di note identiche, dopo quello scroscio di metallo freddo, impassibile, la tromba marina cessava così repentinamente che lui si rasserenava e continuava ad essere il primo in ufficio, quello a cui il capo dava la chiave dell'armadio riservato che doveva essere nelle mani del più puntuale, perché era iIprimo che doveva essere aperto. Passarono altri anni e ciascuno di essi lo trovò dedito alla medesima attività. Si alzava sempre all'ora acida delle sei, che quasi tutti i giorni era un'ora bigia, e solo qualche rara volta era così azzurra e tenera che lui si sentiva il più fortunato degli uomini, come se a colazione avesse il più morbido dei pani. Tuttavia, ancora una volta rimase addormentato, scivolando nel sonno sopra il rumore delle due suonerie. Era una vera calamità. Non ci poteva credere e guardava la sveglia. Dopo tutto, e grazie al cielo, si svegliava da sé, ed erano già le dieci! Fossero state le sette o le otto! Ma le dieci! Non sentendo la sveglia, il suo corpo recuperava il sonno arretrato e perduto e si abbandonava a una lunga e proibita mollezza. Le cose non potevano andare avanti così. Lui aveva la chiave di cui tutti avevano bisogno e perciò, per la sua importante missione, non poteva smettere di alzarsi alle sei. Cercò un'altra sveglia con un campanello in più. III La trovò. La provò a casa, soddisfatto come un essere straordinario per il fatto di possedere quell'apparecchio così rumoroso, imperioso e costante. Riprese a coricarsi tranquillo. La sveglia dai tre campanelli lo svegliava fin troppo, ammettendo meno dilazioni. Ma che importava, purché lo facesse arrivare presto! La sveglia si dava un gran da fare, sudava sette camicie, sembrava un campanello che chiedesse la comunicazione per una faccenda gravissima, urgentissima, raccapricciante. La sua suoneria si affrettava, dava meno tregua delle altre per inibire ogni reazione; non gli dava il tempo di formulare un pensiero, di capi re ciò che stava succedendo: iI pover'uomo puntuale rimaneva per qualche istante con gli occhi aperti e fissi, delirante e tremante, con un'aria sofferente, seduto sul letto in una posizione tesa, rigida, schiacciato contro la testata, aggrappato alle sue sbarre, per alcuni secondi privo d'ogni capacità di determinazione per spegnere la sveglia, come ferito dagli spari ininterrotti e automatici di una Browning a ripetizione. Solo facendo un grosso sforzo, passato quel momento di panico ingiustificato, faceva un salto, acchiappava la sveglia e la metteva sotto il cuscino, togliendole l'aria, finché non si esauriva tutta la carica. Finalmente ... ! E allora respirava.L'aveva sconfitta. Si era salvato. Sorrideva con un'espressione nevrastenica e sardonica, con un sorriso da pazzo e con gli occhi sbarrati, sconvolto, giallastro e tremulo, si vestiva con quella soddisfazione turbata e artificiosa che rimane dopo una lite violenta, nonostante uno ne sia uscito vitto1ioso. Da quel momento, la sua sveglia palpitava tutto il giorno, placata, umile, in quell'ambiente di sonno pesante e notturno che creano le sveglie intorno a sé, evocando sempre un'alcova di quotidianità, una camera da letto in penombra, e aggiungendo a volte a quell'evocazione il dettaglio di un tavolino carico di STORIE/GOMEZ DE LA SERNA medicine, di flaconi azzurri con una cuffia bianca pieghettata e l'elenco degli orari in cui il malato deve prenderle posato lì di fianco. Talvolta la sua sveglia, - come sono / solite fare tutte le ~ sveglie-suonava nel ~_;;;.---- tardo pomeriggio, 1 / ripassando dal l'ora casuale sulla quale Disegno di Moreno Villa. l'aveva puntata sbadatamente, allontanando la lancetta, senza neanche pensarci, dall'ora in cui aveva suonato. Era un imprevisto così grande che lo faceva trasalire come un campanello che squillasse in fondo alla casa, scandaloso, come suonato da un visitatore violento e inatteso. Ma in quei casi si comportava come un prode; nel pieno dominio di sé, in stato di veglia, andava dritto verso di lei e la costringeva al silenzio con decisione, con collera, con determinazione. Continuava ad arrivare per primo in ufficio. Quindici anni di servizio, e da quindici anni era in ufficio alle sette meno un quarto del mattino. Tuttavia, ogni volta di più, dopo il massacro di ogni mattina, i suoi occhi erano segnati p~r tutto il giorno da uno spavento fisso, uno spavento per nulla, uno spavento secco, reso evidente da un cerchio rigido delle sue orbite. C'era in lui anche un lampo nervoso, che gli faceva continuamente voltare e scrollare la testa sulla spalla sinistra. Anche a letto era scosso da piccole convulsioni involontarie. Viveva tutto il giorno oppresso dalla commozione cerebrale causata della sveglia, con un sordo spasimo di tutto il suo spirito, lento, intontito, diffuso, sonnambulo, come ricordando il rumore mattutino che lo aveva colto impreparato, con l'aspetto di un uomo troppo scottato, sempre timoroso che, in ogni momento, qualcuno possa spaventarlo o colpirlo alle spalle. Teneva sempre la nuca incassata fra le spalle, per la paura, e di tanto in tanto la spingeva ancora di più, irrigidendo la testa e le spalle. Si è così sensibili, così spalancati, indifesi, scoperti nel sonno che la cacofonia della sveglia causa la dolorosa strage propria di un proiettile esplosivo! Passarono così altri anni, durante i quali la mattina giovane, nuova e nuda delle sei si mostrava al pover'uomo tutti i giorni, sebbene quasi invano, dal momento che lui aveva ormai perso la sua primitiva idea su quell'ora della giornata. Era sempre più rettilineo e seguiva la sua retta rigidamente quanto il punto da cui essa ha origine. Tuttavia - di nuovo l'umano "tuttavia" - un giorno rimase addormentato. Ciò gli parve una beffa della vecchiaia. Ormai non se l'aspettava più. Era assurdo che quella sveglia smettesse di svegliarlo. Soltanto la sua morte gli sembrava una scusa plausibile al fatto che le tre suonerie di formidabile intensità non avessero avuto successo. Che non avesse suonato? Sì, aveva suonato. La carica delle suonerie era regolarmente giunta a fine corsa e la lancetta della sveglia era fissa sulle sei, 67
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