Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

SAGGI/BARBA "stranieri", ma non a mani nude, Wagner, Eleonora Duse, Nijinskij. Diversi, "stranieri a mani nude", furono non solo Stanislavskij, ma anche i giovani dei teatri agit-prop; non solo Artaud, ma anche i teatri di gruppo composti di donne in lotta per il diritto al voto, nell'Inghilterra d'inizio secolo (anche lì primeggiava il nome Craig: la sorella quasi ignota del notissimo inventore della Regia). Fu straniero a mani nude Copeau e lo furono gli studenti idealisti, apparentemente semplici dilettanti, che nella Russia dell'inizio del secolo si dedicavano con tutte le loro forze e il loro tempo al lavoro teatrale, trovandovi la risposta al bisogno d'un rigore etico, d'una religiosità senza fede. Ogni pianeta teatrale ha le sue zone periferiche, le sue regioni emarginate, divergenti o depresse. Esse sono lontane dal centro, ma ciò non vuol dire che abbiano conquistato una propria autonomia. Un teatro volutamente periferico è in molti casi il teatro dei dilettanti, quando trova il proprio senso nel rispecchiare le immagini e i comportamenti del teatro "maggiore". Ciò non toglie che in determinate occasioni fra i teatri di dilettanti vi siano stati i più innovativi "laboratori" d'arte teatrale: basta pensare ai teatrini nobiliari del Settecento, agli spettacoli curati da Voltaire o da Vittorio Alfieri, al teatro di Nohant, dove sperimentavano, alla metà del XIX secolo, George Sand, la sua famiglia, i suoi amici e Fryderyk Chopin. Ogni pianeta teatrale, infatti, ha anche le sue zone protette ed elevate, così come h_ai quartieri della discriminazione. Un teatro discriminato fu quello delle fiere; culturalmente emarginati erano i teatrini del Boulevard du Tempie di Parigi, nella prima metà del XIX secolo, in uno dei quali agiva il grande Deburau; marginale sembrò il Circo Crio I lo in Argentina o - per non eccedere con gli esempi - lo sterminato territorio del Varietà, del Music-hall, dell'Operetta, culturalmente screditato, ma dal quale i teatri divergenti e le avanguardie, voltando le spalle a Ibsen, Shakespeare e Sofocle, trassero ispirazione per delineare una moderna "scrittura scenica". Potremmo proseguire a lungo con l'elencazione, ricordare i cosiddetti teatri "popolari", enumerare i casi in cui i saltimbanchi portavano con sé, nelle loro peregrinazioni, lo spirito d'un teatro futuro. Tutto questo costituisce il pianeta del teatro, che ha al suo centro i grandi edifici della Comédie Française o dei Teatri Imperiali della Russia pre-rivoluzionaria, del teatro di Weimar diretto da Goethe o di quello di Bayreuth diretto da Wagner. Ma i I pianeta non è tutto. Dobbiamo abituarci a guardare al di là e scorgere, oltre le mille differenze che costituiscono la sua geografia, oltre le zone centrali e quelle periferiche, anche ciò che sfugge alla sua forza d'attrazione e sembra muoversi attorno a lui come una nebulosa difficilmente definibile. Abbiamo parlato del démone di mezzogiorno. Parliamo ora di Saturno. Nei vecchi tempi, infatti, si diceva che gli artisti, gli intellettuali, i pensatori fossero "nati sotto Saturno". Primàd'essere un pianeta, Saturno fu un dio, fonte di genialità, di malinconia e d'indolenza, strettamente legato a Lua Mater, dea anch'essa ambigua, procreatrice e distruttrice sia delle cose care che perniciose. I "nati sotto Saturno", percossi dalla melanconia, sentivano 72 spesso un fischio ad un orecchio. Anche a causa di ciò, e non solo per ragioni mimiche, le immagini degli uomini e delle donne melanconici, come quella famosissima di Diirer, hanno la testa inclinata, appoggiata ad una mano che protegge la gota e l'orecchio. Il fischio che li tormentava poteva apparire loro una voce arcana. Ma ormai Saturno s'è ridotto a non essere altro che un pianeta: gira velocemente su se stesso, il suo giorno dura 10 ore e 14 minuti. Ha quindi un'alta forza centripeta, che attira i corpi vaganti nello spazio e li appiattisce sulla sua crosta. Per questa continua caduta di meteoriti la faccia di Saturno è un po' ammaccata. Ma ciò che rende affascinante l'opaco e ammaccato pianeta sono i suoi anelli, qualcosa che mantiene le distanze: cerchi concentrici apparentemente nebulosi, che sfuggono alla sua forza centripeta. Torniamo così al nostro punto di partenza, quello per cui Saturno, ex dio e pianeta, diventa per noi istruttivo. Gli anelli di Saturno, infatti, non sono nebbia, massa informe e gassosa. Sono l'insieme di innumerevoli corpi solidi, indipendenti, alcuni grandi, altri minuscoli, che si muovono ciascuno con una propria velocità, una propria energia, con propri tempi di rotazione e di rivoluzione. Questa mancanza di uniformità, questi movimenti diversi di minuscoli mondi diversi, questo apparente disordine danno l' impressione di una nebulosa. Gli anelli del pianeta non sono massa compatta, ma l'insieme di ciò che sfugge ad una massa compatta: ciò che non si lascia ridurre alla crosta ammaccata del mondo centrale. E ogni nucleo - non dimentichiamolo - in realtà è un mondo a sé stante, solido, ben definito, indipendente. In un'orbita che lo unisce agli altri, si muove per suo conto. La difficoltà a comprendere la natura del Terzo Teatro dipende dalla ricerca d'una definizione unitaria che fissi il senso d'una realtà teatrale diversa. Ma il Terzo Teatro si definisce proprio per l'assenza d'un senso in comune. È l'insieme di tutti quei teatri che sono, ognuno pèr se stesso, costruttori di senso, ognuno dei quali, cioè, definisce in modo autonomo il proprio personale senso dell'azione di far teatro - ciò che Jouvet chiamava "l'eredità di noi a noi stessi". Ma - e questa è la cosa più importante - definisce il senso e l 'ereditàincarnandoli in attività precise, in una ben distinta identità professionale. Tutti, infatti, attribuiscono un senso personale, intimo, privato, alle proprie azioni, indipendentemente dal senso che esse assumono a livello obiettivo. Così come, per dirla in termini stanislavsk.iani, ogni testo può avere il suo sottotesto. La corona di Saturno è un'altra cosa: lì ciò che altrove rimane sottotesto diventa testo, il senso personale, irripetibile del proprio far teatro si traduce in forma riconoscibile, dà impulso a modi autonomi d'organizzarsi, si trasforma in un'identità separata. Per questo errano coloro che pensano che il Terzo Teatro debba avere un'ideologia, una dottrina unitaria, qualcosa che lo trasformi in un movimento artistico ben definito, una bandiera sotto cui tutti possano riconoscersi. Sarebbe come voler ridurre gli anelli di Saturno in un nuovo pianeta. Che cos'è, in fondo, quest'ansia d'avere una definizione, una categoria, una bandiera unitaria? È ansia di qualcosa che duri nel tempo. Per una deformazione del pensiero che è così profonda da

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