il sequestro di cocaina si è moltiplicato per sette, quello di eroina per otto, quello di hascisc si è quadruplicato. La società spagnola si è trasformata, in questi anni, a ritmi vertiginosi. Ha notato lo storico francese Jean Pierre Amalric: "È bastata meno di una generazione agli spagnoli per conoscere un rovesciamento di valori, un cambiamento di modi di vita che in altri paesi ha richiesto almeno mezzo secolo". Un cambiamento a tutto campo. In un paese a lungo tradizionalista, la pratica religiosa che nel 1960 era ancora del 70 per cento oggi è scesa ad appena il 13 per cento. E se dieci anni fa ogni donna spagnola aveva in media 2,2 figli (assurdità della statistica) oggi ne ha appena 1,1 (idem). Crescono i divorzi, cresce il numero di studenti. A conferma che il paese ha ormai "rimosso" il franchismo, la nozione di patria è diventata estranea ai giovani spagnoli. Che infatti rivendicano sempre più spesso il diritto all'obiezione di coscienza. Aman.do de Miguel, autore di un recentissimo studio sulla società spagnola, spiega che i giovani "sono contrari al servizio militare perché non hanno fiducia nelle grandi istituzioni, nella Chiesa, nei partiti, nei sindacati. Ci sono sempre meno militanti". Un'istituzione nella quale credono ancora è però la famiglia, nel senso che se ne allontanano molto meno che in passato, rinviano il più possibile le loro scelte di vita. Ma questo può essere il segno di una generazione senza ambizioni e senza desideri che non siano quelli di vivere il meglio possibile guadagnando sempre di più. I sociologi fanno a gara nel suonare i campanelli d'allarme. C'è chi parla di "disorientamento intellettuale e demoralizzazione sociale", c'è chi denuncia uno sviluppo forsennato dell'individualismo, chi dice che gli spagnoli sono "conformisti, fiacchi, privi di passioni". Tutto vero? Una risposta non esiste, ma ci sono alcune indagini che hanno fornito risultati sconcertanti, numeri e dati che fanno riflettere. Un'inchiesta del Ministero della Cultura indica che il 42 per cento degli spagnoli di età superiore ai diciott'anni non legge niente; il 63 per cento non ha acquistato, nel corso del 1990, neppure un libro; il 60 per cento non ascolta musica; il 51 per cento non va a teatro; l' 80 per cento non ha mai assistito a un concerto rock. Sconsolanti anche i dati sulla produzione culturale. Nel corso degli anni Ottanta, è calata del 52 per cento la produzione di lungometraggi. Nel 1988 è stato stampato in Spagna lo stesso numero di libri del 1975. In compenso, ogni settimana, sette milioni di lettori scoprono tutto sulle pene, gli amori, i matrimoni dei loro divi preferiti. Sono i fanatici della prensa del coraz6n, di quei rotocalchi fatti apposta per presentare il lato buono delle cose, destinati a chi vuole dimenticare la politica. Un successone, proprio mentre i quotidiani d'informazione sono in gravi difficoltà (quattro giornali hanno chiuso i battenti negli ultimi due anni). Insomma, la crisi c'è, crisi di valori e depressione culturale insieme. Il tutto sullo sfondo di un panorama economico ben diverso da quello che prefigurava Felipe Gonzalez quando, nell'euforia degli anni del "boom", prometteva di portare il paese ai vertici del mondo industrializzato. Negli anni Ottanta, il nuovo materialismo spagnolo veniva sintetizzato nelle tre "c" di coche, casa e compaiiera (auto, casa e ragazza). Oggi, in un rapporto che significativamente ha per titolo "Dopo la fiesta", il britannico "Economist" suggerisce altre tre "c", che dovrebbero caratterizzare la Spagna degli anni Novanta: convergenza (adeguamento dell'economia nazionale agli standard Cee), coesione (tenere la Spagna unita al resto dell'Europa), coalizione (la necessità che scaturisce dalla fine del monopolio socialista). IL CONTESTO Aspettando Godot a Saraievo L'esperienza di Susan Sontag a cura di Loretta Colosio Da "El Pafs" del 29 luglio scorso stralciamo questi brani di un'intervista a Susan Sontag che ci sono sembrati di particolare interesse per i nostri lettori. L'intervista della Sontag è opera di Alfonso Armada, ed è stata fatta a Sarajevo. Perché è venuta a Sarajevo dopo che è scoppiata la guerra? La prima volta ci sono venuta quando mio figlio, David Reiff, stava scrivendo un libro sulla guerra in Bosnia. Già prima di allora, comunque, avevo provato un senso di orrore ed indignazione per quello che stava succedendo qui. Devo dire che non avevo mai pensato di venire a Sarajevo, perché non sapevo che cosa avrei potuto fare. Che cosa può fare, in effetti, a Sarajevo chi non è né un giornalista né un volontario al servizio di qualche organizzazione umanitaria? lo, poi, non ho mai fantasticato di arruolarmi come "casco blu". Ho trascorso due settimane in questa città ed è stata un'esperienza straordinaria. Ciò che più colpisce di Sarajevo - a parte la sofferenza della gente-è la possibilità di instaurare un legame molto forte con i bosniaci e con l'idea che la Bosnia debba diventare un paese indipendente. Successivamente, ho cercato il modo di ritornare a Sarajevo e di dedicare un po' del mio tempo a qualche attività moralmente valida. Durante il mio primo soggiorno ho conosciuto alcuni attori di teatro e ho chiesto loro se avrebbero gradito che io lavorassi con loro per qualche tempo. La risposta è stata affermativa. Scegliere il testo da mettere in scena non è stato difficile: mi è bastato pensarci solo un po' e mi è venuto in mente Aspettando Godot. Perché proprio Aspettando Godot? Perché ha un'analogia ovvia con la situazione attuale, che non deve essere spiegata per essere capita. Tutti sorridono quando se ne parla; anche la gente che va incontro alla morte, aspettando, giorno dopo giorno, qualcosa che non arriva mai, lagenteche,dando prova di un disperato senso dell'umorismo, parla della vita e della situazione in cui si trova senza più speranza, pur continuando, nonostante tutto, ad andare avanti. Sarebbe difficile trovare un testo che presenti analogie più evidenti con questa realtà; e non soltanto per il suo valore simbolico. Poi si tratta di una "pièce da camera". In effetti mi piacerebbe mettere in scena un'opera di Shakespeare, maè impossibile farlo su un palcoscenico molto piccolo, a lume di candela e in un edificio che potrebbe essere bombardato da un momento all'altro. Tant'è che ho deciso di sistemare il pubblico sul palcoscenico perché è più sicuro che in platea. Il tetto del teatro è stato parzialmente danneggiato e, qualche giorno fa, è caduto un missile proprio lì accanto, facendo tremare le pareti. Quindi non ho intenzione di esporre il mio pubblico ad alcun pericolo. Che significato ha Sarajevo allafine del XX secolo? Credo che il nostro secolo sia iniziato qui e che altrettanto accadrà con i I prossimo. Il XX secolo è stato breve. La prima guerra mondiale ha preso avvio da questa città. I secoli non iniziano necessariamente nel momento in cui si raggiunge la cifra tonda: il XIX ha avuto inizio nel 1815 con la Restaurazione, dopo la caduta di Napoleone. Suppongo che il XXI sia già incominciato nel 1989 con il suicidio dell'Unione Sovietica, ma si potrebbe anche dire, con un pizzico di ironia, che è iniziato a Sarajevo, perché quanto è accaduto inquesta città completa, per così dire, gli eventi del XX secolo. In che modo si percepisce lo scorrere del tempo a Sarajevo? Un giorno a Sarajevo è come una settimana a New York. Ogni giornata è così piena che una settimana qui pare un mese; è densa di nuove e terribili impressioni. Ma non soltanto terribi Ii, perché qui sta succedendo ciò che accade in circostanze estreme: in questa città assistiamo agli atti più terribili di cui l'uomo sia capace, ma allo stesso tempo possiamo conoscere le persone migliori, le più coraggiose che si possano incontrare in tutta 7
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