Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

LE SVEGLIE Ramon G6mez de la Serna traduzione di Maria Bastanzetti e Giuliana Picco Ramon G6mez de la Serna (nato a Madrid nel 1888 e morto in autoesilio a Buenos Aires nel 1963) fu in Spagna il santone e la grancassa di tutte le avanguardie del primo Novecento, che sperimentò, manipolò e diffuse con la sua irrefrenabile vitalità, una grafomania che gli permetteva di firmare svariati titoli l'anno e un geniaccio tra lo scanzonato e il futurista che gli fece pronunciare conferenze in groppa all'elefante di un circo, arrampicato su un lampione o legato a un tavolo. Frequentatore di burle e novità, tra il frivolo e il pensoso, fu un eroe dell'epoca di Picasso, Charlot, Apollinaire, Buiiuel, Dalì, Macedonio Fernandez, Larbaud, de Falla, Carni, Gris, e loro burrascoso amico. Popolarissimo negli anni '20 e '30, si va riscoprendo sia in Spagna che ali' estero. Da noi, dopo Le Tre Grazie, uscite da Selleria nel 1988, nel 199l Lucarini ha riportato in libreria L'incongruente e le edizioni ES hanno ripubblicato Seni; quest'anno sono invece usciti per la Biblioteca del Vascello Donne, libri, astri e animali e Mille e una greguer{a. La greguerfa è il genere letterario inventato da G6mez de la Serna che lo rese universalmente noto, che lo accompagnò per tutta la vita e che ancora viene associata immediatamente al suo nome. Si tratta di compresse d'umorismo e associazioni eccentriche che costituiscono anche un lavorio sull'immagine poetica destinato a lasciare un segno nei poeti della "generazione del '27", come riconoscono Luis Cernuda e Pedro Salinas. Le greguerias sono inciampi del linguaggio, fiori inusitati del quotidiano che sbocciano in mezzo all'incredulità, frantumi lasciati da uno sguardo divertito e demolitore, minuscoli ma vertiginosi paradossi che esaltano l'imperfezione, l'accumulo caotico, l'intermittenza. Esse costituiscono anche la cellula base del tipico modo di narrare di G6mez de la Serna nei romanzi e racconti. Abbiamo scelto uno di questi ultimi, tratto dalla raccolta Caprichos del 1925 (pp.71-86), in cui brilla l'estro sfrontato d'inizi secolo, col suo orrore per l'abitudine e il suo gusto per il macabro e l'assurdo. (Danilo Manera) I Destandolo ogni mattina, la sua sveglia lo lasciava inebetito, attonito, frastornato, sprofondato in un'angoscia opprimente. Il suo suono rivelava un'intenzione così acuta, implacabile, imminente, che lui si scagliava su di lei stringendole le mani intorno al collo per strangolarla, per farla tacere in qualche modo. A volte era così imbambolato dal sonno che non riusciva a far cessare quel rumore vorace, contagioso, scandaloso e battagliero. Altre volte, di fronte a quella repentina esplosione sonora, gli era venuta- bisogna confessare tutto- la furiosa tentazione di farla a pezzi o di lapidarla; ma aveva desistito, perché le sveglie sopravvivono a tutti i colpi e continuano a funzionare; le sveglie cadono molte volte con fragore, mentre la loro suoneria emette ancora due o tre lamenti sparsi. Sempre, però, - si può esserne assolutamente certi - raccogliendole da terra, continueranno a pulsare energicamente, forse più incallite e rafforzate di prima. Possono ammaccarsi, perdere i piedini, perdere il vetro, ma sono così cocciute e hanno la testa così dura, che continueranno caparbiamente ad andare. Lui la odiava, ma ne aveva bisogno. Ogni sera la metteva di fianco al letto e a volte il povero solitario la percepiva come una compagnia, come una specie di compagnia. A lungo, ogni notte, aveva la sensazione che non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi, 66 con quel tic-tac da calderaio, metallico e rimbombante. Alla fine, però, prendeva sonno. Nei giorni di febbre quella sensazione si prolungava e si sentiva la sveglia nella testa, dura e con la sua forma reale, il che gli faceva chiedere a gran voce che gliela togliessero dal cranio, dove si era conficcata inafferrabile, stizzosa, molesta, ostinata e funebre. Gli anni passavano e per il pover'uomo la situazione non cambiava. Tutti i giorni la sveglia suonava alle sei del mattino. Tutti i giorni tranne la domenica, quando la riponeva in fondo a un baule e talvolta, siccome continuava a sentirla, fu addirittura costretto a metterla nella carbonaia. Tutti i giorni lo svegliava, ma accadde che, per l'abitudine, il suo udito s'indebolì e smise di sentirla per alcuni giorni, arrivando vergognosamente tardi in ufficio. Il primo impulso, nel destarsi tardi in quei giorni, fu qµello di ucciderla; ma poi, comprendendo che doveva odiare se stesso, in quanto sordo e limitato, finiva per maledirsi e per darsi delle pedate nel sedere. Si insultava, definendosi: "Maiale dal le orecchie tappate!" · Quegli episodi di sordità temporanea si fecero così frequenti che, sentendo in pericolo la sua fama di impiegato modello, comprò un'altra sveglia con due campanelli. Il Tornò a respirare, sentendosi garantito come il suo orologio. Riprese a svegliarsi con assoluta puntualità. Forse il soprassalto, quel soprassalto che interrompe la respirazione, era maggiore. Forse il balzo che faceva nel letto somigliava a quello che fanno i trapezisti cadendo sulla rete tesa ed elastica. Forse, se avesse avuto una pistola sul comodino, l'avrebbe presa e avrebbe sparato contro il bersaglio della sveglia. Però, macché!, dopo l'inondazione Coricoturo di Rom6n G6mez de lo Serno eseguilo do Bon.

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