio un municipio in meno, che non perdere la libertà evangelica. Così sarà più vicino a noi il sogno di una Chiesa che, libera da questioni teologiche astratte, entri nel solco della storia, per esservi sacramento, ossia segno e strumento, di liberazione. Note I) C. Palermo, Sicilia da spezzare il cuore, in "Avvenimenti", 29 settembre 1993, p. 93. 2) G. eppi Modona, E la mafia lanciò la campagna d'autunno, in "La Repubblica", 21 settembre 1993; cfr. P. Arlacchi, È sempre Cosa nostra, in "La Repubblica", 20 settembre 1993. 3) C. Chianura, Violante: "Questo delitto è un avvertimento", in "La Repubblica", 17 settembre 1993. 4) Giovanni Paolo Il, Sollecitudo rei socialis, n. 36.
APRIAMOI CANCELLI PERAPRIREILDIALOGO
LINEAD'OMBRA DALLE STELLE AL PENSIERO Conoscenze attuali sul passato e l'ambiente del genere umano. H. Reeves, A. M. Celan Sengor, J. Reisse, H. Tobien, Y. Coppens, E. Mo rin. Lire 12.000 • Luis Bufiuel I FIGLI DELLA VIOLENZA Un capolavoro della storia del cinema Lire 12.000 • SCRITTORI PER UN SECOLO 151 foto ritratti di narratori, poeti, saggisti italiani del '900 A cura di G. Fofi e G. Giovannetti. Lire 18.000 • -Carmelo Bene A BOCCAPERTA Una partitura per il cinema Lire 12.000 • AA. VV LA SOCIETà DEGLI AMICI IL PENSIERO DEI QUACCHERI, dalla fine del Seicento ai giorni nostri Lire 12.000 • Ramon Pérez de Ayala LA CADUTA DELLA CASA LIMONES. Seguito da LUCE DOMENICALE, due storie d'amore e di passione Lire 12.000 • Lev N. Tolstoj DENARO FALSO Un racconto-pamphlet sulla potenza corruttrice del denaro. Lire 12.000 • Aldo Capitini LE TECNICHE DELLA NONVIOLENZA Un testo da usare, un metodo di lotta. Lire 12.000 • "Voices" GLI SCRITTORI E LA POLITICA Nord e Sud, Est e Ovest, Guerra e Pace. Ne parlano: Boli, Chomsky, Eco, Gordimer, Grass, Hall, Halliday, Konrad, Rushdie, Sontag, Thompson, Vonnegut Lire 12.000 • Gunther Anders I MORTI. DISCORSO SULLE TRE GUERRE MONDIALI Dopo Auschwitz e dopo Hiroshima: noi, i superstiti Lire 12.000 • Albrecht Goes LA VITTIMA Cristiani ed Ebrei al tempo di Hitler. Un grande racconto Lire 12.000 • A PROPOSITO DEI COMUNISTI Un mutamento che riguarda tuttala sinistra.A. Berardinelli, G. Bettin, L. Bobbio, M. Flores, G. Fofi, P. Giacchè, G. Lerner, L. Manconi, M. Sinibaldi,con il Piccolo Manifesto di Elsa Morante Lire 12.000 • Heinrich Boli LEZIONI FRANCOFORTESI Poetica e morale, cultura e società Lire 12.000 • "Voices 2" IL DISAGIO DELLA MODERNITÀ Amis, Beli, Bellow, Briefs, Castoriadis, Dahrendorf, Galtung, Gellner, Giddens, lgnatiejf, Kolakowski, Lasch, Paz, Rothschild, Taylor, Touraine, Wallerstein Lire 12.000 • Arno Schmidt IL LEVIATANO seguito da TINA O DELLA IMMORTALITÀ. Uno dei più bei racconti mai scritti sulla guerra e una delle più belle satire degli intellettuali. A cura di Maria Teresa Mandatari Lire 12.000 • Francesco Ciafaloni KANT E I PASTORI Identità e memoria, campagna e città, ieri e oggi, Italia e America, destra e sinistra Lire 12.000 • UN LINGUAGGIO UNIVERSALE Le interviste di "Linea d'ombra" con gli scrittori di lingua inglese: Ballard, Barnes, lshiguro, Kureishi, McEwan, Rushdie, Swift (Gran Bretagna), Banville (Irlanda), Gallant, lgnatiejf, Ondaatje (Canada), Breytenbach, Coetzee, Gordimer, Soyinka (Africa), De sai, Ghosh (India), Frame (Nuova Zelanda) Lire 15.000 • VIOLENZA O NONVIOLENZA I testi fondamentali di un dibattito attualissimo. Engels, Tolstoj, Gandhi, Benjarnin, Weil, Bonhoeffer, Caffi, Capitini, Fanon, Mazzolari, Arendt, Bobbio, Anders. Lire 15.006 • Marco Lombardo Radice UNA CONCRETISSIMA UTOPIA Lavoro psichiatrico e politica. I rapporti tra generazioni e il disagio giovanile, negli scritti di un neuropsichiatra infantile. Lire 12.000 • TRA DUE OCEANI Le interviste di Linea d'ombra con gli scrittori statunitensi: Barth, Bellow, Carver, De Lillo, Doctorow, Ford, Gass, Highsmith, Morrison, Ozick, H. Roth, Singer, Vonnegut.Lire 15.000 • Aldo Capitini OPPOSIZIONE E LIBERAZIONE Gli scritti autobiografici di un maestro della nonviolenza. A cura di Piergiorgio Giacchè Lire 12.000 • Friedrich Schiller IL DELINQUENTE PER INFAMIA Come si diventa criminali. A cura di Cesare Cases Lire 12.000 • Goffredo Fofi I LIMITI DELLA SCENA Spettacolo e pubblico nell'Italia contemporanea (1945-1991), dal neorealismo all'omologazione Lire 12.000 • "Voices" PRO E CONTRO LA PSICOANALISI Baker Miller, Bentovim, Bettelheim, Chasseguet-Smirgel, Glasser, Green, Grunbaum, Hartman, lgnatiejf, Marcus, Mitchell, Pedder, Riejf, Segal, Spillius, Steiner, Turkle, Young. Lire 15.000 • M. K. Gandhi SULLA VIOLENZA Il rapporto tra fini e mezzi in ogni campo della vita e della società. A cura di G. Pontara Lire 12.000 • Mori Ogai L'INTENDENTE SANSHO Una antica cronaca ri-narrata da un grande scrittore. A cura di M. Mastrangelo eM. T. Orsi Lire 12.000 • Gunther Anders e Claude Eatherly IL PILOTA DI HIROSHIMA Ovvero: La coscienza al bandoPrefazione di Bertrand Russell e Robert Jungk Lire 12.000 • Rafael Sémchez Ferlosio LA FRECCIA NELL'ARCO Contrò gli alibi ideologici del nostro tempo. A cura di DaniloManera. Lire 15.000 •Julio CortazarULTIMO ROUND e altri scritti politici Cuba e il Nicaragua, il Maggio francese e le dittature. A cura di A. Mariottini e E. Franco Lire 12.000 • Giustino Fortunato I GIUSTIZIA TI DI NAPOLI DEL 1799 Persuasione etica nella politica: una rivoluzione e la sua sconfitta. A cura di Vittorio Dini Lire 12.000
CONFRONTI Scienza:ricordo di Denis P. Burkitt Ippolita Rana e Enrico Alleva È motivo di riflessione per la comunità biomedica internazionale la morte dell'ottantaduenne Denis P. Burkitt- scomparso il 23 marzo scorso. Medico e scienziato, noto in tutto il mondo per aver descritto il "Linfoma di Burkitt", forma di tumore comune nei bambini africani: questo linfoma (mortale in più del 50% dei casi) aggredisce bambini delle zone equatoriali dell'Africa, della Papuasia e della Nuova Guinea, colpendo elettivamente ossa mascellari, testicoli, ovaie, reni e sistema nervoso. La vita vissuta del medico Burkitt è stato un bizzarro - ma proficuo - coacervo di rigore medico-epidemiologico, spirito missionario a favore del terzo mondo, e personalità ostinata. Di qui la sua peculiare visione del mondo, con coordinate africanocentriche e dunque non distorte da un preminente punto di vista "occidentale", ma tali da rendere originali e culturalmente rilevanti i suoi non pochi contributi scientifici. La sua biografia (nasce a Enniskillen, nella regione del Fermanagh nordirlandese) lo narra studente svogliato di ingegneria - a seguire il mestiere del padre - poi timido e riservato studente di medicina nel prestigioso Trinity College di Dublino, lì dove la vita di gruppo Io introduce a un cristianesimo militante, di servizio per gli altri, che si fonde con la sua crescente vocazione di medico. Dopo la specializzazione in chirurgia, s'imbarca per cinque mesi come medico di bordo su di un cargo che fa spola fra Inghilterra e Manciuria. Fiorisce allora il suo spirito terzomondista, la sua voglia di aiutare i meno privilegiati, di dedicarsi a tempo pieno alle etnie più diseredate. Ma quando tenta di entrare - come volontario - nel Servizio Medico Coloniale (inglese) per l'Africa Occidentale, viene rifiutato. La scusa ufficiale è l'essere monocolo (perse la vista di un occhio da ragazzo, caratteristica che forse spiega certe introverse scontrosità del suo carattere anche da adulto); ma in realtà a spaventare gli imperiali arruolatori è questa sua ispirata frase inserita inopinatamente nella domanda: "Considero giusto far presente il mio personale spirito di vocazione". Troppo -evidentemente- per un sistema medico compiutamente coloniale. Scoppia la guerra mondiale, ed è arruolato come chirurgo nell'esercito britannico: lo inviano anche in Africa Occidentale, dove la sua monocularità non crea alcun problema al proficuo assolvimento del servizio. Anzi - noterà sarcasticamente anni più tardi lo stesso Burkitt- "quando alla fine riuscii lo stesso a raggiungere l'Africa, Dio nella Sua misericordia mi permise di vedere con un occhio cose che chi mi precedette non vide con due". Viene finalmente nominato chirurgo del Servizio Medico Coloniale per l'Uganda, compito cui si dedicherà dal 1946 per un buon ventennio. Il primo incarico consiste nel dirigere un piccolo ospedale di cento letti in mezzo alla savana, a 275 miglia di difficile sentiero dal più vicino servizio radiologico. Con l'aiuto di un unico medico africano, è di fatto responsabile della salute dei duecentomila ugandesi del suo distretto. Origina di qui il suo modo di organizzarsi - soprattutto d'interagire con le strutture sanitarie africane - fatto di profondo rispetto per la cultura locale, ina nel contempo di sforzo intelligentemente scientifico, mirato a comprendere i particolari problemi medici del luogo. Essenzialmente, senza imporre diagnosi e cure stabilite secondo uno standard europeo di salute. Il suo successo è spiegabile con quest'uso dei dati raccolti sul campo (diverrà in seguito responsabile nazionale per la chirurgia in Uganda) e con la sua ossessiva mania di annotare qualsiasi forma di malattia incontrata nel lungo servizio di medico inglese che opera sul continente africano. · Nelle sue parole "quello che sul momento sembrava una delle tante visite mediche, alla fine ha condotto a notare, identificare e comprendere una forma di tumore attualmente conosciuta come linfoma di Burkitt". Dietro ciò, l'aiuto dei medici africani, opportunamente informati e addestrati da Burkitt, che inviavano con diligente attivismo dati da centinaia di piccoli ospedali sparsi sul territorio. Per il pubblico non medico, Burkitt resta famoso in Europa soprattutto per aver contribuito - con le sue ispirate, perciò efficaci, conferenze - a far aumentare la proporzione di fibra nella dieta alimentare di noi tutti. Una crociata - la sua - che prendeva spunto proprio dalla constatazione di epidemiologo d'Africa, che notava come parecchie delle malattie tipiche del mondo occidentale fossero assenti nel Sud del mondo, dove però l'alimentazione era ben più ricca di prodotti contenenti fibra. Ancora una volta, è la visione di Burkitt - medicalmente "egualitarista", che dunque non privilegia né dà per scontato un modello di sviluppo e di "gusto" occidentale - a riavviare verso uno stile di vita più naturale le abitudini alimentari occidentali, · degradatesi a seguir mode e consumismi fino a produrre un florilegio di stati patologici: dalla stipsi alla diverticolosi del colon e a tumori del grosso intestino. Col suo influente libello Non scordar di mettere fibre nella tua dieta - pubblicato nel 1979- Denis Parsons Burkitt ha dunque lenito dal suo privilegiato palcoscenico africano a tante malattie 13
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==